Secondo Robert Anson Heinlein, autore statunitense di libri di fantascienza, “se qualcosa non può essere espresso in numeri non è scienza: è opinione”. E in effetti, quanto discusso nella giornata di giovedì 20 luglio tra due realtà internazionali come Nazioni Unite da una parte e Medici Senza Frontiere dall’altra, sembra poterlo confermare.

Il tema è delicato: la lotta alla sindrome AIDS. Dopo la pubblicazione dell’ultimo rapporto “Ending AIDS: Progress towards the 90-90-90 targets”, stilato dal Programma congiunto delle Nazioni Unite sull’HIV (UNAIDS), dal Palazzo di Vetro sono state rilasciate infatti dichiarazioni ottimistiche sulla lotta alla sindrome da immunodeficienza acquisita. Il direttore esecutivo di UNAIDS Michel Sidibé ha evidenziato come siano stati raggiunti” gli obiettivi per il 2015 con 15 milioni di persone in cura, e siamo sulla strada per raddoppiare la cifra a 30 milioni per rispettare l’obiettivo del 2020”. Per Michel Sidibé, quella contro l’AIDS è una sfida che il mondo può vincere: “Continueremo a scalare questa montagna, fino a raggiungere tutte le persone bisognose e onorare il nostro impegno per non lasciare nessuno indietro”. Secondo gli obiettivi preposti da UNAIDS per il 2020, sono tre i parametri che dovranno essere rispettati: diagnosticare il 90% delle infezioni da HIV, far entrare in terapia il 90% delle persone diagnosticate e raggiungere l’abbattimento della carica virale nel 90% delle persone in cura. Nell’ultima relazione UNAIDS, i dati elaborati dalle Nazioni Unite tracciano in questo senso un affresco positivo della situazione: nel 2016, il 70% delle persone infette da HIV è a conoscenza del suo status, mentre il 77% di queste ha oggi la possibilità di accedere alle cure. Tradotto in termini puramente numerici, dei 36,7 milioni di persone affette da HIV, ben 19,5 milioni sono sotto trattamento. Mentre i decessi connessi all’AIDS, secondo il rapporto, sono diminuiti del 50%, da 1,9 milioni nel 2005 a 1 milione nel 2016.

Ed è proprio su questo punto, positivamente evidenziato da UNAIDS, che Medici senza Frontiere ha invece storto il naso. Perché è vero, “è una buona notizia che tante persone sono oggi in cura dell’HIV”, ma è anche vero che “un milione di persone sono ancora troppe: la battaglia non è vinta e molte di queste morti sono evitabili”, ha sottolineato l’HIV and TB Advisor per Medici Senza Frontiere, Sharonann Lynch. Che ha spiegato: “I dati del rapporto UNAIDS dimostrano che una persona su tre affetta da HIV inizia il trattamento antiretrovirale dopo aver già sviluppato l’AIDS: ciò rende più probabile che il risultato delle loro cure sia complessivamente peggiore”. Non solo, “le persone affette da HIV spesso non hanno la cura necessaria per queste infezioni, nel momento in cui ne hanno più bisogno”.
E in effetti, a voler ben guardare, dal rapporto dell’ONU si denota un peggioramento della situazione in certe aree del mondo. Nonostante il direttore UNAIDS Sibidé abbia evidenziato che “i risultati stiano migliorando” e che “le nazioni stiano diventando più forti”, il rapporto mostra invece come a livello globale, il 30% delle persone che vivono con l’HIV non conosca ancora il suo status, che 17,1 milioni non sono in grado di accedere alle cure e che più della metà di loro non sono sottoposti al trattamento per l’abbattimento della carica virale. Un trend negativo che colpisce in particolare il Medio Oriente e il nord Africa, l’est Europa e l’Asia centrale, con le sole eccezioni di Algeria, Marocco e Bielorussia, dove l’accesso alle cure dal 2010 al 2016 è sensibilmente migliorato.
Motivo per cui, secondo Sharonann Lynch di Medici Senza Frontiere, “la risposta globale del virus deve gettare le basi per aumentare il trattamento antiretrovirale a più persone, prima dello svilupparsi della malattia”. E in questo senso sarà fondamentale la disponibilità di “risorse sufficienti a prevenire e affrontare malattie legate all’AIDS, che rimangono tutt’oggi difficili e costose da trattare con i mezzi attualmente disponibili”.