Sono trascorse solo poche ore da quando il presidente USA Donald J. Trump, finalmente liberatosi (per ora) dalla spada di Damocle del report Mueller sul Russiagate, proclamava ufficialmente il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan, territorio da decenni conteso tra Tel Aviv e Damasco, occupato da Israele nella Guerra dei Sei Giorni nel 1967. Una mossa forse non clamorosa quanto lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, ma pur sempre in netta contraddizione con decenni di politica estera americana e con numerose risoluzioni ONU che condannano, e non riconoscono, l’annessione di porzioni di territorio con la forza. Non è un caso che ci sia chi fa notare che “l’usurpazione dei territori delle Alture del Golan e quella della Crimea non sono così differenti”.
Proprio in quelle ore, il lancio di un razzo da parte di Hamas contro un’abitazione del villaggio di Mishmeret, a circa 25 km a nord di Tel Aviv, ha rischiato di alimentare una nuova escalation e rintuzzare la scintilla del conflitto israelo-palestinese. L’attacco attribuito ad Hamas, che ha coperto la più lunga distanza mai raggiunta da un razzo dal 2014 a questa parte, ha ferito 7 persone, compresi una donna anziana e un bambino. A causa della nuova esplosione di violenze, il primo ministro Benjamin Netanyahu, che il 9 aprile dovrà affrontare incerte elezioni su cui pesa l’ombra delle accuse di corruzione e frode a lui indirizzate, è stato costretto ad accorciare la visita al fedele alleato americano. Le forze militari israeliane hanno risposto all’attacco con bombardamenti che, ha spiegato l’ambasciatore all’ONU Danny Danon, hanno puntato a distruggere alcune infrastrutture di Hamas a Gaza. Dal canto suo, l’organizzazione palestinese – ha fatto sapere Danon – ha parlato di un “incidente”: un ufficiale di Hamas ha riferito alla CNN che il gruppo non avrebbe avuto interesse a rischiare un conflitto con Israele. “Non è stato un incidente”, ha detto però Danon allo stakeout che ha preceduto il Consiglio di Sicurezza, in cui ha mostrato una fotografia della casa distrutta dal razzo, “è stato un attacco contro Israele”. Danon ha quindi chiesto ai colleghi di condannare l’atto ostile e di riconoscere “finalmente” Hamas come “organizzazione terroristica”.
Il Consiglio di Sicurezza ha quindi ospitato il briefing del Coordinatore Speciale del processo di pace in Medio Oriente nonché rappresentante personale del Segretario Generale, Nickolay Mladenov, che ha chiesto al consesso di condannare la recente provocazione di Hamas contro Israele – la seconda in dieci giorni –, e ha ricordato quanto l’esplosione di un nuovo conflitto potrebbe essere devastante per Gaza e per l’intera regione. Mladenov ha anche denunciato la repressione operata da Hamas delle proteste pacifiche andate in scena a Gaza contro la precaria situazione economica e sociale dovuta alle divisioni della leadership palestinese e al controllo di quel territorio operato dal gruppo palestinese mediante l’uso della forza. Le forze di sicurezza di Hamas hanno condotto una campagna di arresti e violenze contro i manifestanti, hanno picchiato brutalmente giornalisti e membri del personale della Independent Commission of Human Rights. D’altra parte, Mladenov ha parlato anche delle nuove violazioni delle risoluzioni ONU commesse da Israele, che prosegue la sua campagna di demolizione e annessione di territori palestinesi nella West Bank e a Gerusalemme Est. Tra dicembre 2018 e marzo 2019, si legge nell’ultimo report del Segretario Generale che Mladenov ha illustrato, “133 strutture sono state demolite o occupate dalle autorità israeliane”, circostanza che ha avuto come conseguenza lo “sfollamento di 252 persone”, con altre 20.157 coinvolte in quanto i permessi di costruzione gestiti da Israele sono pressoché impossibili da ottenere dai palestinesi. In aggiunta a ciò, nel periodo considerato “27 palestinesi, compresi bambini, sono stati uccisi dalle forze militari israeliane, durante manifestazioni, scontri, bombardamenti, operazioni di sicurezza e altro”, mentre “i militanti palestinesi hanno lanciato 46 razzi e sparato 6 colpi di mortaio contro Israele”. L’Air Force israeliana, a sua volta, ha lanciato “123 missili contro siti militari e aree aperte di Gaza”. Una situazione complessa, ulteriormente peggiorata dalla retorica infiammatoria usata da entrambe le parti.
