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SDGs: anche “garantire una vita sana per tutti” sembra fare un buco nell’acqua

Come altri Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, il terzo - la salute globale - non verrà probabilmente raggiunto entro il 2030, anzi

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
SDGs: anche “garantire una vita sana per tutti” sembra fare un buco nell’acqua
Time: 6 mins read

Il 7 Aprile si è celebrato il World Health Day, la Giornata Mondiale della Salute. Una ricorrenza che dovrebbe servire a ricordare il n.3 degli Obiettivi Sostenibili di Sviluppo (i Sustainable Development Goals): “garantire una vita sana e promuovere il benessere per tutti a tutte le età” entro il 2030.

Entro quella data, dovrebbe essere stato ridotto il tasso di mortalità materna globale (in particolare la mortalità di neonati e bambini sotto i 5 anni di età); si dovrebbe porre fine a malattie come AIDS, tubercolosi, malaria e malattie tropicali trascurate. E poi combattere l’epatite, le malattie legate o trasmesse dall’acqua e altre malattie trasmissibili.

Entro la stessa data si dovrebbe ridurre di un terzo la mortalità prematura da malattie non trasmissibili attraverso la prevenzione e il trattamento e la promozione della salute mentale; rafforzare la prevenzione e l’abuso di sostanze stupefacenti e l’uso nocivo dell’alcool; garantire l’accesso universale ai servizi di assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva; fornire una copertura sanitaria universale, compresa la protezione dei rischi finanziari, l’accesso a servizi di qualità essenziali di assistenza sanitaria e un accesso ai farmaci essenziali sicuri, efficaci, di qualità e a prezzi accessibili e ai vaccini per tutti; ridurre il numero di decessi e le malattie causate da sostanze chimiche pericolose diffuse nell’aria, nell’acqua e l’inquinamento.

Pochi giorni fa, Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha usato parole forti: “La salute è il bene più prezioso che chiunque possa avere. Quando le persone sono in buona salute, possono imparare, lavorare e sostenere se stessi e le loro famiglie. Quando sono malati, non importa nient’altro. Famiglie e comunità restano indietro”.

Negli ultimi decenni sono stati fatti grandi passi avanti: mediamente, l’aspettativa di vita è aumentata di 25 anni dall’istituzione dell’OMS (70 anni fa, altra ricorrenza). È tra i bambini sotto i 5 anni che si registrano alcuni dei maggiori successi: nel 2016, è stato possibile evitare che 6 milioni di bambini (da 0 a 5 anni) morissero, il vaiolo è stato praticamente sconfitto e la polio è sull’orlo dell’eradicazione. La prevenzione ha fatto sì che 21 milioni di persone potessero avere accesso ad un trattamento salva-vita per l’AIDS. E manca poco alla produzione di vaccini efficaci contro la malattie come la meningite, l’Ebola, ma anche del primo vaccino contro la malaria, una delle malattie che causa più morti.

Se da un lato è vero che si sono fatti grandi passi avanti, soprattutto sotto il profilo della durata media della vita, dall’altro è altrettanto vero che la qualità della vita è scesa sensibilmente e che molte malattie non sono affatto estinte anzi il numero dei casi sta aumentando. Inoltre, quasi certamente, non sarà possibile mantenere tutte le promesse fatte con i SDGs.

Ad esempio, molte malattie, soprattutto quelle legate all’aria e all’acqua, sono tuttora molto diffuse e alcune sono addirittura in aumento. Ma non basta. La povertà, in aumento in tutto il mondo, priva miliardi di persone della possibilità di curarsi. Anche quando le cure esistono. Come in alcuni casi di epatite: le terapie esistono ma anche nei paesi più sviluppati l’assistenza non copre i costi elevatissimi del trattamento.

La verità, quindi, è ben diversa da quella fin troppo rosea e positiva presentata dal direttore generale dell’OMS: attualmente quasi la metà della popolazione mondiale non può accedere ai servizi sanitari essenziali, e centinaia di milioni di persone vivono con meno di due dollari al giorno (ovvero sotto la soglia di povertà definita dalle stesse NU) anche a causa dei costi che devono sostenere per l’assistenza sanitaria. Le statistiche parlano di oltre 800 milioni di persone che spendono almeno il 10% delle proprie entrate per curare se stessi, la propria famiglia e per le cosiddette spese per accadimenti.

Un vuoto non indifferente che non riguarda solo i Paesi meno sviluppati. Anche alcuni dei Paesi più sviluppati del pianeta (almeno sulla carta e nei discorsi dei rispettivi governi), presentano enormi lacune. In Italia, ad esempio, stando ai report internazionali (Tracking Universal Health Coverage: 2017 Global Monitoring Report) l’accesso alle cure è “quasi” per chiunque, ma non sempre i servizi sono di qualità ed esistono “barriere” di tipo economico. La copertura non è del 100% (secondo l’OMS dovrebbe essere poco superiore all’80%).

