“Le risposte alle minacce del cambiamento climatico e le azioni per uno sviluppo sostenibile ci impongono una visione di lungo termine che sia in grado di offrire soluzioni alle generazioni presenti e future sulla base di politiche e misure efficaci e da adottare fin da ora”: parola di Sergio Costa, ministro dell’Ambiente del Governo italiano, in queste ore in visita a New York per partecipare all’evento di alto livello organizzato dalla presidente dell’Assemblea Generale ONU María Fernanda Espinosa su clima e sviluppo sostenibile, nel contesto degli obiettivi contenuti nell’Agenda 2030. Un evento, questo, nato dal fatto che, durante la 73esima sessione dell’Assemblea Generale lo scorso settembre, 146 Stati membri hanno sollevato il tema del cambiamento climatico, individuando il fenomeno come la sfida cruciale della nostra era. E lo stesso segretario generale Antonio Guterres – come ha ricordato lo stesso ministro Costa nel suo discorso in Assemblea – lo ha definito il più importante rischio sistemico per l’economia globale e per il prossimo futuro. Proprio Guterres, insieme a Espinosa, in queste ore ha tenuto una conferenza stampa per la pubblicazione del World Meteorological Organization’s Statement on the State of the Global Climate in 2018, che ha evidenziato l’impressionante accelerazione degli effetti fisici e socio-economici del cambiamento climatico, con un record senza precedenti di innalzamento del livello del mare e delle temperature terrestri e oceaniche nel corso degli ultimi 4 anni.
In questo quadro, nel suo intervento il ministro Costa ha illustrato l’impegno dell’Italia sull’ineludibile tema, impegno concretizzatosi ad esempio nell’inaugurazione del “Centro per il clima e lo sviluppo sostenibile per l’Africa, una piattaforma per fare sinergia fra i vari interventi per il clima e la sostenibilità nel continente africano”, e nella definizione attualmente in corso di “numerosi accordi di partnership con Paesi africani e Piccole Isole del Pacifico che ci vedono al loro fianco nella tutela dell’acqua, le energie rinnovabili, la resilienza e l’adattamento, la mobilità sostenibile e il capacity building”. Tutte iniziative che giustificano la candidatura, ufficializzata dal Ministro, dell’Italia a ospitare la COP26 nel 2020: “Vogliamo, in questo che sarà un appuntamento fondamentale per il futuro del pianeta, mettere a disposizione il patrimonio italiano di credibilità, di capacità di dialogo e di ascolto verso tutto il mondo, per raggiungere risultati concreti sulla via della protezione del clima globale per le generazioni presenti e future”, ha detto.
Abbiamo incontrato il titolare dell’Ambiente a margine del suo intervento alle Nazioni Unite, e gli abbiamo chiesto una riflessione sull’impegno della comunità internazionale in questo senso, sul ruolo dell’Italia a livello globale e sulla appassionata mobilitazione dei giovani in tutto il mondo sui temi del clima e dell’ambiente.

Ministro, due settimane fa è stato all’Assemblea ONU sull’ambiente a Nairobi; oggi partecipa a questo importante evento al Palazzo di Vetro: eppure, sono iniziative a cui i media non danno sufficiente risalto. Qual è il suo bilancio?
“Sono stati due appuntamenti importanti. Quello di Nairobi perché promosso dall’organizzazione delle Nazioni Unite specificatamente dedicata all’ambiente, e lì si è chiuso, secondo me, un buon accordo sull’economia circolare a livello planetario: di questo siamo soddisfatti. Siamo invece meno soddisfatti su altri temi, tre in particolare. Primo, quello sulle plastiche, perché si è fatta una dichiarazione in cui non si è posto un vincolo temporale, e questo, secondo noi, l’ha impoverita. Proprio in Europa ieri è passata finalmente la direttiva sulle plastiche monouso, che noi avevamo già votato come Consiglio dei Ministri dell’Ambiente, quindi, dal 2021, in Europa sono vietate la loro detenzione, commercializzazione, e dispersione in ambiente. Avremmo gradito un’iniziativa del genere, vincolante, anche per il resto del mondo. Anche sulla deforestazione c’è stato un impegno generico, mentre combatterla è importante sia in relazione al contrasto ai cambiamenti climatici che alla lotta al dissesto idrogeologico. Infine, pensiamo sia importante che i dati ambientali vengano scambiati preventivamente tra i soggetti planetari, e non ex post per determinate situazioni già diventate patologia: se si scambiano prima, stabilendo anche il modo di far parlare le banche dati tra loro, si riesce a prevenire meglio quello che altrimenti dopo si dovrà andare a sanare”.
