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La Cina si prende il mondo? Niente paura, il gigante ha ancora i piedi d’argilla

L'esperto Luca Galantini osserva la posizione del regime cinese nel complesso quadro del diritto internazionale e commenta la sua ipertrofica visione

Alessandra LoierobyAlessandra Loiero
La Cina si prende il mondo? Niente paura, il gigante ha ancora i piedi d’argilla

Soldati in Cina (Steve Webel, Flickr)

Time: 12 mins read

In questi anni si è aperto un nuovo capitolo delle relazioni tra le potenze Cina e Stati Uniti, ed in particolare, con l’approccio assertivo-aggressivo del presidente americano Donald Trump, si è sentito spesso parlare di una “nuova guerra fredda” e le vicende relative alla pandemia, hanno accelerato l’ideale che le relazioni tra i due Paesi potessero precipitare. Il mondo assiste, non solo ad una crescente competizione relativa soprattutto alle nuove tecnologie, ma anche alla corsa al vaccino anti-Covid-19.

Intanto, venerdì 13 novembre, la Cina si è congratulata con il presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden per la vittoria alle elezioni presidenziali del 3 novembre, risultando tra gli ultimi Paesi che non si erano ancora complimentati. Il portavoce del ministero degli Esteri Wan Wenbin, in conferenza stampa, ha aggiunto: “la Cina rispetta la scelta del popolo americano”.

Il quadro è complesso, e centrale è il ruolo della “poco unita” Unione europea, che non avendo un ministro degli esteri, fa sì che l’Europa non parli all’unisono. È proprio questo il vantaggio su cui punta la Cina: si muove a livello geostrategico ed economico per pura convenienza dei propri affari, puntando su accordi bilaterali.

Un altro attore centrale è rappresentato dalle Nazione Unite, l’organizzazione internazionale costituita nel 1945, dopo due Guerre mondiali e che per 75 anni ha cercato di garantire il principio di balance of power, favorendo la cooperazione tra Stati e garantendo le finalità dell’articolo 1 del suo Statuto: pace, sicurezza e diritti umani. La solidità dell’organismo sembra però incrinarsi negli ultimi tempi. E quando Donald Trump ha deciso di ritirarsi dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), si è sentito dire che “la Cina si sta prendendo l’ONU”. Il progressivo ritiro degli USA lascerebbe il via libera ad un Paese come la Repubblica popolare cinese di espandere la sua influenza. Durante il dibattito della 75° Assemblea Generale dell’ONU, il presidente Trump ha incentrato i suoi 7 minuti di discorso, puntando il dito contro il Dragone, e sempre durante la settimana di UNGA75, lo scorso settembre, gli scontri tra le due potenze sono proseguiti anche tra gli ambasciatori al Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite. L’ambasciatrice statunitense, Kelly Craft, ha infatti ribadito, durante una riunione, le accuse per le responsabilità della pandemia ed ha affermato che l’OMS sarebbe corrotta.

Xi Jinping alla 75a Assemblea Generale delle Nazioni Unite 2020 (da Youtube)

Considerando il passato, ma anche il presente, di mancato rispetto dei diritti umani e la diversa ideologia della Repubblica popolare cinese porterebbero al timore che i valori occidentali, diritti umani, libertà e democrazia, possano essere messi in discussione.

Ma quanto è temibile la Repubblica popolare cinese e quanta capacità effettiva ha? L’amministrazione Trump è realmente responsabile dell’avanzata della Cina? Qual è il comportamento assunto dai membri dell’UE e dei paesi del Pacifico nello scenario? C’è davvero il rischio che “la Cina possa prendersi l’ONU” e che il concetto dei diritti umani e democrazia possa progressivamente cambiare?

