“We need to act, we need to act together and we need to act now”. Agire ora, insieme e prima che sia troppo tardi. Dopo appena venti giorni di viaggi diplomatici, incontri, meeting e consultazioni, il nuovo inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia Ghassan Salamé è intervenuto per la prima volta al Consiglio di Sicurezza ONU. Lo ha fatto attraverso un collegamento-video di una quindicina di minuti, che sembra (per ora) sia riuscito nel miracolo di mettere d’accordo tutti, anche le parti più lontane. Con un discorso conciso e lucido, deciso ma pacato, l’ex ministro della Cultura in Libano ed ex Senior Advisor ONU in Iraq ha riassunto la situazione di oggi in Libia, un Paese con “gravi problemi di governabilità” e un “welfare da ricostruire”, e per il quale è necessario realizzare “una nuova visione macro-economica”. Un Paese che vede in poche aree e in una delle sue capitali, Tripoli, sede del governo Al-Sarraj riconosciuto dalla comunità internazionale, timidi segnali di ripresa dal punto di vista economico. Un Paese che però ha ancora una lunga e tortuosa strada da compiere davanti a sé, prima di uscire dall’incubo in cui è finito: perché oggi, sul territorio libico, “le persone vengono ferite e uccise ogni giorno” e la presenza “di gruppi terroristici come l’ISIL – affiliata ad Al-Quaeda -, di mercenari e di trafficanti d’armi” rappresenta “una sfida per il mondo intero, non solo per la Libia”.
Salamé nel suo discorso ha evidenziato la necessità di risolvere la crisi attraverso tre step e un’unica regia. Il primo passo è di cambiare il Libyan Political Agreement del dicembre 2015, “un accordo su cui c’è la volontà di apporre delle modifiche da parte di molti dei miei interlocutori” e sul quale potrebbero esserci novità già nelle prossime settimane. Il secondo step, invece, è quello dell’adozione di una nuova Costituzione, per il quale ci sono stati segnali incoraggianti di recente grazie “all’approvazione della bozza ufficiale da parte dell’Assemblea Costituente”. Il terzo passo, infine, è la necessità di andare a delle nuove elezioni, “ma solo quando si potranno garantire le condizioni politiche e tecniche per affrontare una tornata elettorale di successo, e in particolare un impegno da parte di tutte le parti ad accettare i risultati delle elezioni stesse”. Questo “pacchetto”, come lo ha definito Ghassan Salamé nel suo discorso, permetterà di gettare le basi per un vero e proprio processo di stabilizzazione della situazione in Libia. A patto, però, che la regia sia univoca. Perché è vero, tutti i tentativi di riconciliare le parti in conflitto sono apprezzabili, e lo stesso inviato speciale ha ringraziato quanti siano intervenuti nel tentativo di ricostruire processi di pace in questi anni. Ma per risolvere una volta per tutte le criticità ed evitare ulteriore confusione, è necessario che gli attori in Libia discutano sotto un unico ombrello operativo. Che dovrà essere proprio quello dell’ONU, “la cui presenza diplomatica nel Paese è largamente più ampia di tutte le altre missioni diplomatiche”.
Che il lavoro fatto fino ad ora da Salamé abbia acceso una fiammella di speranza, seppur flebile, in Libia, lo si denota in particolare dalle reazioni al suo discorso di due Paesi: Italia ed Egitto. Due nazioni divise sulla questione libica – l’Italia supporta il governo Al-Sarraj, l’Egitto invece il generale Haftar, che presiede un governo a Tobruk – ma legate da un filo sottile e spesso allo stesso tempo, dopo l’omicidio di Giulio Regeni e il recente ritorno dell’ambasciatore Giampaolo Cantini al Cairo.
L’ambasciatore italiano all’ONU Sebastiano Cardi non ha nascosto la sua soddisfazione per il discorso di Salamé: “La fiducia di cui gode l’inviato speciale ONU è ampia e accomuna tutti i membri del Consiglio” ha dichiarato alla Voce di New York a margine del Consiglio di Sicurezza. E oltre a esprimere soddisfazione, Cardi ha anche avanzato una richiesta chiara, che potrebbe ricevere il supporto degli altri membri del Consiglio: “Come Italia abbiamo chiesto all’inviato speciale, così come avevamo già ribadito al Segretario Generale Antonio Guterres negli scorsi giorni, la necessità di rafforzare la presenza e l’azione sul campo delle agenzie umanitarie in Libia, per far sì che UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya, ndr) e ONU possano intervenire nella gestione dei centri di detenzione libici”. Centri nei quali i diritti umani vengono calpestati ogni giorno e dove sempre più migranti sono costretti a vivere in condizioni raccapriccianti.

Sul discorso di Ghassan Salamé, però, anche l’Egitto ha espresso grande soddisfazione. E lo ha fatto con un entusiasmo sorprendente, tramite le parole del presidente del Consiglio di Sicurezza Amr Abdellatif Aboulatta, che rispondendo a una domanda della Voce di New York durante uno staketout, e parlando nelle vesti di ambasciatore egiziano (e non di presidente del consiglio di sicurezza), ha dichiarato: “Siamo molto felici delle parole e della relazione dell’inviato speciale Ghessan Salamé e siamo fiduciosi per il futuro”. Un futuro che ora volge il suo sguardo all’Assemblea Generale di settembre, quando sarà in programma con ogni probabilità un “High-Level Debate” dedicato al fronte libico. Un contesto nel quale l’inviato speciale Salamé potrebbe avanzare proposte più precise sui prossimi passi da compiere, con l’obiettivo di tenere accesa quella fiammella di speranza e di permettere alla Libia, divisioni permettendo, di costruire finalmente un futuro migliore.