Da anni ormai il problema dei rifugiati e dei richiedenti asilo assilla sia l’America che l’Europa (e in particolare l’Italia e la Grecia).
Eppure questo fenomeno non riguarda solo questi paesi: anche in Australia, dal 2001, i flussi di migranti sono rilevanti. Qui il “problema” viene affrontato in modo diverso e, sotto diversi punti di vista, criticabile.
In Australia, da molti anni, la prassi adottata dal governo è quella di respingere i barconi o di condurli in centri offshore su isole sperdute: le navi cariche di migranti e di rifugiati vengono portate principalmente sulle isole di Nauru e di Manus (sul territorio di Papua Nuova Guinea).
In questo paese vigono leggi molto severe riguardo ai richiedenti asilo, siano essi adulti o bambini.
Il progetto iniziale (e le promesse del governo) prevedevano un’accoglienza molto amichevole: i richiedenti asilo dovevano essere ospitati in case dotate di tutti i comfort (perfino l’aria condizionata).
La realtà è completamente diversa: appena sbarcati, i richiedenti asilo vengono portati in due campi, Topside e Campside, dove vengono condotti in una sorta di centro di detenzione, chiamato Centro di trattamento regionale (RPC), e alloggiati in tende di vinile (d’estate, in questi alloggi, le temperature raggiungono i 45/50 gradi centigradi). Qui vivono stipati in spazi ristretti e molti soffrono di problemi fisici e mentali dovuti alle condizioni di vita deplorevoli.
Su queste isole, fuori dai campi, praticamente la vita non esiste: Nauru è una piccola isola di 21 chilometri quadrati (è più piccola dell’aeroporto di Melbourne) con soli 10.000 abitanti. L’interno, devastato da 40 anni di estrazione mineraria di fosfato, è ormai per lo più inabitabile e incoltivabile. Anche nell’altro centro di accoglienza, sull’isola di Manus, le condizioni non sono migliori.
Ma a rendere la vita dei richiedenti asilo ancora peggiore è anche il comportamento loro riservato dal personale. In una recente inchiesta, il giornale inglese The Guardian ha parlato di migliaia di casi di violenze, abusi sessuali, minacce fisiche e psicologiche e aggressioni (solo tra maggio 2013 e ottobre 2015). Tanti, troppi per un centro che ospita poche centinaia di persone.

Ad essere oggetto di queste violenze spesso sono i bambini o i minori: nonostante siano meno del venti per cento dei “detenuti” totali, ben 1.086 rapporti sono riservati proprio a loro. “Il trattamento atroce dell’Australia ai rifugiati di Nauru nel corso degli ultimi tre anni ha avuto un enorme costo sul loro benessere” ha detto Michael Bochenek, consigliere per i diritti dell’infanzia di Human Rights Watch, che ha condotto l’indagine sul problema.
Una situazione che le autorità nazionali hanno cercato di tenere nascosta il più a lungo possibile. Ad alcuni ispettori dell’ONU è stato vietato di accedere ai campi. Anche l’accesso ai giornalisti è stato limitato il più possibile.
E mentre in Italia i rifugiati si lamentano per la scelta delle portate o per la “paghetta” che ricevono, in Australia, la situazione è diventata insostenibile: alcuni dei rifugiati hanno manifestato problemi gravi (come allucinazioni o disturbi mentali); alcuni bambini, costretti al silenzio, hanno deciso di cucirsi le labbra per protesta. Ancora più drammatica la protesta di un giovane richiedente asilo iraniano che, per protesta, si è dato fuoco durante la visita di tre ispettori giunti a Nauru da Canberra. Trasportato a Brisbane con un’eliambulanza, il ragazzo è morto a causa delle ustioni presenti sull’80 per cento del corpo. Anche la situazione sanitaria pare stia degenerando: il livello insufficiente di cure offerte dai centri di accoglienza sta mettendo a dura prova la salute delle persone.
Sono anni che i rifugiati protestano per le condizioni in cui vengono trattati. E nessuno fino ad ora ha fatto nulla. Durissimo il giudizio di Anna Neistat, direttrice della Ricerca di Amnesty International: “La politica dell’Australia di esiliare i richiedenti asilo che arrivano via mare è crudele fino all’eccesso”. “Pochi altri paesi fanno così tanti sforzi nell’infliggere deliberatamente sofferenza a persone in cerca di sicurezza e libertà”.
Recentemente la Commissione australiana per i diritti umani (AHRC), l’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), un comitato ristretto del Senato e un esperto indipendente nominato dal governo hanno denunciato l’uso ripetuto di queste pratiche e hanno invitato il governo cambiarle.
La risposta del governo australiano, giunta dopo oltre un decennio di proteste, è stata che il campo di Nauru verrà chiuso. Non ha, però, fornito informazioni dettagliate sul destino riservato alle persone che attualmente vivono richiuse in quello che somiglia a un campo di concentramento. Quello in cui per decenni sono stati rinchiusi quanti, in fuga dall’inferno del proprio paese, hanno cercato di raggiungere l’Australia convinti di trovare il paradiso.
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