Abbiamo posto queste questioni sotto la lente di ingrandimento del professore di Regimi Internazionali all’Università Cattolica di Milano, Luca Galantini, che è anche Faculty Member dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI), è Visiting Professor di “Negotiating Processes for the Promotion of Cooperation and Human Rights in International Regimes History” presso l’Innopolis University, di Karzan, in Russia, Consulente Esperto del Ministero degli Affari Esteri e della Commissione Europea, e collabora in qualità di editorialista e commentatore con diverse ed importanti testate giornalistiche ed autore di oltre cinquanta pubblicazioni scientifiche. È anche Ufficiale Commissario dell’Esercito italiano con qualifica di Istruttore di Diritto Internazionale Umanitario e dei Conflitti Armati.

Il Professore Luca Galantini

Partendo dal principio, il professor Galantini, ha fornito un’analisi accurata nell’ambito del diritto internazionale.

“Innanzitutto bisogna fare una premessa. Nella storia politico istituzionale degli Stati Uniti si sono da sempre contrapposti due chiavi interpretative sulle relazioni internazionali, e cioè una posizione che è quella tipica del GOP e quindi del partito repubblicano, che mira sostanzialmente a ricondurre una visione dell’interesse nazionale in una dimensione più isolazionista e quindi senza una proiezione multilaterale interventista; e poi, viceversa, la posizione tipica del pensiero liberale dei tempi di Woodrow Wilson, Prima Guerra mondiale, quindi dell’interventismo democratico. Una proiezione che poi si è perpetuata con l’azione prima di Roosvelt e successivamente di Kennedy, in cui si ritenne necessario un intervento di proiezione a livello planetario per tutelare e sostenere il modello dello stato di diritto liberaldemocratico, e quindi dei diritti umani nell’ambito di un sistema economico di libero mercato. È quindi questa l’impronta occidentale in sede alle Nazioni Unite. Va da sé che il modello della Rule of Law dello Stato di diritto, ovvero lo Stato riconosce i diritti al proprio cittadino, in quanto essere umano e la partecipazione al modello democratico nella gestione dello Stato, sono due principi fondamentali oggetto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, che sono i pilastri dell’impronta giuridica istituzionale occidentale delle Nazioni Unite. La Rule of Law e il modello democratico multipartitico sono riconosciuti all’unanimità a livello internazionale come i pilastri della convivenza civile per garantire le finalità dell’articolo 1 dello Statuto dell’ONU: pace, sicurezza internazionale e diritti umani”.

Immagine a colori della Conferenza Yalta dei “Tre Grandi” nel Febbraio 1945. Il Primo Ministro Winston S. Churchill, il Presidente Franklin D. Roosevelt e il Premier Josef Stalin. (wikimedia)

Galantini, spiega che il problema dell’influenza cinese sulle Nazioni Unite, si pone a prescindere dalla posizione dell’amministrazione Trump, che in realtà rispecchia quella di tante altre amministrazioni nel corso della storia politica degli Stati Uniti. Ovvero, “il problema si pone nel momento in cui un global player sempre più invasivo a livello internazionale, come la Repubblica popolare cinese, in virtù del suo sviluppo economico ipertrofico, a cui fa seguito una strategia internazionale di carattere diplomatico e anche militare, mette in discussione questo modello appena citato, quindi quello della Rule of Law. Se si va a prendere il Libro Bianco del Partito comunista cinese, pubblicato lo scorso anno, in occasione del 70° anniversario della rivoluzione comunista e nell’instaurazione del regime comunista, nel 1949, si troverà la road map, nella quale, a livello giuridico politico istituzionale, viene tracciata la visione antitetica al modello dello stato di diritto liberaldemocratico delle Nazioni Unite, e in cui si esprime il concetto di Rule by Law, cioè i diritti derivano dalla legge”.

Trump pronuncia dalla Casa Bianca il suo discorso per l’UNGA 75 (da YouTube)

Questa, dunque, è una questione che divide a livello politico. Secondo questa concezione, l’autorità politica mono partitica del Partito comunista cinese è al di sopra della legge perché incarna la virtù politica della nazione cinese, e come tale è svincolata da qualunque limite giurisdizionale. In altri termini, viene completamente frammentato il principio della separazione delle funzioni del modello democratico, cioè la funziona legislativa, esecutiva e giurisdizionale. Dunque, lo Stato, inteso come potere politico per eccellenza, non è più soggetto al pari dei cittadini al rispetto della legge, ma in questo caso, è il sistema monopartitico cinese che detta la legge, la impone e utilizza il potere giurisdizionale in funzione del suo obiettivo politico.

