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August 13, 2020
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Sullo stato e il futuro della “depressione pandemica” e quindi del benessere mondiale

Su Foreign Affairs, gli economisti Carmen e Vincent Reinhart prevedono che la strada per la ripresa sarà lunga e che l'economia globale ne uscirà trasformata

Ambra AveniabyAmbra Avenia
Sullo stato e il futuro della “depressione pandemica” e quindi del benessere mondiale

Women in Nigeria collect food vouchers as part of a programme to support families 
struggling under the COVID-19 lockdown.
 (WFP/Damilola Onafuwa)

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Nell’ultimo numero del periodico Foreign Affairs, Carmen Reinhart e Vincent Reinhart dopo un’approfondita analisi dell’attuale depressione economica lanciano un appello non troppo velato: “I funzionari devono continuare con stimoli fiscali e monetari. E soprattutto, devono astenersi dal confondere un rimbalzo per un recupero”.

Gli autori spiegano che a differenza della crisi finanziaria del 2008, l’attuale “depressione pandemica” presenta nuove caratteristiche e richiederà un periodo di ripresa più lento e più lungo. Infatti, mentre il 2008 fu principalmente una crisi bancaria che colpì 11 economie avanzate, controbilanciata dalla crescita dell’economia cinese, dell’aumento dei prezzi delle materie prime e da bilanci in salute, la natura trans-frontaliera della crisi odierna avrà conseguenze più profonde sull’economia globale. Citando i dati più recenti della Banca Mondiale, gli autori stimano che questa crisi colpirà più duramente le famiglie ed i paesi a basso reddito: fino a 60 milioni di persone nel mondo saranno spinte in estrema povertà a causa della pandemia.

I due economisti notano che nonostante i segni positivi nel mercato del lavoro statunitense e la riapertura di alcune economie importanti, “questo rimbalzo non deve essere confuso con un recupero. In tutte le peggiori crisi finanziarie dalla metà del diciannovesimo secolo, ci sono voluti in media otto anni perché il PIL pro-capite tornasse al livello precedente alla crisi.” Sebbene qualsiasi tipo di previsione in questo contesto non può essere data per certa, gli autori analizzano tre indicatori che insieme sembrano suggerire che la strada per la ripresa sarà lunga:

Factory workers in an assembly line in Cambodia (ILO/Marcel Crozet)

1. Il volume ed i prezzi delle esportazioni. La chiusura delle frontiere ed i lockdowns graveranno ulteriormente sulle economie dipendenti dall’esportazioni, che hanno già visto una contrazione della domanda globale dei beni come conseguenza della recente guerra commerciale USA-Cina e da una generale decrescita già registrata tra il 2008 ed il 2018. “Per le economie in cui il turismo è un’importante fonte di crescita, il crollo dei viaggi internazionali è stato catastrofico. Il Fondo monetario internazionale ha previsto che nei Caraibi, dove il turismo rappresenta tra il 50 e il 90 per cento del reddito e dell’occupazione, le entrate del turismo “torneranno ai livelli pre-crisi solo gradualmente nei prossimi tre anni.”

Inoltre “non solo il volume degli scambi è diminuito; sono diminuiti anche i prezzi di molte esportazioni.” In particolare nel settore del petrolio questo cambiamento è stato più visibile: “Il rallentamento ha causato un enorme calo della domanda di energia ed ha frantumato la fragile coalizione nota come OPEC +, composta dai membri dell’OPEC, della Russia e di altri produttori alleati, che avevano guidato i prezzi del petrolio tra i 45 ei 70 dollari al barile negli ultimi tre anni.”

2. I livelli di disoccupazione. I più vulnerabili sono i neolaureati che entrano in un’economia compromessa. “la performance salariale relativa dei quarantenni e cinquantenni può essere spiegata dalla loro condizione lavorativa durante l’adolescenza e i vent’anni.” Chi partirà svantaggiato, faticherà negli anni a recuperare terreno. Inoltre, “coloro che sono ancora a scuola ricevono un’istruzione inferiore alla media nelle loro classi online socialmente lontane; nei paesi in cui la connettività Internet è scarsa o lenta, gli studenti più poveri abbandonano il sistema educativo a frotte.”

Reinhart e Reinhart notano anche che nonostante le politiche nazionali possano aiutare a controbilanciare questi effetti della pandemia, “nelle economie emergenti, le persone operano principalmente senza reti di protezione sociale. Ma indipendentemente dalla loro ricchezza relativa, i governi stanno spendendo di più e assorbendo meno” sia a livello locale che a livello nazionale, con delle basi imponibili in contrazione legate anche ai salari persi.

3. Questa crisi è altamente regressiva all’interno dei paesi e tra i paesi. Questo significa che gli effetti della crisi saranno molto più pesanti per coloro che già avevano redditi inferiori. “Queste persone generalmente non hanno la possibilità di lavorare da remoto o non hanno le risorse necessarie per gestire periodi di disoccupazione.” Nei paesi in via di sviluppo, dove le reti di protezione sociale sono allo stato embrionale o inesistenti, il declino del tenore di vita avverrà soprattutto nelle fasce più povere della società. “La natura regressiva della pandemia può anche essere amplificata da un aumento mondiale del prezzo del cibo, poiché malattie e lockdowns interrompono le catene di approvvigionamento e i modelli di migrazione della manodopera agricola. Le Nazioni Unite hanno recentemente avvertito che il mondo sta affrontando la peggiore crisi alimentare degli ultimi 50 anni. Nei paesi più poveri, il cibo rappresenta ovunque dal 40 al 60 per cento delle spese legate al consumo; come quota dei loro redditi, le persone nei paesi a basso reddito spendono da cinque a sei volte di più in cibo rispetto alle loro controparti nelle economie avanzate.”

Gli autori indicano anche qualche spiraglio di luce: con il graduale controllo della crisi della sanità pubblica, “ci saranno probabilmente miglioramenti impressionanti nell’attività economica e nell’occupazione, alimentando l’ottimismo dei mercati finanziari. Tuttavia, è improbabile che questo effetto di rimbalzo fornisca una ripresa completa.” Inoltre “le politiche fiscali e monetarie utilizzate per combattere la contrazione mitigheranno, piuttosto che eliminare, le perdite economiche.”

Sono più cauti per quanto riguarda le conseguenze sociali “più difficili da prevedere”, ma generalmente ogni cambiamento “a seguito dei progressi tecnologici o dell’apertura di nuove rotte commerciali internazionali, cambiano la distribuzione delle risorse, creando vincitori e vinti.”

Gli autori concludono spiegando che “non esiste una soluzione unica per questi problemi politici e sociali. Ma una linea di condotta prudente è impedire il peggioramento delle condizioni economiche che hanno prodotto queste pressioni.” Un quadro che lascia poco spazio a slanci ottimistici, ma forse è ormai tempo per aspettative più realistiche e scelte politiche prese mantenendo i piedi solidamente a terra.

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Ambra Avenia

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