A due settimane da allora, oggi si trova qui, al Palazzo di Vetro a New York.
“Altro evento molto importante, una tappa intermedia nella strada che porta ad Abu Dhabi a giugno, al nuovo appuntamento a New York la prima settimana di luglio, e al Climate Summit che si terrà dal 23 settembre. Quello che sta emergendo è che adesso è il tempo delle azioni concrete. Azioni che incrociano un momento particolare, l’anno 2020, in preparazione all’anno topico che fissa i contributi di ogni singola nazione o unione di nazioni al 2030. Noi abbiamo colto l’occasione come Paese Italia, perché stiamo acquisendo una buona leadership sul tema ambientale a livello di UE, con politiche governative, nazionali ed europee estremamente innovative. Proprio in virtù dello spazio che ci stiamo ritagliando, siamo venuti a Nairobi e a New York a proporre ufficialmente, con la firma del nostro Premier, la candidatura per ospitare COP26 del 2020. Avendo fatto un cammino nel nostro Paese e in Europa – dove siamo il Paese leader per il taglio delle emissioni in atmosfera di CO2, pur essendo produttori di auto –, pensiamo di poter dire qualcosa in proposito. Stiamo raccogliendo discreti consensi, consapevoli che anche Inghilterra e Turchia propongono la loro candidatura. Noi vogliamo provare a disegnare una nuova visione della tutela dell’ambiente. Agli italiani d’America dico: non credete che produzione e tutela dell’ambiente vadano su strade diverse, che non si incontrano. Non è vero: è un paradigma antico che abbiamo superato, al punto tale che stiamo dimostrando che per ogni miliardo di euro investito nelle fonti fossili, si generano 5mila posti di lavoro; ma per ogni miliardo di euro investito nelle fonti alternative energetiche, si generano 15mila posti di lavoro. È insomma un’occasione di sviluppo anche, principalmente, economica. Se c’è un’economia che si può trasformare in economia verde, per un pianeta che ne ha bisogno, non c’è motivo di non farlo. Bisogna avere visione e coraggio”.
In questo quadro, abbiamo visto che i giovani giocano un ruolo di primo piano.
“Ci tengo a dirlo: siamo venuti anche a dire qui che noi crediamo molto nei rapporti con i giovani. Abbiamo ricevuto alla Presidenza del Consiglio la settimana scorsa alcuni giovani attivisti rappresentanti dell’impegno sul clima da tutta Italia, e abbiamo proposto qui di ospitare la COP26 istituzionalizzando la loro presenza. Non vogliamo, insomma, un side event in cui li si ascolta e il rapporto finisce lì, ma piuttosto intendiamo renderli co-decisori, e farli sedere al tavolo di chi decide: l’adulto ascolta il giovane e le sue istanze. Noi abbiamo gli strumenti: è il momento di sedersi allo stesso tavolo, e non al tavolo di un dio minore. Questa è la novità che vogliamo portare a COP26, ma che, in ogni caso, vogliamo coltivare nei prossimi anni”.
Proprio parlando di Friday for Future, iniziativa che in tutto il mondo ha visto tantissimi giovani protagonisti, in Italia abbiamo però avuto anche delle polemiche. Pensa che gli italiani siano consapevoli dell’urgenza di affrontare questi temi, oppure non abbastanza?