Il professor Galantini precisa che “si tratta di un modello che non è nuovo, ma che ha già trovato applicazione nei modelli totalitari del ventesimo secolo, come ad esempio quello del terzo Reich o quello dell’Unione sovietica. È un ribaltamento assiologico della concezione dello stato di diritto” spiega “perché essendo il potere politico, in questo caso incarnato dal Partito comunista cinese e al di sopra della legge, si instaura un sistema di Stato di eccezione, cioè di uno stato di emergenza permanente, in virtù del quale il Partito comunista cinese si ritiene legittimato a qualificare ciò che è giusto e ciò che non lo è nei confronti dei propri cittadini”.

Benito Mussolini e Adolf Hitler a Roma nel maggio 1938, durante una parata militare sfoggiano il saluto romano-fascista e quello nazista. A destra il Re Vittorio Emanuele III, che invece usa il saluto militare (Foto da Wikipedia)

In quest’ottica dunque, si inquadra una contrapposizione forte tra le due prospettive giuridiche delle istituzioni internazionali. È questa la ragione per cui non sono poche le preoccupazioni del mondo occidentale. “C’è la piena consapevolezza anche all’interno dell’UE, che non vi sia una piattaforma giuridica condivisa, in quanto la Repubblica popolare cinese sta elaborando per il terzo millennio una dottrina incarnata perfettamente nel Libro Bianco, anche a livello economico nel famoso programma della Silk Belt Road, la Via della Seta, finalizzato ad affermarsi come global player antitetico a questo modello”.

Per quanto riguarda l’organismo delle Nazioni Unite, più precisamente, il professor Galantini spiega che la Repubblica popolare cinese ha più volte sostenuto in numerosi meeting nell’ambito delle attività diplomatiche che il modello giuridico concepito dallo statuto delle Nazioni Unite nella Carta di San Francisco e in tutti i trattati a seguire, è del tutto opinabile. La Repubblica popolare cinese non concorda e infatti, ad esempio, non ha mai riconosciuto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, un documento dichiarativo, ma fondamentale a livello di soft diplomacy. La Repubblica popolare cinese non ha mai nemmeno sottoscritto alcuni dei trattati degli accordi internazionali più importanti in materia di diritti civili e politici come la Convenzione sui Diritti Civili e Politici dell’ONU del 1966.

Il Comitato permanente del 13 ° Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (CPPCC) tiene la sua 14a sessione, che si concentra sullo studio e sullo spirito della quinta sessione plenaria del 19 ° Comitato centrale del Partito comunista cinese (PCC), in Pechino, capitale della Cina, 9 novembre 2020. (Foto di Xinhua, www.gov.cn)

“Certo, bisogna considerare il fatto che la Repubblica popolare cinese è a tutti gli effetti membro delle Nazioni Unite e membro del Consiglio di Sicurezza, e interagisce a livello internazionale attraverso la piattaforma dei trattati”, continua il professor Galantini, “ma contestualmente non possiamo negare che la Cina si muova su un binario parallelo. La posizione assunta da Pechino su un’innumerevole serie di materie, come il WTO, il trattato sull’Organizzazione internazionale del commercio, in materia di libero scambio di mercato, così come in quello di esercizio della sovranità territoriale e di riconoscimento degli accordi in ambito di diritto internazionale marittimo, in riferimento per esempio al Mar cinese meridionale, o alla questione di Taiwan, la Cina dimostra nei fatti di disattendere l’orientamento interpretativo giuridico della comunità internazionale”.

