Impiccagione. Decapitazione. Colpo di pistola dietro la nuca. Iniezione letale. Pena di morte. Tre parole che segnano una spessa linea di demarcazione. Tra l’inizio e la fine. Un istante in cui finisce ogni cosa. “Please, stop the executions”, “per favore, fermate le esecuzioni”. Un appello che si rivolge a chi, nel 2017, non l’ha ancora fatto, ai Paesi che inseriscono ancora questa pratica nel loro sistema giudiziario, per esempio. Un metodo inefficace, però. Che non serve alle vittime, né rappresenta un deterrente sufficiente per limitare la criminalità.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, lo scandisce chiaramente. E, durante il Panel sulla “Transparency and the Death Penalty” in occasione della giornata mondiale contro la pena di morte, lo ribadisce ancora una volta. Questa pratica “non ha più spazio nel 21esimo secolo”, dice Guterres. È la prima volta che parla pubblicamente, come Segretario Generale, di questo tema “così urgente e preoccupante, in materia di diritti umani”.
La definisce una pratica barbara. E si dice fiero e orgoglioso di appartenere a uno Stato, il Portogallo, che abolì la pena capitale 150 anni fa. “Uno dei primi paesi a farlo”, aggiunge. “Il mondo si sta muovendo nella giusta direzione”, spiega il Segretario Generale, in riferimento al fatto che sempre più stati scelgono di abrogarla. Li cita, Guterres: sono circa 170 i Paesi che l’hanno abolita o hanno, di fatto, smesso di utilizzarla. Il mese scorso, il Gambia e il Madagascar, “hanno fatto passi avanti” per la cancellazione irreversibile di questa pratica in Africa.
Secondo i dati del Segretario Generale, nel 2016, le esecuzioni sono scese del 37% rispetto al 2015. “Oggi, solo quattro paesi sono responsabili dell’87% di tutte le esecuzioni registrate”, ha dichiarato Guterres. E, secondo i dati di Amnesty International, nel 2016 sono state messe a morte almeno 1.032 persone in 23 Paesi. La maggior parte delle condanne sono state eseguite in Cina, in Iran, in Arabia Saudita e in Pakistan. Sempre secondo l’organizzazione umanitaria la Cina rimane infatti il maggior esecutore al mondo, anche se la reale entità dell’uso di questa pratica, nel Paese, è sconosciuta. Perché i dati sono classificati come segreto di stato. Per questo motivo, per Amnesty International, il dato complessivo (di almeno 1.032 esecuzioni) non tiene in considerazione le migliaia di sentenze capitali che si ritiene siano state eseguite nel Paese.

La segretezza, tema attorno al quale ruota il dibattito al centro della conferenza. Su cui il Segretario Generale si sofferma. Più volte. “La trasparenza”, spiega Guterres, “è un prerequisito preliminare per valutare se la pena di morte venga condotta conformemente agli standard internazionali in materia di diritti umani”. Inoltre, “Onora il diritto di tutte le persone di sapere se i membri delle loro famiglie sono vivi o morti e l’ubicazione dei loro resti”, continua. Che, proprio su questo punto, insiste: “Alcuni governi nascondono esecuzioni e impongono un elaborato sistema di sicurezza per nascondere chi si trova nel ‘braccio della morte’ e perché”.
Le pratiche di occultamento sono tante, oltre al segreto di stato. C’è chi limita le informazioni che possono essere condivise con gli avvocati che si occupano di difesa condizionando, di fatto, “la loro possibilità di appellarsi alla clemenza”. “Altri ancora garantiscono l’anonimato alle aziende che forniscono i farmaci utilizzati nelle esecuzioni, per proteggerli dalla pubblicità negativa”.

E ancora, secondo Guterres, l’assenza di trasparenza mostra “una mancanza di rispetto nei confronti dei diritti umani di coloro che sono stati condannati a morte e delle loro famiglie”. Il che danneggia, in generale, anche la normale amministrazione della giustizia. “La segretezza attorno alle esecuzioni mina questo dibattito e ostacola gli sforzi per salvaguardare il diritto alla vita”, chiarisce infine il Segretario Generale.
E, in questa giornata, Guterres ribadisce la sua posizione: “Oggi riaffermo la mia opposizione alla pena di morte in tutte le circostanze. Invito tutti gli stati che l’hanno abolita a supportare il nostro appello ai leader di quei paesi che la mantengono, per stabilire una moratoria ufficiale, al fine di abolirla il più presto possibile”.