E’ un Angelino Alfano sorridente, quello che ha incontrato i giornalisti italiani presso la Missione italiana alle Nazioni Unite, che si è concesso anche qualche battuta sulla data, temutissima dai superstiziosi – venerdì 17 – di un appuntamento tanto importante. Il Ministro era reduce da una giornata trascorsa a presiedere una sessione del Consiglio di Sicurezza sulla questione libica, e si preparava a partecipare ad un meeting con Guterres e a tornare nella sala del Consiglio per dirigere la discussione sul Mediterraneo. Sullo sfondo, i risultati, positivi e negativi, del dossier libico, che ha evidenziato da un lato progressi incoraggianti nel processo politico grazie alla missione dell’inviato di Guterres nel Paese Ghassan Salamé, dall’altro il nodo ancora insoluto delle terribili violazioni dei diritti umani cui sono sottoposti i migranti rinchiusi nei “campi-lager” libici.
Nodo a cui ieri il Ministro ha fatto riferimento durante il suo statement al Consiglio, senza però poi approfondire ulteriormente la questione al successivo stakeout. Noi della Voce abbiamo quindi posto al titolare della Farnesina, durante il punto stampa presso la Missione italiana, la domanda che gli avremmo già voluto sottoporre ieri: se, cioè, soprattutto alla luce delle dure critiche che l’Alto Commissario per i Diritti Umani ONU Zeid Ra’ad Al-Hussein – che ha definito “disumano” l’accordo tra Ue e Tripoli per fermare il flusso migratorio –, con il senno di poi non sarebbe stato meglio rimandare qualsiasi intervento di limitazione degli sbarchi dopo il raggiungimento di condizioni di stabilità e sicurezza capaci di consentire la tutela dei diritti umani dei migranti. Una domanda che nasce da mesi di “rimbalzi”, tra Consiglio di Sicurezza, Stati membri e agenzie umanitarie ONU, della responsabilità primaria a intervenire: con l’UNHCR che a settembre si diceva pronta a fare la sua parte nei campi di detenzione, salvo poi, tre mesi dopo, ammettere di dover attendere ancora una stabilizzazione della situazione; con il Consiglio fermo nel rimandare il grosso dell’intervento umanitario a dopo lo scioglimento della crisi politica, e i suoi membri solerti nell’incoraggiare le autorità libiche a prendere in mano la situazione, nonostante il governo centrale di Tripoli continui ad avere una scarsissima presa sul territorio.
E’ in questo quadro che la risposta di Alfano sembra chiarificare, una volta per tutte, la posizione dell’Italia sul tema. “Lei pone la domanda a chi porta le cicatrici dell’approccio umanitarista e cristiano sull’immigrazione, perché sono stato bersagliato dalle aggressioni dell’estrema destra e dei lepenisti italiani su questo argomento”, ha rilevato alla domanda del nostro Direttore. Eppure, il Ministro ha sottolineato come addirittura l’Ue abbia riconosciuto la capacità dell’Italia di mettere l’Europa “dalla parte giusta della storia”, grazie all’indefesso impegno del nostro Paese nel salvare vite. “Per quanto riguarda il resto”, ha poi aggiunto eloquentemente, “io credo che bisogna passare dalle lezioni alle azioni”, e tutti quelli che amano “dare lezioni”, “facciano delle buone azioni sulla Libia”, visto che l’Italia “ha salvato mezzo milione di vite umane”. “Quelli che fanno i professori diventino operatori di bene”, ha attaccato il Ministro. Che ha ribadito, ancora una volta, l’impegno di Roma in questo senso: “Noi lo stiamo già facendo: gestendo le nostre risorse nel finanziamento all’UNHCR, finanziando l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, finanziando le nostre Ong per andare in Libia e garantire uno standard di diritti umani che sia accettabile”. Di questo, ha dichiarato il Ministro, ha parlato con il suo omologo libico Mohamed Taha Siala. “Per chi come noi ha fatto dei diritti umani una questione fondamentale nei quattro anni trascorsi, è inaccettabile transigere sui diritti umani in Libia in questa fase”. Quindi, una promessa: “Noi fare tutto quello che è nelle nostre possibilità per assicurare che i diritti umani vengano garantiti in quei centri”. E poi ha chiosato: “Ma, ribadisco, chiediamo a tutti quelli che vogliono dare lezioni di dare dei segni concreti e fare delle buone azioni”.