Ma perché nessuno sembra fare niente? La Cina ha rafforzato la sua presa su Hong Kong, approvando la legge sulla sicurezza nazionale, che mina il quadro di governance “un paese due sistemi”, introdotto alla fine del dominio britannico con la Dichiarazione congiunta del 1984. In questo caso, la Cina ha violato gli obblighi legali internazionali, e in quell’occasione esperti dei diritti umani avevano espresso preoccupazione riguardo le repressioni delle libertà fondamentali in Cina, ed era stato anche detto che l’Europa avrebbe rivalutato la Cina come partner economico. Ma come mai la Cina sembra essere libera di fare ciò che vuole? È davvero così? In quell’occasione soltanto l’amministrazione Trump aveva sanzionato la Cina per via di Hong Kong. Ad agosto, il ministro degli Esteri cinese, Wang, si è incontrato con il suo omonimo Luigi Di Maio, per rilanciare la partnership economica strategica. Perché quindi Paesi, come anche l’Italia, hanno posizioni di apertura per quanto riguarda accordi commerciali con un Paese che viola le libertà fondamentali?

Lacrimogeni durante la protesta a Harcourt Road (Hong Kong) nel giugno 2019

Il professor Galantini precisa che “in realtà, sono molte le cancellerie a livello internazionale che hanno già assunto delle posizioni molto nette e chiare nei confronti della linea di governance cinese. Non solo l’amministrazione Trump ha sollevato parecchi capi d’accusa in ordine a differenti fattispecie, come ad esempio la questione del coronavirus, o quella di Honq Kong, piuttosto che di Taiwan, ma anche se forse in maniera meno muscolare rispetto alla tradizione politica statunitense, sono molti gli Stati che hanno già assunto una serie di risoluzioni a livello istituzionale governativo e che non ammettono la condotta disinvolta cinese. Un esempio concreto: l’Unione europea già nel 2019, in sede di risoluzione della Commissione europea e sul consiglio in materia di affari esteri ha elaborato un paper che qualifica espressamente la Repubblica popolare cinese come un potenziale enemy, in quanto portatore di un modello di governance antitetico al modello dell’Unione europea. È la dichiarazione del Marzo 2019 della Commissione europea. In ambito diplomatico questi sono termini molto pesanti. Con riferimento proprio alla violazione palese dell’accordo del trattato tra Regno Unito e Repubblica popolare cinese, sono molteplici i Paesi di importanza primaria nelle relazioni internazionali che hanno rivisto i loro accordi di import-export con la Cina. Per esempio, sia l’Australia, che la Nuova Zelanda, Paesi fondamentali nel sud-est asiatico e nelle relazioni internazionali, hanno ridotto considerevolmente i loro accordi commerciali in chiave sanzionatoria” nei confronti del Dragone.

Incontro del Roma, 25 Agosto 2020, tra il Ministro Luigi Di Maio e il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese Wang Yi (foto ufficiale di esteri.it)

Ma non solo, “il Giappone, che da sempre è contrapposto alla Repubblica popolare cinese, ha potenziato e rivisto la qualificazione delle proprie forze armate per garantirsi la propria sicurezza verso un potenziale enemy com’è la Cina”.

E poi ancora, “l’India, per esempio, che è la vera antagonista della Repubblica popolare cinese nel continente asiatico, ha assunto una serie di risoluzioni in chiave politica istituzionale miranti a rafforzare un asse contrapposto alla Repubblica popolare cinese nell’ambito delle relazioni internazionali. Gli ultimi recentissimi scontri nella zona di confine nell’area dell’Himalaya del Kashmir tra India e Cina confermano ancora una volta come l’India si ponga in netta contrapposizione a livello politico militare alla Cina e non sia assolutamente disposta a concedere aperture di credito alle iniziative cinesi in materia di cooperazione economica e politica con i paesi asiatici”.

