Nel giorno in cui era atteso a New York lo sbarco – probabilmente ritardato a mercoledì a causa delle condizioni marittime e meteorologiche non favorevoli – della teenager paladina del clima e dell’ambiente Greta Thunberg, al Palazzo di Vetro la conferenza stampa di Luis Alfonso de Alba, inviato speciale del Segretario Generale per il Climate Action Summit 2019, ha sintetizzato le novità, le speranze e le aspettative sulla grande iniziativa che si terrà a New York tra il 21 e il 23 settembre. Il weekend che precederà l’apertura del Dibattito Generale all’ONU, con i leader mondiali come da tradizione riuniti nel tempio della diplomazia internazionale, sarà infatti l’occasione per far sedere attorno a un tavolo rappresentanti di Governi, esponenti della società civile, del settore pubblico e privato e giovani per confrontarsi sull’emergenza climatica che mette a rischio il nostro pianeta.
Si partirà sabato 21 settembre con il Youth Summit, a cui parteciperanno tanti giovani – tra cui la stessa Greta –, ai quali verrà chiesto di sviluppare un’agenda e relative raccomandazioni, ma anche di assumersi impegni precisi da portare avanti in prima persona. Eppure, ha tenuto a specificare de Alba, i giovani non saranno “isolati”: al contrario, molti di loro (tra cui Greta, ancora una volta) parteciperanno anche all’altro evento, e avranno l’occasione di dialogare con il Segretario Generale, António Guterres.
L’aspettativa è quella di avere tra i partecipanti al Summit almeno un centinaio di leader mondiali. Anche gli Stati Uniti ci saranno: non si sa ancora rappresentati da chi, ma, ha annunciato l’inviato del Segretario Generale, la loro presenza è stata confermata dal Dipartimento di Stato. Altra notizia emersa durante la conferenza stampa a proposito degli States di Trump – non esattamente un sostenitore delle iniziative ambientali – è che gli USA non si sono ancora formalmente ritirati dagli accordi di Parigi. In realtà, ha specificato de Alba, ne hanno solo annunciato l’intenzione, che potrà essere formalizzata soltanto nel 2020 come previsto dagli accordi stessi.
USA o no, de Alba ha ammesso che il livello di impegno nel panorama politico internazionale rispetto agli impegni contenuti negli accordi di Parigi sta visibilmente calando. Eppure, l’Inviato Speciale di Guterres ha annunciato con entusiasmo che, durante il summit, oltre alle iniziative collettive, saranno presentati anche dei piani nazionali per combattere il cambiamento climatico. Segno, ha fatto capire, di quanto alcuni Paesi stiano prendendo a cuore la questione.
Certo: non basta. Lo ha detto Guterres qualche ora fa dal G7 di Biarritz: “Abbiamo gli strumenti per combattere l’emergenza climatica, ma serve una più forte volontà politica”. Il nuovo Summit sarà celebrato nel contesto di una “drammatica emergenza climatica”, testimoniata dal fatto che, secondo il report della World Meteorological Organization delle Nazioni Unite, gli anni compresi tra il 2015 e il 2019 sono stati i cinque più caldi mai registrati, con un preoccupante livello di concentrazione di CO2 nell’aria.
Per non parlare, poi, di quanto sta avvenendo in Amazzonia, circostanza che, ha specificato de Alba, può avere un impatto negativo sul clima e può essere a sua volta alimentata dal cambiamento climatico. In questo senso, de Alba ha ribadito il sostegno delle Nazioni Unite a qualsiasi iniziativa volta a rispondere alla crisi, come l’impegno dei leader del G7 a destinare 20 milioni di dollari all’emergenza – offerta, pare però, declinata dal presidente brasiliano Bolsonaro –.
Quanto all’urgenza di maturare risposte anche sul breve-medio periodo, l’Inviato di Guterres ha spiegato che dal Summit uscirà un report, che chiederà l’implementazione di azioni immediate entro l’appuntamento di dicembre con la COP 25 di Santiago del Cile. I prossimi passi, ha fatto capire, dovranno essere compiuti prima del 2020, salvo poi ammettere che per l’adozione di piani più comprensivi potrebbero volerci anni. De Alba ha però lasciato intendere che le Nazioni Unite sono perfettamente consapevoli dell’urgenza della questione. Una buona notizia, visto che, come questo giornale ha in più occasioni sottolineato, anche nei contesti internazionali dove si sono celebrati risultati importanti, in realtà si sono presi impegni non abbastanza coraggiosi e si sono lasciati irrisolti troppi fronti.
Sarà forse per questo che, mentre i ghiacci della Groenlandia si sciolgono e un numero record di incendi prolifera dall’Artico all’Amazzonia, passando per l’Alaska, il Segretario Generale dal G7 suona ancora una volta le sirene: “Siamo messi molto peggio di quanto non eravamo durante la conferenza di Parigi” nel 2015, ha ammesso. E ha aggiunto che le recenti evidenze scientifiche fornite dall’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite hanno chiarito l’assoluta necessità “di mantenere l’aumento della temperatura a 1.5 gradi Celsius fino alla fine dell’anno, e di arrivare a emissioni zero entro il 2050, con una riduzione del 45% entro il 2030”. “Quindi, è assolutamente essenziale che i Paesi si impegnino ad alzare il livello di ambizione delle promesse fatte a Parigi perché ciò che è stato promesso non è sufficiente”, ha tuonato. Lo ascolteranno?