I membri del Consiglio di Sicurezza hanno risposto all’appello di Danon e di Mladenov condannando fermamente il lancio del razzo da parte di Hamas, che avrebbe potuto causare una nuova escalation. Allo stesso tempo, però, la condanna si è estesa, nella maggioranza dei casi e fatta eccezione per gli Stati Uniti, alle violenze perpetrate “da entrambe le parti” e all’annessione israeliana dei territori palestinesi. Molti membri del Consiglio, tra cui Germania, Gran Bretagna, Belgio, Polonia e Francia, hanno fermamente criticato la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità israeliana sulle alture del Golan, decisione che l’ambasciatore americano alle Nazioni Unite ha giustificato definendo un errore e una minaccia alla sicurezza israeliana lasciare quel territorio al controllo iraniano e siriano.
Il rappresentante permanente di Berlino all’ONU, in particolare, ha ricordato che la decisione degli Stati Uniti è in contraddizione con la posizione ONU sancita dalle relative risoluzioni. Rivolgendosi poi all’ambasciatore israeliano e a quello palestinese, ha chiesto di mettere da parte il loro discorso e di spiegare, piuttosto, “in che modo pensate di fermare gli insediamenti, in che modo pensate di fermare le provocazioni, la retorica infiammatoria?”. Dal canto suo, Francois Delattre, rappresentante permanente della Francia all’ONU questo mese presidente del Consiglio, dopo aver condannato l’azione di Hamas e, insieme, l’uso sproporzionato della forza di cui in molti casi, compreso nel corso di manifestazioni, l’esercito israeliano si è reso protagonista, ha avvertito: “Ogni tentativo di distaccarsi dai parametri internazionali del processo di pace israelo-palestinese verrà rigettato. 25 anni dopo Oslo, potrebbe esserci la tentazione di voltare le spalle al quadro concordato, qualsiasi tentativo di schierarsi a tappe dei parametri internazionali della pace israelo-palestinese sarà respinto”. Nella nota comune diramata da questi Paesi europei, si mette nero su bianco: “L’annessione di territori tramite forza è proibita dalla legge internazionale. Ogni dichiarazione di modifica unilaterale del confine è contro lo stato dell’ordine basato sulle regole internazionali e alla carta dell’ONU. Esprimiamo le nostre preoccupazioni per le più ampie conseguenze che il riconoscimento dell’annessione illegale e riguardo le più ampie conseguenze regionali”.
L’ambasciatore palestinese Mansour, dopo aver espresso la condanna della leadership palestinese dell’atto ostile di Hamas verso Israele, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di trovare la volontà politica di far rispettare le risoluzioni ONU, e ha messo in guardia Tel Aviv dall’attaccare Gaza per fare campagna elettorale: “Ascoltate i politici israeliani che competono l’uno con l’altro per capire chi verserà più sangue palestinese”, ha detto provocatoriamente. Di tutta risposta, Danon ha rifiutato l’espressione “entrambe le parti” reiterata dai membri del Consiglio di Sicurezza, Germania in primis, per condannare equamente le violenze dei due popoli mediorientali, e ha osservato: “Hamas ha l’abilità di lanciare razzi a lungo raggio nel territorio di Israele. Per me questo attacco a Mishmeret è vicino a casa, perché è il posto dove risiedo. La mia casa è a solo poche centinaia di passi da lì. Immaginate se un razzo incendiasse casa vostra, dove crescete i vostri bambini”. E, dopo aver ribadito la propria richiesta alle Nazioni Unite di riconoscere Hamas quale organizzazione terroristica, ha suggerito che il Consiglio di Sicurezza formi una commissione per verificare “chi tra palestinesi e israeliani non stanno rispettando la legge internazionale”.
Un Consiglio di Sicurezza infuocato, vivida fotografia di una comunità internazionale divisa, ancora ferma alle condanne, ma incapace di immaginare una strada verso la pace. La riunione del più potente consesso ONU ha peraltro messo in evidenza gli ostacoli che continuano a trovarsi lungo quella strada. Tra questi, almeno una leadership palestinese divisa e inadeguata a difendere la causa che è chiamata a rappresentare, l’ostinazione israeliana a perseguire la propria campagna di occupazione ed espropriazione dei territori occupati, giochi politici assecondati dalla benevolenza americana con le elezioni israeliane che si avvicinano a grandi passi.