Il presidente Donald J. Trump ascolta il presidente indiano Ram Nath Kovind mentre pronuncia le sue osservazioni il 25 febbraio 2020, durante una cena di stato a Rashtrapati Bhavan, Palazzo Presidehntial in onore della visita del presidente Trump e della First Lady Melania Trump in India. (Foto ufficiale della Casa Bianca di Shealah Craighead)

Inoltre, “la stessa costituzione di una commissione ONU di studio sulle responsabilità del governo cinese in ordine alla violazione delle direttive dell’Organizzazione mondiale della sanità, è una dimostrazione palese di come all’interno delle Nazioni Unite, che è un organismo estremamente dialogico e che non ha mai una posizione unitaria proprio in virtù della struttura del Consiglio di Sicurezza, mostra che vi è un’ampia fascia di Paesi, non solo occidentali, che prende atto della preoccupante disinvoltura con cui il governo cinese si muove a livello internazionale. Anche in materia trattati, come ad esempio la violazione del WTO, la concorrenza illecita del libero mercato, la contraffazione di marchio d’impresa eccetera, non sono pochi i Paesi occidentali che hanno sollevato il livello di guardia, limitando gli accordi con la Repubblica popolare cinese”.

“La stessa Italia, in riferimento al meeting all’incontro Wang-Di Maio, in verità, non ha ancora assunto alcuna deliberazione in materia di sviluppo della cooperazione nell’ambito informatico telematico e di potenziamento degli accordi con l’azienda di Stato Huawei, in quanto come membro della NATO è stato esplicitamente richiamato dagli altri governi alleati ad effettuare una doverosa valutazione in materia di cooperazione con il governo cinese su tutto il settore informatico telematico”.

In effetti, a fine settembre, il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, durante il suo tour in Europa, ha messo in guardia l’Italia, chiedendo di fare attenzione alla privacy dei suoi cittadini. “Il Partito comunista cinese sta cercando di sfruttare la sua presenza in Italia per i propri scopi strategici, non sono qui per fare partenariati sinceri, che portano benefici a entrambi” ha affermato nell’incontro con il Ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio. Più in generale, durante il suo tour in Europa, Pompeo ha voluto ricordare che l’UE è alleata storica degli Stati Uniti e deve quindi continuare a perseguire questa strada.

Incontro del 30 settembre 2020 a Roma tra il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il Segretario di Stato USA Michael Pompeo (Foto ufficiale di esteri.it)

Dunque, a dispetto di quella che può apparire la vulgata massmediatica, sono parecchi i governi che hanno già assunto posizioni di aperta critica e di contrapposizione alle iniziative cinesi in materia di accordi internazionali. La Cina non è completamente libera di muoversi all’interno delle relazioni internazionali come meglio crede.

Il professor Galantini spiega che “la Repubblica popolare cinese mostra una certa aggressività e invasività, forse ipertrofica rispetto alla sua effettiva capacità, sia sotto il profilo delle relazioni internazionali, sia militare, sia economico. La Cina è sovradimensionata. Inoltre, il faraonico Silk Belt Road, la Via della Seta, è un programma gigantesco di accordi bilaterali, e non multilaterali, dimostrazione ancora una volta, di come la Cina non creda nel modello del multilateralismo, e quindi anche degli accordi sulla piattaforma giuridica ONU. Anche nella realizzazione di questo programma, la Cina ha non poche difficoltà: gli accordi sulla Via della Seta richiedono uno sforzo economico enorme, su cui la Cina sta facendo delle debite valutazioni, in quanto la sua capacità economica, ad oggi, non è in grado di garantire un ritorno su questi accordi. Inoltre, la Cina nel campo militare ha ancora un notevole gap rispetto al mondo occidentale, e per di più, non ha neanche lo stesso prodotto interno lordo (PIL), che ha invece ad esempio, l’Unione europea”. Galantini specifica che “solo gli addetti ai lavori sanno che l’Unione europea ha un potenziale economico ben superiore a quello cinese”.

