L’Iran, si sa, è uno dei temi di politica internazionale più divisivi nelle relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea, perlomeno da quando Donald Trump siede alla Casa Bianca. Il famigerato accordo sul nucleare, fortemente voluto da Barack Obama e ripudiato dal suo successore, sembra costituire infatti la cortina di ferro che divide le politiche estere dei due alleati al di qua e al di là dell’Oceano. Eppure, le recenti attività di Teheran legate al suo programma missilistico, denunciate con forza mercoledì dal segretario di Stato Mike Pompeo in Consiglio di Sicurezza ONU, sembrano per un attimo aver stabilito una tregua tra i due litiganti. Perché, al lungo e infuocato discorso in cui Pompeo ha elencato tutte le attività iraniane condotte in violazione della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza, gli Stati europei hanno risposto condividendo appieno i timori degli States, e reiterando ancora e ancora una parola divenuta rappresentativa della loro posizione: concerns, “preoccupazioni”, appunto.
Pompeo ha diligentemente ricordato come, solo due giorni fa, Amir Hajizadeh, capo della Islamic Revolutionary Guard Corps, si sia vantato della capacità di Teheran di costruire missili balistici con un raggio d’azione di 2000 km, e di come l’Iran effettui 40-50 test missilistici all’anno; ha poi sostenuto che, da quando l’accordo sul nucleare è stato adottato, il Paese mediorientale ha aumentato, e non diminuito, le sue attività in tema di programma missilistico, disponendo, in più, di più soldi per implementarlo; ha quindi sottolineato che Teheran possiede oggi la più grande forza missilistica del Medio Oriente, che ha più di 10 sistemi missilistici balistici, già pronti o in via di sviluppo, e ha elencato tutte le principali violazioni messe in atto dal Paese degli ayatollah da quando il JCPOA è in vigore. Non solo: nel suo discorso, Pompeo ha accusato l’Iran di fornire missili, training e supporto ai ribelli Houti in Yemen, ma anche alle milizie sciite in Iraq, di offrire rifugio ai militanti di Al Qaeda, sostegno ai talebani in Afghanistan, di “armare i terroristi in Libano”, di facilitare il commercio illecito di carbone somalo a vantaggio dell’organizzazione terroristica Al-Shabaab, di rinfocolare i conflitti in Yemen e Siria.
Di fronte a tali denunce, i partner europei hanno espresso, appunto, la loro preoccupazione. Ma sono stati chiari nell’affermare che la loro posizione rispetto al trattato sul nucleare non può considerarsi cambiata. “Finché l’Iran continuerà a rispettare appieno i propri impegni, l’UE rimarrà pienamente impegnata nella progressiva implementazione dell’accordo”, si legge nella nota firmata da Belgio, Francia, Germania, Italia e Olanda, Polonia, Svezia e Regno Unito (membri europei uscenti, attuali o entranti del Consiglio di Sicurezza). L’accordo, si specifica inoltre, affronta considerevoli sfide da quando gli Stati Uniti ne sono usciti e hanno reimposto sanzioni all’Iran. “È essenziale che il JCPOA continui a funzionare per tutti i partecipanti”, ribadiscono gli europei, “anche nell’assicurare benefici economici al popolo iraniano”. Ed è solo al netto di questa lunga premessa che, poi, si definiscono “very concerned” per il comportamento iraniano. Comportamento che, in ogni caso, non sembra poter mettere in discussione l’adesione del Vecchio Continente al patto sul nucleare: “Pur tenendo distinto da tutto ciò il JCPOA, chiediamo all’Iran di astenersi da tali attività, che peggiorano la sfiducia e accrescono le tensioni regionali e non sono conformi alla risoluzione 2231. Chiediamo all’Iran di affrontare tali questioni in dialogo con gli attori interessati”.
Allo stakeout al termine del Consiglio, la questione dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa sull’Iran è stata approfondita, su richiesta dei giornalisti, dallo stesso segretario di Stato Pompeo. Il quale, sulla possibilità che l’UE sviluppi uno “Special Purpose Vehicle” per gestire le transazioni tra Teheran e le compagnie con essa in affari, ha semplicemente risposto che, se mai sarà, gli Stati Uniti osserveranno ciò che avverrà. Ma ha ribadito che, in caso di palesi violazioni, le sanzioni potranno essere rinforzate “con grande rigore contro tutte le parti che le commettono”. Soprattutto, alla domanda su quali saranno i prossimi step (e se tra questi è contemplata una guerra), Pompeo ha delineato l’intenzione degli Stati Uniti di “costruire una coalizione come quella che abbiamo ascoltato oggi, quando 11 membri del Consiglio di Sicurezza si sono uniti agli USA nell’esprimere la loro preoccupazione”.
Quello che per l’Europa sono concerns – non ancora tali da mettere in discussione il patto sul nucleare –, per Pompeo è insomma già una coalizione, che dovrà in futuro “preparare delle risposte per costruire un politica di deterrenza nei confronti dell’Iran”. Ancora non è dato sapere se, tra queste risposte, viene contemplato, come qualcuno sostiene, un intervento militare.
Concerns, coalition: due termini dalle implicazioni semantiche e politiche molto diverse, che esprimono le rispettive visioni del Vecchio e Nuovo Continente rispetto alle violazioni iraniane. Resta da capire con certezza se l’interpretazione di Pompeo – in merito, appunto, all’esistenza, potenziale o in atto, di una “coalizione” – sia un’iperbole più o meno strategicamente concepita o, piuttosto, una descrizione realistica della posizione europea. Quel che resta da notare ha invece a che fare con la posizione del Belpaese. Perché, qualche ora prima della riunione del Consiglio, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, in visita in Israele, definiva “terroristi islamici” i miliziani di Hezbollah, gruppo radicale sciita libanese alleato dell’Iran e nemico di Tel Aviv. Lo ha fatto, peraltro, mettendo a rischio la sicurezza dei militari italiani nel Paese e facendo traballare la posizione di tradizionale “medietà strategica” dell’Italia in Medioriente. Non c’è dubbio che quella definizione sarebbe pienamente condivisa da Pompeo, che, per coincidenza, l’ha proprio utilizzata nel suo discorso. Ma la domanda è un’altra: le parole di Salvini si devono considerare semplicemente una dichiarazione imprudente, o forse preludono all’apertura, in seno al Governo, di un dibattito sulla politica estera italiana nei confronti dell’Iran? Ai posteri l’ardua sentenza.