Quando il Segretario di Stato Mike Pompeo ha fatto la sua comparsa giovedì all’ONU per incontrare il Segretario Generale Antonio Guterres, si è capito che la crisi in Venezuela stava volgendo a un ulteriore punto caldo. In effetti, non si sa che cosa il titolare degli Affari esteri di Trump e il capo dell’ONU si siano detti nel loro meeting in merito alla situazione del Paese sudamericano, mentre in merito allo Yemen – altro argomento di discussione – è trapelato qualche dettaglio in più. Qualche ora più tardi, sono giunte le prime notizie in merito agli scontri al confine con il Brasile, che hanno causato la morte di due civili, indigeni Pemon venezuelani, mentre altre 14 persone sono rimaste ferite, 3 delle quali in gravi condizioni.
La ricostruzione dei fatti fornita dalla stampa americana ed europea è piuttosto inquietante. Pare infatti che, dopo gli ordini di Maduro di chiudere il confine e bloccare l’accesso dei convogli umanitari, la popolazione indigena del villaggio di Kumarakapay si sia opposta al blocco semplicemente parandosi di fronte ai veicoli militari, e ricevendo in risposta dall’esercito venezuelano gli spari che hanno stroncato due persone e ferito, anche gravemente, altre 14. In seguito, i protestanti avrebbero sequestrato un generale della guardia nazionale venezuelana, José Miguel Montoya, ritenuto responsabile dell’azione sanguinaria.
Nelle stesse ore, erano in corso i negoziati – che pare abbiano avuto successo – tra Caracas e Washington per rimandare la deadline che, il prossimo lunedì, avrebbe segnato il ritiro dei rispettivi diplomatici. Sempre venerdì, il leader dell’opposizione Juan Guaidó ha fatto la sua comparsa in Colombia, nella città di confine Cúcuta, per sostenere l’ingresso dei convogli umanitari. Proprio alla frontiera con la Colombia, è andato in scena il Live for Venezuela organizzato dal magnate britannico Richard Branson, che ha visto l’esibizione di varie star latinoamericane e caraibiche per raccogliere 100 milioni di dollari in cibo e medicine. Intanto, secondo gli ultimi dati, il numero dei rifugiati venezuelani ha toccato i 3,4 millioni.

In questo quadro, nella serata di venerdì il ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza ha tenuto un press briefing alle Nazioni Unite. Per certi versi, un déjà vu della conferenza stampa che il Ministro tenne qualche settimana fa, se non fosse che questa volta ha accettato le domande dei giornalisti. Arreaza ha riferito di aver incontrato il Segretario Generale, e di aver parlato con lui in merito alle prossime iniziative da prendere in sede ONU e di un eventuale supporto tecnico e umanitario coordinato dalle Nazioni Unite.
Nella nota diffusa dall’ufficio di Guterres, il Segretario Generale ha esortato le autorità venezuelane a non usare “forza letale” contro i civili. Dal canto suo, nel briefing al Palazzo di Vetro Arreaza, sventolando la Carta delle Nazioni Unite, è tornato a contestare le “interferenze straniere”, in primis statunitensi, negli affari venezuelani, denunciando la presenza di gruppi paramilitari al confine con la Colombia ed elencando le diverse “operazioni false flag” a suo avviso condotte negli anni passati contro la sovranità del Venezuela.
Ai giornalisti che gli hanno chiesto conto delle violenze delle ultime ore, il Ministro ha innanzitutto glissato, sottolineando però la tendenza generale ad accusare Maduro “per tutto quello che succede”. Quindi, noi della Voce gli abbiamo chiesto un follow-up, domandando se i militari avessero ricevuto ordini precisi di sparare sui civili, e cosa sarebbe successo a chi di loro avesse deciso di non seguirli. (Vedere Video sotto dal minuto 20:31)
Nella domanda, abbiamo fatto riferimento ai fatti di piazza Tienanmen, quando uno studente impedì il passaggio di un carro armato semplicemente ponendosi di fronte ad esso pacificamente. In quel caso – era il sottinteso – nessuno gli sparò. Arreaza ha sostanzialmente negato la veridicità della versione riportata dai media, chiedendoci se avessimo visto un video dei fatti (ad oggi non disponibile e mai pubblicato da nessun media), e sottolineando che i membri dell’esercito venezuelano non hanno mai ricevuto ordini simili, visto che “noi vogliamo la pace e la stabilità”. “Le notizie sull’uso di armi leggere al confine venezuelano non sono corrette, un militare non avrà mai l’ordine di sparare ai civili”, ha detto. Aggiungendo che “i soldati sono lì per proteggere il territorio venezuelano”.
D’altra parte, Arreaza ha confermato che l’amministrazione di Nicolás Maduro è in contatto con altri Paesi dell’area per esprimere la propria preoccupazione per un possibile intervento militare straniero. “Comunichiamo con le autorità di Porto Rico e della Repubblica Dominicana, a cui esprimiamo la nostra preoccupazione”, Paesi che, ha proseguito, “hanno negato l’arrivo di forze speciali nel loro territorio: confidiamo che sia così”, ha spiegato.
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