Del resto, già nel 2012, l’allora Presidente del Consiglio, Mario Monti fu costretto ad ammettere che la “sostenibilità futura del SSN potrebbe non essere garantita”. Dati ora confermati dal rapporto della Fondazione GIMBE che nel 2017 ha ribadito che, in Italia, continua a mancare un piano preciso di salvataggio del Ssn.

Se in Italia, il 93% dei bambini (molti o pochi?) riceve regolarmente nel primo anno di vita 3 dosi di vaccino anti difterite-tetano-pertosse, in altri Paesi europei la situazione è ben peggiore: la Germania non va oltre il 79% e la Spagna si ferma al 77%. “In tutta Europa, milioni di persone hanno sperimentato e sperimentano difficoltà sempre maggiori nell’accesso alle cure, una riduzione nella qualità delle cure, la chiusura e la privatizzazione dei servizi sanitari, il deterioramento delle condizioni di lavoro per gli operatori e le operatrici della salute, un aumento dei prezzi dei farmaci… nel frattempo, gli operatori commerciali in campo sanitario aumentano i loro margini di profitto. Queste politiche hanno e avranno effetti catastrofici sulla salute delle persone!”, ha detto Sarah Melsens, coordinatrice della Rete europea contro la commercializzazione di salute.

Anche peggiore la situazione negli USA dove secondo i dati dell’OMS non sarebbero disponibili dati sulla mortalità sotto i 5 anni.

Ovviamente, se lo sguardo si sposta su altre zone del pianeta, la situazione peggiora drasticamente. Ancora oggi sono ancora 20 milioni i bambini che non ricevono vaccinazioni di base (poliomelite, varicella, morbillo, pertosse, parotite).

Eppure, come ha detto Jim Yong Kim, presidente del Gruppo della Banca Mondiale, la copertura sanitaria universale così come l’eliminazione della povertà non richiedono successivi sforzi finanziari ma un cambiamento di sistema. “Abbiamo bisogno di un cambiamento fondamentale nel modo in cui mobilitiamo le risorse per la salute e il capitale umano, specialmente a livello nazionale – ha detto Yong Kim – stiamo lavorando su più fronti per aiutare i Paesi a spendere più efficacemente sulle persone, in modo da incrementare i progressi e giungere alla copertura sanitaria universale”.

In molte zone del pianeta c’è ancora molto da fare. Regioni come l’Africa sub-sahariana (dove la copertura sanitaria si ferma al 31% degli abitanti), l’Asia meridionale (36%) e l’Oceania (53%).

A livello globale, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sono 2,6 miliardi le persone che non hanno accesso a servizi sanitari adeguati. La conseguenza è che nonostante i successi vantati dal direttore generale dell’OMS, in Africa, ogni ora muoiono 115 persone per malattie legate alla mancanza di servizi sanitari e igienici inadeguati e dall’acqua contaminata: malattie come diarrea, colera, dissenteria, tifo e epatite. Solo di diarrea, nel mondo muoiono 1,5 milioni di persone ogni anno. E la maggior parte di questi sono bambini sotto i 5 anni (4mila bambini al giorno).

Parlare di successi dopo aver scorso questi dati, appare assolutamente anacronistico. Se è pur vero che sono state trovate cure per molte malattie, è altrettanto vero che per altre malattie la situazione non è migliorata, anzi.

Parliamo di malattie come il diabete. Oggi, nel mondo, per cause connesse con questa malattia muore una persona ogni 56 secondi. Ne soffrono 415 milioni di persone, 1 su 11. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità è stata costretta a riconoscere che il 58% dei casi di diabete mellito è attribuibile all’obesità e che le persone adulte in sovrappeso nel mondo sono 1,9 miliardi, il 39% della popolazione. Più delle persone sottopeso. Si tratta di dati confermati anche dalla decima edizione dell’Italian Diabetes & Obesity Barometer Report dal titolo “Factsand figures about type 2 diabetes and obesity in Italy”:  solo in Europa, sono 59,8 milioni gli adulti affetti da diabete, concausa di oltre 677 mila morti l’anno.

In barba alla nomea di Paese sviluppato, oltre metà degli uomini e delle donne in Europa è sovrappeso e l’obesità riguarda circa il 23% delle donne e il 20% degli uomini. Se l’attenzione poi si sposta sui bambini la situazione diventa ancora più preoccupante: circa 1 bambino su 3 è sovrappeso o obeso. Una dato che non lascia ben sperare per il futuro: oltre il 60% di quelli sovrappeso prima della pubertà lo saranno anche nella prima età adulta. Un problema che riguarda molti Paesi europei, ma più di ogni altro l’Irlanda, dove si prevede che la quasi totalità degli adulti (91% degli uomini e 83% delle donne) sarà in sovrappeso entro il 2030.

Per allora, nel mondo saranno state debellate alcune malattie. Forse. Ma molte altre (come l’obesità e le malattie legate all’aria e all’acqua) avranno raggiunto livelli spaventosi e con conseguenze sociali ed economiche inimmaginabili. Ma di questo, il direttore generale dell’OMS ha preferito non parlare.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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