“C’è una statistica molto interessante che ci dice che il 90% dei giovani italiani ha come uno dei riferimenti della loro vita la tutela ambientale, l’ecocompatibilità e l’ecosostenibilità, declinate in modo diverso a seconda delle sfaccettature. Questo significa che la classe dirigenziale del futuro è compatta nell’avere quella stella polare. Se questo è un fatto, qualsiasi polemica deve tener conto che siamo in presenza di un blocco unico di giovani italiani che è attento all’ambiente, la cui tutela non è per loro un desiderio ma più una necessità. La stessa statistica, se la applichiamo agli adulti, ci dice che c’è una percentuale più bassa di persone che guarda all’ambiente come priorità, ma una percentuale più alta di donne attenta al tema. Se questi sono dati numerici, seppur probabilistici, vuol dire che ogni tipo di “micropolemica” è abbandonata dalla storia: quando un popolo – la classe dirigente del futuro – vuole una cosa, la storia travolge chi non la vuole. Sono fiducioso su questo, e sono anche fiducioso che, se pure ho la statistica solo italiana ed europea, la sensibilità dei giovani americani non sia così diversa”.
Eppure, qui negli Stati Uniti anche a livello politico c’è un dibattito molto polarizzato sul tema: da un lato c’è chi, come la neodeputata Alexandria Ocasio-Cortez e di seguito molti candidati alle primarie democratiche, promuove iniziative come il Green New Deal; dall’altro, un’amministrazione Trump che segue tutt’altra strada e ha fatto ritirare gli USA dall’accordo di Parigi.
“Io credo che bisogna ascoltare i giovani. Che siano italiani, europei o americani, parto da questo presupposto: stiamo preparando una classe dirigente di giovani che, nel futuro, si chiederà che cosa avrebbe potuto fare? Oppure una classe che in futuro si domanda che cosa può altro fare? La differenza è se avremo un pianeta resiliente, adattato e salvato, o un pianeta che può dirci che si è pentito di noi. È chiaro che c’è una fase di transizione, in cui si aiuta la futura classe dirigenziale di giovani a maturare un’idea, trasformando la percezione in idea solita e quindi in fatti concreti, andando oltre alla canalizzazione della protesta che deve diventare proposta. Questo sta già avvenendo, in Italia e in Europa. L’altro invito: la classe adulta vuole provare a mettere in discussione per un attimo e abbandonare le proprie certezze? È possibile che non siamo in grado di guardare con un occhio più giovane? In Italia, già abbiamo fatto qualcosa in questo senso: abbiamo inserito nel percorso scolastico di tutte le scuole, dall’asilo all’università, la formazione ambientale di almeno un’ora. Ora è extracurricolare, nel corso della legislatura diventerà intracurriculare: questo per dare continuità. Mi piacerebbe pensare che qualcosa di simile lo facesse anche una grande nazione come gli Stati Uniti d’America: sarebbe un segnale forte per il mondo”.
Ministro, di recente Greenpeace ha contestato in alcune sue parti il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) presentato dal Governo, perché a suo avviso replicherebbe le strategie insufficienti degli esecutivi precedenti, puntando troppo sul gas e troppo poco sulle energie rinnovabili. Che ne pensa?
“Intanto, è una bozza. Avevamo un obbligo normativo che era quello di presentare entro il 30 dicembre 2018 in Europa una bozza del Piano Clima Energia. È la prima volta che tre Ministeri – dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture – lavorano in orizzontale. Peraltro, l’UE si è anche meravigliata positivamente che abbiamo rispettato i tempi. Abbiamo un anno, il 2019, in cui questa bozza andrà su tre tavoli: il tavolo della Valutazione ambientale e strategica (VAS), dove è già passata, perché tutti coloro che hanno qualcosa da dire possano farlo, confrontandosi con il Ministero dell’Ambiente; il tavolo – già aperto in termini telematici e concreti – degli stakeholders, cioè di coloro che hanno qualcosa da dire dal punto di vista produttivo, e lo andranno a fare con gli altri due Ministeri; e infine il tavolo dell’UE, che ci può fare raccomandazioni specifiche. Greenpeace è una realtà importante a livello nazionale, europeo e internazionale: sui tre tavoli, dica qualcosa, dica che cosa farebbe e come lo farebbe. Altrimenti, è astrazione. Noi pensiamo di aver fatto una bozza concreta, non alla “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Non abbiamo scritto una favola, ma una cosa che siamo certi di poter fare. Ma se qualcuno ci dice che si può fare di più, meglio e ci dice anche come farlo, noi siamo felicissimi”.