Mentre in Libia si raggiungono risultati per quanto riguarda il piano sull’attuazione dell’accordo di cessate il fuoco tra le parti libiche, lo stesso non accade per i 18 pescatori sequestrati di Mazara del Vallo. Da oltre due mesi sono tenuti nello stato di detenzione a Bengasi dalle milizie del generale Khalifa Haftar, con l’accusa di aver sconfinato nelle acque libiche.
La comunità coinvolta si stringe alle famiglie delle vittime, che presiedendo Montecitorio, chiedono al governo “riportateli a casa”. Anche Papa Francesco, durante l’Angelus di domenica 18 ottobre, ha dato il suo sostegno. Il generale Haftar aveva espresso l’intenzione di forzare uno scambio di prigionieri con quattro libici, presunti calciatori, condannati dalla giustizia italiana a 30 anni per traffico di esseri umani. Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha fin da subito affermato che l’Italia “non sarà ricattata”, ha promesso di portare a casa gli ostaggi, ma senza mostrare i muscoli. Sono in corso trattative diplomatiche, e nonostante le pressioni di alleati di Haftar come gli Emirati Arabi Uniti, il generale dell’Esercito Nazionale Libico, non ha ancora accettato il rilascio.

Se è così facile prendere prigionieri dei cittadini italiani mentre stanno lavorando, quanti altri nelle altre bollenti aree del mondo sono in pericolo? La vicenda dei pescatori “rapiti” da Haftar per chi sa quale riscatto, potrebbe mettere in pericolo anche altri italiani che lavorano nel mondo?
Il presidente della Regione Nello Musumeci ha chiesto in una nota al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, un “incontro ufficiale con le autorità libiche”. Mentre il sindaco Salvatore Quinci ha fatto sapere di aver ricevuto una telefonata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “mi ha rappresentato la sua vicinanza ai familiari dei 18 pescatori di Mazara del Vallo ancora trattenuti in Libia. Ha riferito di seguire la vicenda da vicino con aggiornamenti quotidiani; mi ha chiesto di riportare parole di conforto e di speranza a tutta la comunità dei pescatori della nostra Città. Sono onorato e orgoglioso di avere ricevuto la chiamata della più alta carica dello Stato, segno evidente che le istituzioni ci sono vicine”.
Il fatto che non sia stato confermato il processo ai marittimi per l’accusa di droga, potrebbe essere interpretato come un segno positivo, ma sta di fatto che ad oggi i marittimi non sono ancora tornati dai propri cari.
Intanto martedì 3 novembre si è conclusa nella città nord-occidentale di Ghadames, la riunione durata due giorni della Commissione militare congiunta (JMC) – che comprende 5 membri del Governo di Accordo Nazionale (GNA) e 5 membri dell’Esercito Nazionale Libico (LNA). La Missione di Sostegno delle Nazioni Unite (UNSMIL) ha riferito che nell’incontro si sono formulate una serie di “raccomandazioni” da seguire nei dialoghi futuri.

“Questo è l’inizio di un processo che richiederà determinazione, coraggio, fiducia e molto lavoro. Quello che ho visto in questi due giorni e a Ginevra è stata la determinazione di questa squadra ad attuare questo accordo di cessate il fuoco”, ha detto il capo dell’UNSMIL Stephanie Williams, parlando ai giornalisti.
La discussione si è incentrata sui meccanismi per l’attuazione dell’accordo, inclusa l’istituzione di un sottocomitato, che monitorerà il ritiro delle forze armate e l’allontanamento delle forze straniere nelle “linee di contatto”. Sono stati anche discussi i meccanismi di monitoraggio e verifica, compreso un ruolo per gli osservatori internazionali per garantire il cessate il fuoco siglato il 23 ottobre. Il Comitato militare congiunto prevede inoltre di incontrarsi nuovamente nella città costiera libica di Sirte il prima possibile.
L’inviata UNSMIL Williams ha riconosciuto che comunque c’è ancora molta strada da fare, e ha affermato che spetterà ai singoli Paesi rimuovere i gruppi armati ed i mercenari che erano stati inviati in Libia.