Servono ancora a qualche cosa le Nazioni Unite? La domanda, che nei momenti di più acuta frustrazione si fanno governanti, diplomatici, operatori dell’informazione e funzionari internazionali, è posta male. Le Nazioni Unite, nate o più precisamente rifondate nel 1945, quando erano sotto gli occhi di tutti le conseguenze catastrofiche del fallimento della Società delle Nazioni, e della guerra mondiale non ancora terminata con il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, avevano – e hanno tuttora – due missioni fondamentali per la sopravvivenza dell’umanità: garantire il mantenimento della pace e promuovere la cooperazione economica e sociale. Dopo oltre settant’anni, è diventato però urgente chiedersi se le Nazioni Unite siano veramente all’altezza della loro alta missione. E la risposta, per un complesso di ragioni che vanno oltre le le capacità e la volontà dei singoli, è almeno in parte negativa.
Dal 1961 in poi, dopo l’effimera stagione interventista delle Nazioni Unite, tragicamente interrotta con la morte in un incidente aereo durante una missione tra il Congo e lo Zambia del segretario generale Dag Hammarskjold, la parabola di influenza dell’ONU si è assestata su una curva discendente. Hammarskjold era invece un diplomatico svedese di formazione ben diversa. Credeva nella missione a lui affidata, che doveva essere coerente con l’orgoglioso motto delle Nazioni Unite, “We Serve”, e rifiutava con sdegno le manovre per relegare il segretario generale nel ruolo ornamentale di semplice burocrate di lusso.
Scomparso Hammarskjold, il secondo dei segretari generali nella storia del Palazzo di Vetro – eliminato, secondo quello che scrisse il 20 settembre del 1961 sul NYT l’ex presidente americano Harry Truman, perché si batteva per un segretariato con reali poteri esecutivi – il clima non poteva non cambiare. Gradualmente all’ONU è prevalsa la stagnazione burocratica, accompagnata a volte da episodi di vera e propria corruzione, e insieme a questi alla tendenza ad osservare una regola non scritta di non-interferenza rispetto agli interessi delle potenze dominanti con diritto di veto.
Prima l’imperscrutabile birmano U Thant. Poi il discusso segretario austriaco Kurt Waldheim, danneggiato dalle accuse (peraltro smentite) di complicità con i crimini di guerra del nazismo; quindi il peruviano Perez de Cuellar, diplomatico di rango e sposo felice di recente, per la terza volta a 96 anni; l’egiziano Boutros Boutros-Ghali, anche lui nonagenario e tuttora con il dente avvelenato nei confronti degli Stati Uniti per il loro ruolo nell’ex-Jugoslavia; il diplomatico del Ghana Kofi Annan, irreprensibile per lo stile ma danneggiato per le accuse (poi archiviate per insufficienza di prove) di coinvolgimento nello scandalo Oil-for-Food nel quale risulterebbero implicati alti funzionari delle Nazioni Unite.
Infine, tagliato su misura per come i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza concepiscono la carica di segretario generale “al teflon” (ovvero inattaccabile), il lunare e perennemente sorridente segretario uscente Ban Ki-moon, sudcoreano. A lui in dieci anni non si attribuiscono polemiche, errori sconvolgenti, scandali o iniziative controverse.
Il secondo e ultimo mandato di Ban Ki-moon scade il 31 dicembre 2016. I nomi che si fanno per la successione sono, secondo l’agenzia IDN (In Depth News) specializzata in indiscrezioni sulle Nazioni Unite, quelli di Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco, bulgara (considerata tre volte favorita per il fatto di essere una donna, dell’Europa dell’Est e funzionaria ONU), di Kristalina Ivanova Georgieva, anche lei bulgara, economista presso la commissione esecutiva dell’Unione Europea, di Michelle Bachelet, l’attuale presidente del Cile e già a capo di UN Women, di Christine Lagarde, francese e attuale capo del Fondo Monetario.
Sarebbero in corsa ancora altre quattro donne, Helen Clark, premier della Nuova Zelanda che è anzi la più attiva promotrice di se stessa, la presidente del Brasile Dilma Rousseff, la cancelliera della Germania Angela Merkel, dato e non concesso che decida di lasciare la politica tedesca, e l’italiana Federica Mogherini, responsabile della politica estera all’UE. Per gli uomini si parla invece (con scarso fondamento) di una candidatura a sorpresa di Barack Obama, che peraltro non sembra interessato, e in ogni caso si scontrerebbe con una sorta di veto di Israele.
Il processo di selezione del capo delle Nazioni Unite comunque, nonostante i tentativi ora in corso di aggiornarlo, resta opaco. Da qui alla fine dell’anno, è quindi doveroso aspettarsi ogni genere di possibili sorprese. Quanto a una riforma vera del Consiglio di Sicurezza, che è ormai un anacronismo fermo alla stagione del secondo dopoguerra, come dicono i cinesi, “è ancora troppo presto”.
*Renzo Cianfanelli, storico inviato di guerra del Corriere della Sera, è il corrispondente dal Palazzo di Vetro dell’ONU per Il Secolo XIX.