Nel fine settimana è arrivata la notizia che la Procura di Roma ha iniziato ufficialmente a indagare sulla morte di Mario Paciolla, volontario 33enne della Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia, trovato impiccato nel suo appartamento a San Vicente del Caguán il 15 luglio scorso. L’autopsia ha inoltre confermato che si tratta di un omicidio.
Il 23 luglio la salma di Mario Paciolla, imbarcata con un volo diretto da Bogotà a Roma, è arrivata ai medici legali guidati dal professor Vittorio Fineschi, in condizioni precarie, sommersa da chili di segatura e senza che il cadavere venisse ricomposto dopo una prima autopsia eseguita in Colombia. Intanto però sono stati rivelati nuovi dettagli che gli inquirenti colombiani hanno mancato. Innanzitutto la quantità di sangue trovata sulla scena del crimine non corrisponde alle ferite troppo superficiali trovate sui polsi della vittima, come se avesse tentato di tagliarsi le vene; in secondo luogo il solco sul collo, mostrerebbe un nodo troppo sofisticato per esserselo fatto da solo. Ma la consegna della prima relazione dei periti è in attesa e potrebbe avvenire già questa settimana.

Le ricostruzioni
Nei report colombiani viene scritto che “tutto lascia supporre ad un suicidio” e il direttore generale per le relazioni internazionali della Fiscalia, Alejandro Jmenez, ha evidenziato che “dalle indagini non sarebbero emersi elementi tali da mettere in discussione l’ipotesi”. Una teoria alla quale né la famiglia, né chi lo conosceva bene ha mai creduto. Sua madre, Anna Motta, avrebbe definito questa verità una “baggianata” e ha raccontato che suo figlio era estremamente preoccupato nei giorni precedenti la sua morte.
La giornalista Claudia Julieta Duque, amica di Mario, che da subito ha condotto un’accurata indagine sulla vicenda, ha pubblicato su El Espectador, una lettera-articolo che ha chiarito diversi aspetti. Nota fondamentale è stato il rapporto “travagliato” tra Mario e i suoi superiori della Missione ONU in Colombia. La giornalista ha spiegato che per Mario non era più sicuro restare. Era stato accusato da una collega di “essere una spia”. Durante una riunione informale, lo scorso 10 luglio, successe qualcosa, aveva litigato con i suoi capi. Di questa accesa discussione, ne aveva parlato il giorno seguente con sua madre, definendosi “disgustato”.
Il giorno prima di morire stava pianificando di lasciare San Vicente di Caguan, dove abitava per trasferirsi a Bogotà, in attesa di imbarcarsi il 20 luglio per la Francia, per poi raggiungere la sua città natale, Napoli. Mario aveva acquistato due biglietti per Parigi, poiché intendeva convincere a partire anche Ilaria Izzo, sua ex fidanzata, anch’ella impegnata in una missione Onu in Colombia. Di questo riguardò una delle loro ultime discussioni, in quanto lei non intendeva lasciare il paese.
I racconti si incastrano con quanto raccontato alle autorità dalla ex fidanzata di Mario. “Nelle ultime telefonate piangeva, temeva di essere intercettato e pedinato”; la Izzo ha raccontato che le sue preoccupazioni sarebbero diventate “ossessive” e ha inoltre comunicato che Paciolla, probabilmente in relazione a qualcosa di cui era stato testimone, le avrebbe riferito di aver perso la fiducia in due colleghi della missione i cui nominativi sono a conoscenza della Fiscalia e sono tra i dipendenti della missione per i quali le Nazioni Unite hanno già concesso la rinuncia all’immunità diplomatica. Ilaria Izzo ha dichiarato di essere stata a lungo al telefono con Paciolla il 14 luglio e descrive le conversazioni di quel giorno come particolarmente agitate con continue crisi di pianto e urla, tanto che ad un certo punto Paciolla avrebbe affermato di “non voler più vivere”. Inoltre il 33enne le avrebbe confessato che lei era stata “la donna della sua vita” e “l’avrebbe supplicata di lasciare la Colombia e utilizzare il biglietto aereo che lui le aveva comprato”.

Il movente: la caduta di un ministro?
