Isaias Medina è un avvocato internazionale con più di 25 anni di esperienza, ma soprattutto, tra il 2015 e il 2017, ha servito il suo Paese, quel Venezuela tanto ultimamente al centro delle cronache mondiali, come diplomatico presso la Missione di Caracas all’ONU. Erano anni importanti, dal punto di vista internazionale, per il Paese bolivariano, rappresentato in Consiglio di Sicurezza: proprio in quell’ambito, infatti, Medina ha lavorato come consulente legale. Quindi, due anni dopo l’inizio del suo incarico, Medina ha rassegnato le sue dimissioni, protestando contro la violazione dei diritti umani del governo di Maduro e denunciando pubblicamente più di 20 alti funzionari alla Corte Penale Internazionale. Il punto di non ritorno, ha raccontato, è stato quando, nel 2017, l’Ordine di Malta aveva offerto aiuti umanitari per incontrare i bisogni della popolazione, aiuti che vennero rifiutati da un Governo categorico nel negare la crisi.
Un background che Medina ha condiviso volentieri con i giornalisti corrispondenti dalle Nazioni Unite, in occasione di una conferenza stampa organizzata dall’UNCA (la United Nations Correspondent Association), nella quale ha descritto una situazione quasi apocalittica per il popolo venezuelano. Un popolo, ha affermato Medina, portato sull’orlo del baratro dalla mancanza di cibo e medicinali, con tanti neonati che non sopravvivono ai primi giorni di vita a causa della denutrizione, un controllo sociale capillare perpetrato con le carte d’identità ZTE, gli oppositori di Maduro imprigionati e torturati, un tasso di mortalità di adulti e bambini impressionante: quadro supportato da dati che, ha detto l’ex diplomatico, ha industriosamente raccolto dopo le sue dimissioni, in un periodo trascorso negli Stati Uniti, con asilo politico, come fellow alla Harvard University.
Medina ha anche accusato il governo di Maduro di essere “sponsor del terrorismo”, con link con Hezbollah (e i dati e i nomi citati in questo caso risalgono soprattutto agli anni 2006-2008), e con altri gruppi come le Farc e l’ELN. A suo avviso, il “regime” chavista è rimasto, in qualche modo, ostaggio delle stesse potenze straniere che lo hanno appoggiato sin dall’inizio – Russia, Cina e Cuba –, e che ne Paese hanno giganteschi interessi. Potenze che, a suo avviso, starebbero “infiltrando”, nel vero senso della parola, il territorio venezuelano. E a chi gli ha chiesto se sosterrebbe un intervento straniero in patria (come quello ventilato dagli Stati Uniti), Medina ha inizialmente risposto che un intervento, da parte di potenze straniere, “è già in corso”.
In effetti, è proprio sull’”intervento” che la conferenza stampa ha preso una piega degna di nota. Perché l’ex diplomatico, che ha raccontato di essere in contatto con i leader dell’opposizione e ha ricordato di aver fatto parte del movimento “Rumbo Libertad”, oggi ospitato dal Brasile dell’ultra conservatore Bolsonaro, ha ripetuto più volte, alle domande dei giornalisti, che sosterrebbe un “intervento internazionale umanitario” in Venezuela. Qualche dubbio è rimasto sulla linea di demarcazione che separerebbe tale intervento da uno di tipo militare. Come premessa, Medina ha più volte condannato la decisione di Maduro di impedire l’accesso di aiuti umanitari nel Paese: e se per garantire assistenza alla popolazione è necessario il supporto militare, ha aggiunto, “così sia”. Non solo: l’ex diplomatico ha fatto capire che, a suo avviso, percorrere la strada della transizione politica e delle nuove elezioni – che pure auspica – non sarebbe cosa così immediata, vista la forte presenza di Cina, Russia e Cuba di cui sopra, quest’ultima, ha detto, con ben 22 agenzie infiltrate nei ranghi militari.
E tra gli strumenti che a suo avviso la comunità internazionale avrebbe a disposizione per sostenere il popolo venezuelano, ha citato anche il Settimo Capitolo (“Chapter Seven”) della Carta delle Nazioni Unite, che sancisce le prerogative del Consiglio di Sicurezza, anche in caso di minacce alla pace. Medina, in particolare, ritiene che ci sarebbe spazio per appellarsi alla cosiddetta “responsabilità di proteggere” (“responsability to protect”). Si sta parlando di un impegno globale della comunità internazionale, adottato dai membri delle Nazioni Unite nel World Summit del 2005, che consente di intervenire negli affari interni di uno Stato per proteggere la sua popolazione dal rischio di genocidi, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e pulizia etnica.
Una “proposta”, quella di Medina, che chiaramente si infrangerebbe, in Consiglio di Sicurezza, contro il veto di Russia e Cina, ma che potrebbe fornire invece un assist giustificativo agli Stati Uniti di Trump, che l’intervento militare continuano ad averlo sul tavolo. Quanto al ruolo giocato nelle Nazioni Unite, l’ex diplomatico ha ricordato i report pubblicati sulla situazione umanitaria in Venezuela e l’impegno dell’ex Alto Commissario per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein, indirettamente criticando la posizione di prudenza di quello nuovo, Michelle Bachelet, già invitata a visitare il Paese.
Come anche altri colleghi, noi della Voce gli abbiamo chiesto di essere più specifico sulla sua posizione relativa a un possibile intervento militare, ma soprattutto gli abbiamo domandato come si potrebbe evitare il ripetersi di scenari devastanti visti in altri casi (come in Libia) in cui si è intervenuti sulla base della “responsability to protect”. “Penso che la situazione sia autoevidente”, ci ha risposto. “Quando gli ospedali, bambini e neonati in condizioni che assomigliano a quelle di campi di concentramento. Le donne partoriscono per terra, i bambini sono scheletrici, la gente muore in strada, 3 milioni di persone si nutrono di rifiuti”. Su questa base, dunque, Medina sostiene un “intervento umanitario internazionale, sotto il cappello della responsabilità di proteggere”. Per evitare le conseguenze catastrofiche di una nuova Libia, ha proseguito, sarebbe cruciale “l’uso della tecnologia”. “Ad oggi, stanno bloccando gli aiuti umanitari: perché lo fanno? Non c’è neanche il supporto militare. Ora, stanno effettivamente spingendo perché vi sia un supporto militare”, ha detto del governo Maduro. “Certo, possiamo migliorare le esperienze passate”, ha sottolineato. “Ci sono più di 77 riferimenti di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sulla responsabilità di proteggere. Il potere sovrano originario risiede nel popolo”, e quando “un regime compie azioni contro il suo popolo, la comunità internazionale ha la responsabilità di proteggerlo”. Per il resto, ha continuato “ho molte idee su come poter usare le tecnologie per rispettare i più alti standard di conformità per un intervento umanitario internazionale”.
A margine della conferenza, abbiamo poi chiesto a Medina un commento sul rifiuto del Governo italiano di riconoscere Juan Guaidó come Presidente ad interim. “Sono discendente italiano io stesso, da parte di madre”, ci ha risposto quando abbiamo ricordato la presenza di oltre 200mila italiani in Venezuela e i tantissimi venezuelani in cui scorre sangue italiano. “No c’è neutralità per gli aiuti umanitari”, ha sottolineato. “Chiedo al Primo Ministro, con il dovuto rispetto, di riconsiderare la sua posizione, perché deve supportare non solo gli italiani del Paese, ma anche la posizione dei Paesi dell’UE”, soprattutto perché, ha aggiunto, “è la cosa giusta da fare”.