Un fulmine a ciel sereno: gli Emirati Arabi Uniti siglano un accordo di pace con l’Israele di Netanyahu volto ad “allentare le tensioni” e a “normalizzare i rapporti” nel Medio Oriente. L’importanza di questo accordo è data dal ruolo nevralgico ricoperto dagli Emirati Arabi Uniti nel mondo Arabo. Sono uno dei paesi più benestanti della regione e sono coinvolti militarmente e strategicamente in quasi tutte le questioni geopolitiche incandescenti: dalla guerra in Yemen alla Libia, dal caos Libanese all’Iran. Cosi come nel conflitto Israeliano-Palestinese, dove gli Emirati hanno sempre supportato l’indipendenza Palestinese e rifiutato qualsiasi relazione diplomatica con Israele.
Ma oggi tutto cambia. Infatti, l’accordo siglato a tre mani dal Primo Ministro Israeliano Benjamin Netanyahu, dal Principe di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed Al Nahyan, e dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, prevede lo sviluppo di legami strategici tra le due nazioni. Questo significa che i due paesi collaboreranno per quanto riguarda gli investimenti economici, il turismo, e l’innovazione tecnologica. Inoltre, per la prima volta nella storia, le due potenze istituiranno delle ambasciate reciproche e instaureranno dei voli diretti. In cambio, Israele ha accettato di porre fine, almeno temporaneamente, ai propri desideri espansionistici nel cuore della Cisgiordania.
Gli Emirati Arabi Uniti sono il terzo paese Arabo a stringere rapporti diplomatici con Israele dopo l’Egitto nel 1979 e la Giordania nel 1994. Le motivazioni dietro questo accordo di pace sono rintracciabili nel nemico comune di entrambe le potenze: l’Iran dell’Ayatollah Khamenei. Non è un segreto che l’Iran sia uno dei principali sponsor di Hamas: una delle fazioni più estremiste e pericolose per Israele nello Stretto di Gaza. E non è certamente un segreto che i rapporti tra Iran e Arabia Saudita – l’alleato più stretto degli Emirati Arabi Uniti – non siano propriamente idilliaci. Soltanto un paio di mesi fa l’Iran ha minacciato una “guerra totale” contro l’Arabia Saudita dopo aver lanciato un attacco devastante contro Aramco: la compagnia nazionale Saudita di idrocarburi. È dunque logico pensare che gli Emirati Arabi Uniti e Israele mettano da parte le proprie visioni contrastanti sul conflitto ultra-decennale tra Israele e Palestina per unire le forze e concentrarsi nel tenere a bada una nazione che rischia di diventare una potenza nucleare.
Ma dietro queste riflessioni dobbiamo anche considerare le motivazioni degli Stati Uniti d’America, o meglio, di Donald Trump. Il Presidente necessita disperatamente di una vittoria in campo internazionale da presentare ai propri elettori. Infatti, a parte qualche foto ricordo con Kim Jung Un, Donald non può vantare di grandi successi sul fronte estero. A pochi mesi dalle elezioni, con un Joe Biden e una Kamala Harris agguerriti in tutti gli stati chiave, un accordo del genere non può che far bene alla causa del Presidente. Con questa mossa, Trump punta a conquistare l’elettorato ebraico, cercando di rimediare, almeno in parte, alla perdita di consenso subita sul fronte dei cristiani evangelici, i quali sembrano essersi finalmente stufati del ciuffo biondo.