Almeno tre milioni i migranti che i network e i circuiti criminali organizzati hanno “contrabbandato” in “Occidente”; qualcosa che a queste filiere frutta ogni anno qualcosa come sette miliardi di dollari. Già queste due cifre danno l’idea di quanto sia velleitario e stupido pensare di frenare questo fenomeno con le smorfie dipinte in volti stolidamente arcigni, e i proclami più o meno barricadieri: milioni di esseri disperati sono una forza inarrestabile; un flusso di denaro di queste dimensioni consente ogni tipo di copertura, connivenza, copertura.
È impietoso il rapporto diffuso qualche mese fa dall’ufficio ONU contro la droga e il crimine. Il direttore di questo organismo Jean-Luc Lemahieu avverte: “S’arricchisce sulla pelle dei più vulnerabili tra i vulnerabili, e prolifera dove si bloccano le frontiere, perché chi fugge da guerre e povertà non si ferma davanti a un porto chiuso e finisce per affidarsi ai contrabbandieri. Il traffico criminale dei migranti segue vien terrestri più che marine e aeree, e cambia spesso tragitti per rendersi inafferrabile”.

Sì: abbiamo letto bene: il fenomeno “prolifera” proprio dove si creano blocchi, dove si erigono “muri”, dove si chiudono i porti. “Muri” e chiusura di porti alimenta e nutre le organizzazioni criminali; le “rotte” sono flessibili, e comunque più quelle terrestri, rispetto a quelle marine e aeree.
Il rapporto fornisce altre preziose informazioni: sono “censite” una trentina di grandi rotte globali; e tra queste, quella del Mediterraneo è la più tragica: dal 2014 quasi ventimila i morti; la “rotta” numericamente più massiccia è quella dei paesi del Centro-America verso gli Stati Uniti: ogni anno almeno 800mila migranti che finiscono nelle grinfie delle organizzazioni criminali, sperando di ottenere un “traghettamento” verso California, Arizona, Texas… Dopo quella centro-Americana la “rotta” più seguita (e mediaticamente ignorata) risulta essere quella del sud-est asiatico, verso la Thailandia. Viene poi quella del Nord-Africa, attraverso i paesi sub-sahariani: quasi mezzo milione di persone, per lo più si riversano in Libia; altri quattrocentomila si riversano attraverso altri tre “itinerari” mediterranei: Corno d’Africa, Mediterraneo orientale; Mediterraneo occidentale.
Queste sono le dimensioni di un colossale traffico “criminale”. Nel giugno scorso per la prima volta, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha sanzionato quattro cittadini libici e due eritrei che gestiscono queste “reti”, bloccando i loro conti correnti. Le azioni sono state proposte dai Paesi Bassi. I sei uomini sanzionati sono gli eritrei Ermias Ghermay e Fitiwi Abdelrazak; e i libici Ahmad Oumar al Dabbashi, Musab Abu Qarin, Mohammed Kachlaf e Abd al Rahman al Milad, capo di un’unità di una Guardia costiera regionale libica.
Colpirli nelle tasche è qualcosa di concreto; come lo è – su un altro terreno – per gli affiliati e i boss della Cosa Nostra e della ‘ndrangheta. Il denaro è l’unica cosa a cui sono sensibili, sequestro e confisca l’unica cosa che veramente temono. Ma, si capisce, è più facile e “visivamente” soddisfacente gonfiare petto e far la faccia feroce disponendo la chiusura di porti e la costruzione di “muri”.