Una dichiarazione forte, che sembra rispondere per le rime a chi, anche dall’ONU, accusa Roma di aver stretto un accordo “disumano” sulla pelle dei migranti. E che pare costituire, a sua volta, se non un rimprovero, perlomeno una sollecitazione alle Nazioni Unite: l’Italia – si legge tra le righe – ha fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità; ora tocca alla comunità internazionale, e in particolare al Palazzo di Vetro e alle sue Agenzie, seguire la via tracciata dal Paese e impegnarsi concretamente sul campo. D’altra parte, la risposta dell’ONU è lapariana: impossibile intervenire finché non saranno garantite le condizioni di sicurezza necessarie, obiettivo raggiungibile solo dopo lo scioglimento, almeno parziale, della crisi politica. Non a caso, riportando le dichiarazioni del ministro Alfano al portavoce del Segretario Generale di Antonio Guterres Stephane Dujarric (video disponibile qui, minuto 14.38), ci siamo sentiti da un lato negare, anche ironicamente, un commento su parole “riportate da terze parti”, e dall’altro ribadire l’assoluta adesione alla linea dell’Alto Commissario al-Hussein. L’impasse, ancora una volta, è servita. Sempre, rigorosamente, sulla pelle dei migranti.
Durante la conferenza stampa, il Ministro ha parlato anche di altre crisi internazionali rilevanti: ha espresso particolare preoccupazione per la situazione in Libano, e per le dimissioni del Primo Ministro a quanto pare “caldeggiate” dall’Arabia Saudita. Sullo Yemen e il blocco stipulato da Riad, Alfano ha sottolineato come la posizione dell’Italia, di fronte alla comunità internazionale, sia sempre stata quella di mettere in evidenza la gravissima situazione umanitaria nel Paese, e di caldeggiare un’azione che riporti pace e sicurezza. Alfano ha anche dichiarato di aver incontrato l’ambasciatrice statunitense all’Onu Nikki Halley – la cui assenza ieri spiccava alla riunione del Consiglio di Sicurezza – e ha sottolineato il dialogo costruttivo che l’Italia intrattiene con gli Usa sulla questione libica. Dialogo esistente anche con la Russia, che – ha osservato Alfano – nel Paese ha sempre cercato di interloquire non solo con il Governo legittimo di Fayez al-Sarraj, ma anche con la parte di Khalifa Haftar, e che quindi può svolgere un importante ruolo di mediazione. Al titolare della Farnesina, già ministro della Giustizia prima e dell’Interno poi, è stato chiesto anche un commento, oltre che da uomo delle istituzioni anche da orgoglioso “siciliano” quale è – sulla morte di Totò Riina. “Parlo anche da ex ministro della Giustizia che ha rafforzato il carcere duro e ha introdotto l’aggressione patrimoniale ai beni mafiosi. Riina è morto, e da oggi l’Italia è migliore”, ha detto Alfano. “Riina è morto, e il mio pensiero va a tutti coloro che sono morti a causa sua. Riina è morto da detenuto dello Stato italiano”. “Questa è la giustizia italiana”, ha sottolineato il Ministro. Quanto a quella divina, “diceva Giovanni Paolo II in un importante anatema contro i mafiosi dalla Valle dei Templi: ‘Verrà un giorno il giudizio divino’”. “Per chi ci crede”, ha concluso Alfano, “quel giorno è arrivato”.
Più tardi, la fitta agenda pomeridiana ha previsto l’atteso faccia a faccia con Antonio Guterres, previsto per le 3 di pomeriggio, e una nuova riunione del Consiglio di Sicurezza sul Mediterraneo, mare che, ha detto Alfano la sera precedente durante il ricevimento in suo onore al Consolato, rispetto all’Oceano assomiglia a “un lago”, ma per il quale passano quasi tutte le principali sfide geopolitiche dell’attualità. Ed è proprio in questa occasione che Guterres ha inviato un messaggio chiaro all’intera comunità internazionale. “Sono grato ai Paesi che accolgono rifugiati per la loro necessità. C’è un chiaro bisogno di affrontare i trafficanti. Dobbiamo contrastare anche il preoccupante aumento della xenofobia e della discriminazione contro rifugiati, migranti e minoranze. E’ una responsabilità comune, globale”. Quindi, Guterres ha specificato: “E’ essenziale ristabilire il regime di protezione su entrambe le sponde del Mediterraneo e rafforzare il programma sui reinsediamenti e le relocation”. Un’osservazione certo diplomatica, ma difficile da equivocare: perché, nella scelta del termine “ristabilire” (“re-establish”), spicca il presupposto che, ad oggi, quel “regime” basato sulla Convenzione di Ginevra non è rispettato. Come, del resto, il Segretario aveva già ventilato mesi fa, quando aveva puntualizzato che l’accordo con Tripoli, se avesse finito per bloccare anche i profughi e i rifugiati in diritto di spostarsi, avrebbe palesemente violato il diritto internazionale.