Mentre il voto per il tanto dibattuto Global Compact for Migration, già adottato a Marrakech il 10 e 11 dicembre scorsi, è atteso per mercoledì, qualche ora fa l’Assemblea Generale dell’ONU ha affermato a larga maggioranza (181 voti a favore, 2 contrari e 3 astenuti) il suo “gemello” sui rifugiati, detto Global Compact on Refugees. Un patto, quest’ultimo, considerato dalla comunità internazionale meno controverso di quello sui migranti in generale proprio perché, a proteggere i rifugiati, esiste già una convenzione internazionale legalmente vincolante: quella di Ginevra del 1951. Proprio in merito alla differenza tra tale convenzione e il patto ONU, Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha chiarito, rispondendo a una domanda dei giornalisti, che mentre la prima è un trattato legalmente vincolante, il secondo, adottato in queste ore, non è invece “legally binding”, ma fornisce a Stati, istituzioni e società civile alcuni strumenti utili per agire nel rispetto dei diritti dei profughi.
Proprio per celebrare l’adozione del Global Compact on Refugees, si è tenuta alle Nazioni Unite una cerimonia (qui il video) alla presenza dello stesso Grandi, della presidente dell’Assemblea Generale Maria Fernanda Espinosa e del vice segretario generale ONU Amina J. Mohammed, a cui hanno partecipato, tra gli altri, Bertine Bahige, ex rifugiato e preside della Rawhide Elementary School, e le 36 ragazze del Pihcintu Refugee Youth Choir, che con la loro musica hanno festeggiato i 181 sì al patto ONU sui profughi.
“In questo nostro mondo, che spesso volge le spalle persone bisognose, che ha vergognosamente politicizzato anche il dolore dell’esilio, che ha demonizzato e continua a demonizzare rifugiati e migranti e talvolta anche persone semplicemente straniere, questo patto, in sinergia con quello sulla migrazione, può davvero rappresentare in modo tangibile un nuovo impegno per la cooperazione internazionale”, ha affermato il capo dell’UNHCR. E ha aggiunto che il Global Compact on Refugees simboleggia “un nuovo impegno per i valori condivisi di solidarietà e la ricerca di soluzioni giuste e sostenibili per le persone svantaggiate”.
Il voto dell’Assemblea Generale ha portato con sé una sorpresa e una conferma: la sorpresa è arrivata dall’Ungheria, che, pur essendosi precedentemente dichiarata contraria al Global Compact on Migration ma a favore del Global Compact on Refugees, ha infine votato contro quest’ultimo. La conferma è giunta, invece, dagli Stati Uniti, che, già fuori dal patto ONU sulle migrazioni, in sede di Terza Commissione avevano espresso, lo scorso 13 novembre, il loro parere contrario anche al patto sui rifugiati, a causa, soprattutto, di alcune scelte “terminologiche” contrarie alle politiche dell’amministrazione Trump. Tra le motivazioni addotte, la volontà di non aderire agli impegni enunciati dalla Dichiarazione di New York, sostenuta dalla precedente amministrazione e progenitrice dei due Global Compact, perché considerati “incoerenti con la politica migratoria degli Stati Uniti” e non compatibili “con la loro sovranità”; l’impossibilità di avallare un linguaggio che, ad esempio, invita gli Stati a limitare la detenzione dei richiedenti asilo, circostanza considerata non coerente con la legge e gli interessi americani; la supposta incompatibilità tra la natura non vincolante dell’accordo e il “linguaggio contenuto nei paragrafi 22 e 23” della risoluzione proposta a metà novembre, “che ‘afferma’ il Global Compact on Refugees e invita gli Stati a implementarlo”.
Per il resto, avevano argomentato gli States, “sosteniamo gran parte di ciò che è incluso nel Global Compact on Refugees per fornire una base per una risposta prevedibile e una maggiore condivisione degli oneri tra gli Stati membri delle Nazioni Unite e altre parti interessate”. Un supporto, in effetti, confermato dallo stesso Alto Commissario per i Rifugiati che, intervistato dalla Voce di New York dopo il voto dell’Assemblea Generale e l’evento celebrativo, ha ricordato come gli USA restino il principale finanziatore dell’UNHCR e come il bilancio dell’organizzazione di quest’anno si chiuda con la più generosa donazione a stelle e a strisce di sempre.