El Espectador, la scorsa settimana ha riportato che Paciolla era stato incaricato di indagare su un bombardamento compiuto dai militari contro un villaggio di dissidenti Farc, in cui erano morti anche 7 adolescenti. Il materiale che Paciolla aveva preparato per l’ONU, era poi arrivato nelle mani di un senatore dell’opposizione, Roy Barreras, presidente della Commissione per la pace con le Farc, che lo avrebbe utilizzato per mettere alla gogna il governo. La vicenda aveva costretto alle dimissioni l’allora ministro della Difesa, Guillermo Botero.
Da quel momento Mario Paciolla non si sarebbe più sentito sicuro. Il giornale colombiano riporta che nel novembre 2019, a seguito di un cyber-attack, dopo lo scandalo di due settimane prima, durante una vacanza a Napoli, Mario cancellò le sue foto personali e della sua famiglia dai social network, rese privato il suo account Facebook, cambiò la password e, anche se lasciò aperto il suo account Twitter, soppresse i suoi tweet; chiese a un amico di eseguire il backup dei dati del suo personal computer e al suo padre, Giuseppe Paciolla, di separare la connessione Internet del suo appartamento da quella della casa di famiglia.
Paciolla si sentiva “in pericolo, tradito ed era irritato con i suoi superiori”, aveva anche chiesto il suo trasferimento in un’altra sede della Missione dopo aver appreso che, parti dei rapporti da lui compilati, avevano causato un duro colpo ai vertici militari e costretto alle dimissioni il ministro.
Roy Barreras, presidente della Commissione per la pace del Senato, è stato ascoltato dalla giornalista Claudia Julieta Duque a proposito di questa ricostruzione dei fatti e ha smentito di aver ricevuto materiale dalla Missione di verifica delle Nazioni Unite sull’attentato a Caguàn, sostenendo che le sue fonti sono stati ufficiali dell’esercito, stanchi delle azioni militari e degli abusi da loro compiuti contro i diritti umani.
Gli inquirenti italiani, con a capo il pm Alberto Pioletti, che hanno iniziato la loro indagine dall’appartamento di Paciolla, hanno scoperto che la scena del crimine era stata alterata. Christian Thompson, militare in pensione e appaltatore della Missione ONU in Colombia che ha servito come capo della sicurezza per il gruppo a cui apparteneva Paciolla, ha sollevato sospetti nel caso. Diverse fonti sottolineano che avrebbe rubato il mouse di un computer dall’appartamento del volontario e lo avrebbe portato all’ufficio della missione di verifica. Inoltre, Thompson è stato il primo a trovare il corpo senza vita di Paciolla e avrebbe buttato via alcuni degli oggetti trovati sulla scena del crimine.
Quattro agenti della Sezione di indagine penale (SIJIN) della polizia di San Vicente del Caguán sono stati in seguito indagati per aver permesso ai membri della Missione di Verifica delle Nazioni Unite di raccogliere gli effetti personali del 33enne napoletano, inquinando, così, la scena del delitto.
Il Direttore di La Voce di New York, Stefano Vaccara, durante l’ordinario press briefing con il portavoce del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Stéphane Dujarric, ha chiesto cosa ne pensasse del fatto che le autorità hanno avuto difficoltà ad avere l’autorizzazione per interrogare certe persone della Missione delle Nazioni Unite in Colombia e come il quartier generale sta seguendo l’indagine (video sotto al minuto 21.35).
Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario Generale Antonio Guterres, ha risposto: “Stiamo continuando a lavorare a stretto contatto con le autorità colombiane e quelle italiane mentre procedono nelle loro indagini. Il personale delle Nazioni Unite è stato messo a disposizione per queste indagini, e continueremo a metterlo a disposizione. Per quanto ne so, potrebbero esserci stati alcuni problemi di pianificazione poiché, le persone si trovano in luoghi diversi. Ma il principio fondamentale è che le persone sono state e saranno rese tutte disponibili. Penso che tutti noi vogliamo fare chiarezza su quello che è successo. E’ una tragedia che ha colpito questo giovane, che stava lavorando ed era con noi come volontario delle Nazioni Unite”.