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January 17, 2016
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September 11, 2015
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Rifugiati: in Europa cala la febbre “buonista”

Manlio GrazianobyManlio Graziano
La barriera di filo spinato ancora in costruzione al confine tra l'Ungheria e la Serbia

La barriera di filo spinato ancora in costruzione al confine tra l'Ungheria e la Serbia

Time: 3 mins read

Proviamo ad immaginare una manifestazione di nordafricani in Francia (o di rumeni in Italia, o di messicani negli Stati Uniti) contro l’immigrazione, magari organizzata da Marine Le Pen (o da Matteo Salvini, o da Donald Trump).

Quello che potrebbe sembrare uno scenario degno di un film di Buñuel, in realtà, sta già accadendo. O quasi. 

La febbre buonista sui rifugiati sta calando un po’ ovunque. L’Austria decide di bloccare i treni in arrivo dall’Ungheria. La Danimarca congela il suo sistema ferroviario e paga un’inserzione in Libano per annunciare il dimezzamento degli aiuti agli immigrati. L’Ungheria mobilita l’esercito, dichiara lo stato di emergenza e prepara una legge per internare i clandestini. La Romania si associa ai quattro paesi del gruppo di Visegrád (Ungheria, Polonia, Rep. Ceca e Slovacchia) nel rifiutare il sistema di quote proposto da Jean-Claude Junker, e che Angela Merkel vorrebbe rendere «vincolante», nello spirito della “comunità di diritto” in cui vorrebbe trasformare l’Unione europea.

Ma anche i capintesta dei buonisti mettono acqua nel loro vino. La Germania si appresta ad escludere i profughi provenienti da Albania, Montenegro e Kosovo dal novero degli “ammissibili”, come ha già fatto con serbi, macedoni e bosniaci. Secondo certe fonti, «quasi la metà delle 196 mila richieste d’asilo depositate finora in Germania proviene dalla ex Yugoslavia» (Il Foglio, 29 agosto). Se quei paesi hanno fatto domanda di adesione all’Unione europea, è il ragionamento tedesco, vuol dire che i diritti vi sono rispettati, e dunque che nessuno dei loro cittadini può essere considerato un “profugo”. 

Jean-Claude Junker, dal canto suo, ha riproposto ufficialmente la ripartizione di 120.000 profughi nei vari paesi europei secondo un sistema di quote. Alla Germania, secondo il suo calcolo, ne toccherebbero 31.443. Siccome il governo tedesco aveva previsto, il 18 agosto, l’arrivo di 750.000 profughi entro l’anno, che ne sarà dei restanti 718.557?

120.000 profughi da distribuire sui 28 paesi dell’Europa sembrerebbe un po’ meschino, se si pensa che la Turchia ne ospita quasi due milioni (1.939.000, secondo le Nazioni Unite), la Giordania 629.000 e il Libano 1.114.000. Alla fine del 2014, sempre secondo l’ONU, vi erano 57 profughi ogni 10.000 abitanti in Germania (meno dello 0,6% della popolazione), 47 in Francia, 23 in Italia, 19 in Ungheria; mentre ce n’erano 224 ogni 10.000 abitanti in Turchia, 1.019 in Giordania e 2.588 in Libano (il che viene a dire che più di un quarto delle persone che vivono in Libano sono profughi). Anche i 10.000 profughi che il governo americano si è generosamente offerto di accogliere sono in realtà poca cosa: nel 2014, vivevano sul territorio degli Stati Uniti 15 rifugiati ogni 10.000 persone, un tasso inferiore persino a quello dell’Ungheria.

Sembrerebbe esistere una legge di proporzionalità inversa tra il benessere di una popolazione e la sua disponibilità ad accogliere masse di poveracci pronti a rischiare la pelle loro e dei loro figli pur di fuggire da dove sono. Sembrerebbe. In realtà un sondaggio del Figaro di qualche giorno fa (3 settembre) rivela che questa disponibilità è diversamente distribuita tra le differenti classi della società: in Francia, quadri, professioni intellettuali superiori e pensionati sono favorevoli al 57%, mentre i disoccupati sono per il 62% contrari, gli impiegati per il 65% e gli operai per il 71%.

Le “guerre tra poveri” non sono una novità. Gli immigrati hanno sempre svolto un’azione calmierante sui salari. Agli inizi dell’Ottocento, gli operai WASP di Boston insorsero contro l’arrivo degli immigrati irlandesi, che stava provocando un brusco calo dei loro salari; agli inizi della guerra civile, gli operai irlandesi di Boston insorsero contro l’arrivo dei profughi neri dal Sud, che stava provocando un brusco calo dei loro salari. Se si considera che, in seno alla classe operaia francese, il tasso di immigrati e figli di immigrati è superiore alla loro incidenza sulla popolazione totale, e che il livello di disoccupazione tra gli immigrati di origine non europea è del 19% (contro il 7% di disoccupati tra i francesi nazionali), si vede che l’ipotesi apparentemente fantascientifica di manifestazioni di operai e disoccupati magrebini o africani contro i profughi siriani (o jugoslavi), organizzata magari dal Fronte nazionale, non è in fondo poi così fantascientifica.

La febbre buonista sta scemando, e scemerà anche nelle opinioni pubbliche dei diversi paesi. Il giorno in cui uno di questi profughi commetterà un delitto – il che è statisticamente inevitabile – le opinioni pubbliche produrranno una risacca visibile, e elettoralmente tangibile. 

Nella nostra società, le migrazioni sono un “fenomeno sociale naturale”, cioè un fenomeno sociale che si manifesta con la stessa puntualità di un fenomeno naturale. Nella nostra società, anche le guerre tra poveri sono un fenomeno sociale naturale. 

Il difficile equilibrismo di Angela Merkel, oggi, è di cavalcarli tutti e due, quei fenomeni sociali naturali, senza rischiare di essere disarcionata dalla sua ipotesi di “comunità di diritto” per l’Unione europea.

 

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Manlio Graziano

Manlio Graziano

Insegno geopolitica e geopolitica delle religioni alla Sorbona e all’American Graduate School in Paris. Ho scritto In Rome we Trust. Cattolici e vita politica americana (Il Mulino, 2016), Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo (Il Mulino, 2015; ed. inglese Columbia University Press, 2016); The Failure of Italian Nationhood (Palgrave-MacMillan 2010, anche in francese e italiano); Identité catholique et identité italienne (L’Harmattan, Parigi, 2007); Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Laterza, Roma, 2010) e Essential Geopolitics: A Handbook (eBook Amazon, 2011). Collaboro con Limes, rivista italiana di geopolitica.

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