Era il 9 luglio 1995 quando la città di Srebrenica e i territori circostanti furono attaccati dalle truppe dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina.
Srebrenica era a maggioranza musulmana, e per essere inclusa nei confini della “nuova Serbia”, che sarebbero stati sanciti negli accordi spartitori di Dayton, doveva essere sacrificata. Rappresentava una macchia nera da ripulire. Per questo, dopo un’offensiva, durata alcuni giorni, l’11 luglio iniziò lo sterminio di tutti gli uomini, soprattutto di coloro in età da combattimento.
I maschi tra i 12 e i 77 anni vennero separati dalle loro donne e madri, dai bambini e dagli anziani, con la scusa di essere interrogati; in realtà vennero trucidati e gettati in fosse comuni.
“Un quarto di secolo fa, le Nazioni Unite e la comunità internazionale fallirono” ha denunciato il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres. In effetti, a seguito di una prima offensiva serba nel 1993, quella zona era stata dichiarata protetta dalle Nazioni Unite, e le forze bosniache furono costrette ad una demilitarizzazione.
La popolazione civile doveva essere protetta e difesa dall’ONU, ma i caschi blu, nel 1995, lasciarono che i maschi venissero brutalmente uccisi. Come ha affermato l’ex Segretario Generale Kofi Annan, “questo fallimento -perseguiterà la nostra storia per sempre“.

La strage fu guidata dal generale Ratko Mladic, con l’appoggio del gruppo paramilitare degli “Scorpioni”.
Nel 2007, una sentenza della Corte internazionale di giustizia, stabilì che il massacro, poiché commesso con l’intento di distruggere il gruppo etnico dei bosniaci, costituiva un “genocidio”. Ratko Mladic e il presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dell’epoca, Radovan Karadzic, vennero condannati all’ergastolo.
Ma a distanza di 25 anni, le donne di Srebrenica continuano a piangere i loro morti. Fu tolta la vita a oltre 8000 musulmani bosniaci tra l’11 e il 16 luglio.
Per non dimenticare, Antonio Guterres, ha voluto ricordarlo a tutta la comunità internazionale: “Il genocidio di Srebrenica fu il peggior crimine di atrocità sul suolo europeo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Venticinque anni dopo, rendiamo omaggio alle migliaia di persone brutalmente assassinate e ci impegniamo a non dimenticarle mai”.
Solo i bombardamenti Nato fermarono i serbo bosniaci. In seguito i soldati musulmani e croati riconquistarono circa il 20% del Paese, e gli Stati Uniti riuscirono a convincere i serbi a smettere di colpire i civili e a concordare una pace.
Il 21 novembre venne firmata la pace di Dayton. Il territorio venne bipartito tra etnie “pure”, ma sotto un governo centrale debole. Da un lato la Federazione di Bosnia Erzegovina (a maggioranza croata e musulmana) e dall’altro la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, identificata come Srpska (a maggioranza serba e che occupa il 49% del territorio). Entrambe hanno una loro una bandiera, uno stemma, un presidente, un parlamento, polizia, dogana e sistema postale. Ma di fatto la Bosnia ha un presidente per ognuno dei tre popoli: serbi, croati e musulmani. La situazione politica in Bosnia Erzegovina è estremamente complicata. Le bipartizioni di questo territorio, non sono assolutamente da confondere con la Repubblica di Serbia con capitale Belgrado.

“In questo cupo anniversario, ci viene ricordato che la pace in Bosnia ed Erzegovina è ancora fragile” ha affermato Guterres.
La conflittualità tra le diverse etnie è infatti ancora viva all’interno del paese, a causa dell’instabilità governativa. La Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (Srpska), geograficamente è in Bosnia, si sente in realtà serba e desidera avere l’indipendenza. Mentre i bosniaci musulmani vogliono cancellare la Repubblica Serba e avere un unico governo. L’accordo di Dayton viene violato giorno dopo giorno.
Milorad Dodik, leader dei serbi di Bosnia, nel febbraio 2020 aveva minacciato la secessione della Republika Srpska.
Dunque la tensione nei Balcani è ancora palpabile. Da anni la ex Jugoslavia è il teatro di uno scontro tra popoli. Una Bosnia divisa, dove l’odio corre ancora.
A causa di tutte queste discriminazioni la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2009 ha condannato la Bosnia-Erzegovina.
Ma il Segretario Generale dell’Onu ha voluto lanciare un appello: “tutti i cittadini meritano il costante impegno dei loro leader a lavorare verso un ambiente di rispetto reciproco senza discriminazione, odio o incitamento alla violenza. Lo dobbiamo alle vittime del genocidio di Srebrenica, ai sopravvissuti”.
L’anniversario del genocidio di Srebrenica è anche un’occasione per ricordare altre comunità che sono state sottoposte a atrocità di massa basate sulla loro identità, e gli esperti hanno invitato la comunità internazionale ad agire urgentemente per “respingere il virus dell’odio e della discriminazione“.