Gli Stati Uniti hanno votato contro l’adozione del Global Compact on Refugees. Che ne pensa?
“Gli USA hanno votato contro la risoluzione dell’ONU che porta con sé il patto globale, ma nella dichiarazione di voto in sede di Commissione, valida anche in sede plenaria, hanno sottolineato che il loro problema era quello di aderire a certe formulazioni della risoluzione, ma che questo non pregiudicava in nessun modo il loro supporto internazionale ai rifugiati e all’Alto Commissariato. Chiudiamo l’anno, tra qualche giorno, con 1 miliardo e 600 milioni di contributo statunitense alle operazioni della mia organizzazione, che è il più sostanziale contributo degli Stati Uniti della storia. Questo prova, in un certo senso, il loro impegno. Certo, la discussione con l’amministrazione americana è molto complessa, e ci sono aree, come il reinsediamento dei rifugiati da Paesi terzi negli USA, le questioni relative al confine con il Messico, in cui il confronto è difficile. Ma in sostanza il dialogo continua, e il supporto c’è. Certo, dispiace che gli Stati Uniti e l’Ungheria abbiano votato contro”.
Lei ha detto di essere sorpreso dalla decisione dell’Ungheria. Perché?
“Perché l’Ungheria aveva votato, in sede di Commissione, insieme al resto dell’Unione Europea, in favore del patto globale. Non conosco le ragioni di questo cambiamento. L’Ungheria ha anche fatto una dichiarazione in sede di voto, adducendo ragioni che non capisco: ha detto ad esempio che questo patto crea confusione tra migranti e rifugiati, quando in realtà è proprio quella la ragione per cui esistono due patti. Una contraddizione in termini che, francamente, non comprendo”.
Oggi l’Italia ha votato sì sul Global Compact on Refugees. Mercoledì, invece, non appoggerà il Global Compact for Migration, perché farà votare il Parlamento nel merito. Che ne pensa?
“Non giudico le decisioni sovrane degli Stati. Semplicemente dico che i due patti sono paralleli. Rifugiati e migranti non sono le stesse persone; tuttavia, nel fase di mobilità, spesso i problemi che li riguardano sono uguali – il traffico di persone, l’attraversamento di mari e deserti, i rischi a cui vanno incontro soprattutto donne e bambini –: su questi aspetti, i due patti sono complementari, anzi sinergetici. Quindi, a mio avviso, è un peccato appoggiare un patto e non l’altro perché queste sinergie vanno aumentate per affrontare meglio questi problemi. Terrei ad aggiungere un punto: l’Italia, da diversi anni e soprattutto con l’attuale Governo, ha condotto una campagna a mio avviso molto importante per chiedere una risposta condivisa in Europa a questi movimenti. L’Italia è rimasta sola, soprattutto in anni passati, di fronte all’arrivo di queste persone via mare. I patti rappresentano proprio il tentativo di condividere responsabilità, risorse e risposte: quindi, perché non aderire? Mi sembra una contraddizione”.
Consigli per il governo Conte? Esiste un dialogo?
“Ho avuto una visita a Roma un paio di mesi fa. Ho incontrato il presidente del Consiglio, il ministro degli Interni, il ministro degli Esteri, il presidente della Repubblica, e ho avuto un dialogo molto dettagliato. Ci sono, a volte, differenze di opinioni. Recentemente ho anche pubblicato una lettera sul Corriere della Sera in cui ho espresso le mie riserve riguardo al decreto sicurezza appena votato. Ho anche significato al Governo che l’Alto Commissariato, anche in quanto agenzia tecnica di supporto ai Governi sulla gestione di questi fenomeni, rimane a disposizione. Il dialogo, insomma, continua”.