Soldati in Piazza Tiananmen (di Dean Jackson Segui, Flickr)

Gli elementi forniti dall’esperto in materia, mostrano quindi, come la Cina in campo politico-militare si stia via via isolando sempre di più, in quanto la sua aggressività ha comportato un irrigidimento di Paesi, anche potenti e dotati di forza nucleare, come per esempio l’India o la stessa Russia di Putin, che è molto attenta e guardinga sul fronte del Pacifico.

Si potrebbe affermare che c’è certamente una ipertrofica visione della potenza disinvolta della Repubblica popolare cinese nel campo delle relazioni internazionali, a cui non corrisponde però una sua effettiva capacità di alterare o modificare il quadro ad oggi previsto dalla piattaforma ONU.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU

Dunque, l’atteggiamento dell’amministrazione Trump, non è colpevole “dell’avanzata” cinese. La posizione del presidente americano, per quanto possa essere carismatica, controversa e polemica la sua figura, è in perfetta interazione con la politica europea, piuttosto che di Israele, India, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, che guardano con diffidenza al dinamismo arrogante della Repubblica popolare cinese. Bisogna differenziare l’immagine che ne deriva a livello mass mediatico dell’azione di Donald Trump, e quello che in realtà è il perseguimento degli obbiettivi e delle finalità statunitensi, che non si discostano da quello che era l’operato del presidente democratico Barack Obama, piuttosto che di George W Bush. Dunque, anche per l’ormai eletto presidente democratico Joe Biden, le preoccupazioni nei confronti della Cina saranno le stesse. L’amministrazione statunitense non potrebbe in ogni caso sottrarsi dall’analizzare sotto il profilo politico l’aggressività cinese nelle relazioni internazionali. Mantenere l’egemonia è obiettivo primario anche per Joe Biden. Un esempio concreto è dato dalla implementazione dello stesso negoziato giuridico sulla sicurezza e la difesa con India, Giappone e Australia, il cosiddetto Quad-Quadrilateral Security Dialogue, promosso e potenziato dal Presidente Trump che è stato confermato nell’agenda Biden.

Il Professor Luca Galantini

Galantini conclude il suo commento affermando che certamente, però, il modello multilaterale delle Nazioni Unite è in profonda crisi, in questo momento. “Con la fine della Guerra Fredda e il crollo del modello socialista sovietico e della contrapposizione dei due blocchi, si è aperto un fronte conflittuale estremamente frammentato, che si traduce nell’incapacità del Consiglio di Sicurezza ONU di poter fare attività di mediazione, in quanto non c’è più una road map condivisa sul fronte dei trattati internazionali. Paradossalmente, l’Unione sovietica era un sistema di governance che, pur basato sul modello totalitario, riconosceva e condivideva il modello delle Nazioni Unite, non così invece, la Repubblica popolare cinese. La crisi delle Nazione Unite è dimostrata anche dal fatto che negli ultimi anni si è verificata una crescita esponenziale di accordi bilaterali, a scapito di quelli multilaterali, che mirano dunque a privilegiare di nuovo l’antico assetto del balance of power tipico di tutto l’Ottocento. In virtù di questa crisi, si dovrebbe riformulare a livello teoretico il modello stesso delle Nazioni Unite. Ma pronunciarsi nel breve/medio termine sulla fattibilità di sviluppo di formule internazionali alternative è molto prematuro”, conclude “significherebbe proiettarsi su ipotesi che, ad oggi, non hanno avuto alcun riscontro nella pratica”.

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Alessandra Loiero

Alessandra Loiero

Laureata all’Università Cattolica di Milano interfacoltà di Scienze Politiche e Sociali e Scienze Linguistiche e Letterature Straniere. Per la Voce di New York si occupa di Nazioni Unite e Politica Estera. Attualmente frequenta il corso di specializzazione in Geopolitica presso la Scuola di Limes. Alessandra earned an interdisciplinary degree from the Catholic University in Milan, in the faculties of Political and Social Sciences and Linguistic Sciences. Her work for La Voce di New York deals with the United Nations and Foreign Policy. She is currently attending a postgraduate course in Geopolitics at the Limes School.

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