Grazie al Distinguished Service Professor Mario Mignone e al Center for Italian Studies della SUNY, la scorsa fine di settimana un nutrito gruppo di docenti e studiosi di varie discipline e vari paesi, del quale ha fatto parte anche il vostro affezionato opinionista, ha dibattuto alla Stony Brook University l’”Idea di Mediterraneo”. Sventura ha voluto che la seconda sera dei lavori fosse funestata dalle tragiche notizie in arrivo da Parigi. Lo stragismo islamista che ha nuovamente colpito la capitale francese ha in qualche modo drammatizzato un dibattito che aveva tuttavia il dovere di continuare a far giocare l’intelletto più che il sentimento.
Dato il contesto, la sessione di sabato mattina, concentrata sulla ricerca di ricette in grado di curare il cronico disordine del Mediterraneo, è risultata la più attuale e “necessaria”. Due le tesi emerse: una legata alla tradizione della geopolitica e degli interessi nazionali, l’altra più attenta all’interesse del sistema internazionale, alla ricomposizione dell’ordine mediterraneo attraverso un ordito regionale euro-mediterraneo, garantito dalle grandi potenze esterne. Ambedue le posizioni partivano dalla constatazione che l’horror vacui della politica internazionale, nel Mediterraneo da un lato offre a movimenti come al Qaeda e Daesh l’opportunità di giocare la carta del fondamentalismo islamista, dall’altro chiede alle potenze esterne (Usa, Russia, Cina) insieme agli stati meglio attrezzati dell’area (Israele, Iran e Arabia Saudita inclusi), con Onu e Ue, di esprimere la leadership necessaria a fornire ordine al mare e ai paesi che lo circondano. La vera questione è se l’ordine possa derivare dall’azione tradizionale di potenza, o da una sorta di regionalismo cooperativo. A chi scrive risulta più convincente il secondo modello, in quanto “inclusivo” di tutti i soggetti implicati, e per questo capace di promettere solidità e durata.

L’intervento di Manlio Graziano. Il columnist della VOCE ha parlato sulla geopolitica del Mediterraneo
Tanto meno leadership “inclusiva” verrà esercitata, tanto più crescerà l’onda conquistatrice dell’integralismo islamista nei tre scacchieri del suo gioco: Maghreb e Mashraq mediterranei, medio Oriente e Golfo, paesi europei di immigrazione islamica. Come hanno recentemente mostrato l’abbattimento dell’aereo russo sul Sinai, l’attacco a Parigi, la presa del Radisson a Bamako, quell’onda non si traduce solo in acquisizione di territorio al sedicente stato islamico, ma colpisce direttamente chi è estraneo ai conflitti interni agli stati arabi. Anche per questo è impossibile chiamarsi fuori, collocarsi in una sorta di limbo irenico dove l’interesse nazionale troverebbe autotutela e garanzia. Spiace che l’Ue, che la geopolitica e la geoeconomia oltre che la storia collocano nella prima linea di rapporto con la drammaticità mediterranea, stia praticando questa politica, condannandosi alla passività (subire continui attentati) e all’irrilevanza (non contare sinora nulla nei processi di crisis management).
Per come si è venuta configurando in seguito all’allargamento ad est, nell’ultimo venticinquennio l’Ue ha attribuito sempre maggiore marginalità alle turbolenze mediterranee, come ha mostrato con l’atteggiamento sui flussi di immigrati e rifugiati. La debolezza strutturale dei paesi mediterranei membri (si pensi a cosa hanno passato in questi anni Grecia e Italia) e la scelta francese di una via nazionale al Mediterraneo (v. intervento in Libia) dopo il fallimento del progetto Sarkozy di Unione euro mediterranea, non hanno certo ostacolato il riposizionamento geostrategico dell’Ue fuori dai marosi del suo limes meridionale. Scelta comprensibile, ma non per questo meno erronea, visto che la più consistente minaccia all’Europa arriva proprio dalla faglia mediterranea dove l’evidenza del sommovimento islamico impone alle capitali del vecchio continente ben altro tipo di politica.