Il risultato di uno storico referendum calpestato, un governo legittimamente eletto sul punto di essere rovesciato, con gravi rischi di un'esplosione di violenza e un definitivo collasso dello Stato greco. Sono questi i risultati politici dell'accordo raggiunto ieri notte dall'Eurogruppo, salutato da molti (compreso il premier italiano) come un successo.
In realtà, chiunque abbia mantenuto un minimo di lucidità di giudizio non può che rimanere deluso dal nuovo piano di "aiuti" alla Grecia, che se dal punto di vista economico insiste sadicamente nell'imporre draconiane misure di austerità cancellando qualsiasi speranza di crescita (e non toccando nemmeno la questione cruciale del taglio del debito ellenico) politicamente suona come una voluta umiliazione del popolo greco, già piegato da cinque anni di terribili sacrifici. Nel 2010, con l'arrivo della temuta troika, si è avviata una fase di rapido impoverimento del paese, che ha perso ben il 25% del PIL, ha visto aumentare il debito pubblico dal 125 al 180%, in uno scenario post bellico fatto di disoccupazione, distruzione della classe media e sofferenze sociali senza precedenti.
A quanto pare, però, il sistema di unione monetaria europea non prevede alternative: o si resta nel campo del rigorismo economico tedesco o si esce dalla moneta unica. Il che, come ormai sembra sempre più chiaro nel dibattito economico, dimostra come l'euro si sia tramutato in uno strumento di dominio politico, favorendo in modo eccessivo le economie del nord Europa e stritolando gli stati mediterranei.
Da tempo, chiunque avesse la voglia di informarsi evitando di incappare nella roboante propaganda dei media mainstream, avrebbe notato in modo chiarissimo tali anomalie nel progetto di coatruzione della moneta unica; premi Nobel americani come Krugman o Stigliz (solo per citare i più noti) ormai da anni sottolineavano come la ricetta dell'austerità fosse una naturale conseguenza dell'architettura monetaria europea e non avesse la minima speranza di rimettere in moto paesi in crisi.
Politicamente, poi, oggi l'Europa ha gettato purtroppo la maschera, dimostrando di essere la negazione di ciò che tutti noi vorremmo che fosse. Ormai il suo identikit è quello di un insieme mastodontico di istituzioni tecnocratiche, fatte di una burocrazia inefficiente e lentissima profondamente avversa a qualsiasi manifestazione di sovranità popolare e di democrazia. A condizionare pesantemente questo monstrum è una nazione egemone (la Germania), che per la terza volta in un secolo vuole soddisfare la sua sete di egemonia in modo predatorio a scapito della tenuta politica dell'intero continente. La battaglia, per ora, l'hanno stravinta i tedeschi, costringendo il governo Tsipras a rinnegare tutto ciò che gli aveva permesso di guadagnare la fiducia del popolo greco trionfando alle elezioni nel segno di una rottura con i programmi di austerity.
Le conseguenze, quando mercoledì il parlamento ellenico si esprimerà sul piano, sono imprevedibili. Probabilmente il governo sarà costretto a farsi appoggiare dalle forze di opposizione, ma in ogni caso la sua tenuta è definitivamente compromessa.
In tutto ciò, di fronte ad uno scenario geopolitico europeo già preoccupante sul fronte dell'Ucraina, nessuno sembra pensare seriamente alle conseguenze a medio termine della crisi greca, che potrebbero rivelarsi pericolosissime nel caso la popolazione ellenica fosse portata a uno stadio di disperazione senza ritorno.
Insomma, se l'Unione europea era nata con il nobile intento di non ripetere tragici errori del Novecento, evitando guerre, tensioni e conflitti tra i popoli europei, oggi dimostra di essere incapace di imparare qualcosa dalla propria storia.
Massimo Manzo, classe 1986, dopo la laurea in giurisprudenza si è convertito al giornalismo, occupandosi di divulgazione storica e relazioni internazionali. E' membro della redazione di InStoria (rivista online di Storia e informazione) e collabora con altre importanti riviste tra cui Focus.