Il 16 ottobre, in tutto il mondo si celebra la giornata mondiale dell’alimentazione. Una ricorrenza che nella data dell’anniversario della fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, comunemente conosciuta come FAO, istituita a Québec (Canada) il 16 ottobre 1945, vuole ricordare il problema dell’alimentazione. Un tema importantissimo tanto che le Nazioni Unite hanno inserito proprio l’alimentazione tra gli obiettivi dello sviluppo sostenibile per il 2030.
L’obiettivo prevede cinque sotto-obiettivi strategici da raggiungere entro il 2030: rendere i sistemi alimentari sostenibili, dalla produzione al consumo; porre fine alla povertà rurale; adattare i sistemi alimentari per eliminare la perdita o lo spreco di cibo; accedere a diete adeguate e salutari, per tutte le persone, per tutto l’anno; e, ultimo ma forse il più importante, porre fine alla malnutrizione in tutte le sue forme.
I numeri forniti dalle stesse Nazioni Unite dicono che la realtà è ben lontana dai buoni propositi e dalle promesse fatte da chi non sa cosa significa morire di fame. Ancora oggi, sono oltre 800 milioni le persone nel mondo che non hanno abbastanza da mangiare. È vero che questo numero è diminuito dal 1990, ma è pur vero che, ancora oggi, ben oltre la data fissata come verifica dei risultati intermedi (2015), circa 1/9 della popolazione mondiale muore di fame. E le misure adottate appaiono palesemente inefficaci: in Asia, due terzi della popolazione non ha abbastanza cibo. In alcune aree, come nell’Asia occidentale, invece che diminuire, questa percentuale è lievemente aumentata. Ma la più alta incidenza (in termini di percentuale della popolazione) di “fame” si registra in un altro continente: nell’Africa Sub-sahariana, dove una persona su quattro soffre di denutrizione.
Anche sotto il profilo sociale, la corsa verso una corretta alimentazione è lontana dal traguardo: se le donne avessero lo stesso accesso degli uomini alle risorse, ci sarebbero 150 milioni di affamati in meno sulla terra e la scarsa alimentazione provoca quasi la metà (45%) dei decessi dei bambini sotto i cinque anni (3,1 milioni di bambini ogni anno!). Ancora oggi nei Paesi in via di sviluppo, un bambino su sei (sono circa 100 milioni) è sottopeso, uno su quattro, nel mondo, soffre di deficit di sviluppo. Nei paesi in via di sviluppo, 66 milioni di bambini in età scolare – 23 milioni nella sola Africa – frequentano le lezioni a stomaco vuoto. Fra le conseguenze di un’alimentazione scarsa, o sbagliata, non ci sono solo sofferenze e danni alla salute, ma anche un progresso più lento in molte altre aree di sviluppo, come l’istruzione e il lavoro. E secondo il World Food programme, ogni anno sono necessari 3,2 miliardi di dollari per raggiungere i 66 milioni di bambini in età scolare vittime della fame.
Se da una parte è diminuito (sebbene meno del previsto e in modo poco omogeneo) il numero delle persone che non ha accesso al cibo, dall’altra, continua a crescere in modo vertiginoso il numero delle persone obese e sovrappeso. Dopo la dimostrazione che non si tratta più solo di un fenomeno genetico, ma anche e soprattutto epigenetico, a destare sorpresa sono i paesi in cui si registra il maggior numero di casi di obesità. Secondo l’OMS, al primo posto sono le Isole Samoa Americane, dove la percentuale di abitanti sovrappeso ha raggiunto un livello impressionante 93,5%. Al secondo posto lo stato insulare delle Kiribati, un arcipelago dell’Oceania dove solo 2 persone su 10 non sono sovrappeso. Non sorprende il terzo posto degli USA: annunci, ricerche e inviti a correggere le proprie politiche alimentari non sono riusciti a vincere la battaglia contro decenni di cattiva alimentazione, junk food e cattive abitudini che rendono pessima la cultura alimentare “a stelle e strisce”. A sorprendere è il quarto posto della Germania dove oltre il 66 per cento degli abitanti è sovrappeso. Una sorpresa in entrambi i casi dovuta al fatto che due dei paesi più sviluppati del pianeta non sono stati capaci di far adottare ai propri cittadini politiche alimentari corrette. Tra gli altri paesi sovrappeso l’Egitto (dove poco meno di due terzi della popolazione pesa molto più del dovuto), Bosnia Erzegovina, Nuova Zelanda, Israele, Croazia e Regno Unito (per restare tra i primi dieci).
In Europa, Zsuzsanna Jakab, direttrice regionale Oms Europa ha dichiarato: “Il documento European Health Report ci illustra che la maggior parte dei Paesi in Europa ha mosso passi importanti per allinearsi ai criteri di Salute 2020, muovendosi dunque nella direzione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile legati alla Salute”, e ha aggiunto “sussiste il rischio concreto che tali margini guadagnati vadano vanificati se proseguirà l’andamento al rialzo in termini di percentuali di obesità, fumo e consumo di tabacco, oltre al calo dei dati inerenti alla copertura vaccinale”.
In un mondo in cui si produce cibo sufficiente per sfamare tutti (e se solo lo si volesse si potrebbe farlo con un impatto sull’ambiente molto più sostenibile – grazie a tecniche come la permacoltura – e a minore impatto sociale e geopolitiche – si pensi al landgrabbing che era ed è una delle cause dei flussi migratorie dall’Africa verso l’Europa), ancora oggi, quasi un miliardo di persone va a letto a stomaco vuoto. E un numero ancora superiore, una persona su tre al mondo, soffre di qualche forma di malnutrizione. Tutto questo mentre centinaia di milioni di persone sono sovrappeso o obese e spesso si ammalano e muoiono (con enormi costi oltre che umani e sociali anche per le finanze pubbliche) solo per far piacere alle multinazionali del cibo che, pur di guadagnare sempre di più, non esitano a inondare i mercati di junk food.
L’obiettivo sostenibile delle Nazioni Unite “Eliminare la fame e la malnutrizione” era ed è una delle grandi sfide del nostro tempo. Una guerra che, come tante altre, la popolazione mondiale rischia di perdere.