Erroneamente, da sempre chiamiamo l’inganno dell’itacese Ulisse, inganno della stirpe troiana che lo subì e ne morì. L’artefatto in legno costruito dal re di Itaca, contro il quale si alza il disprezzo della storia, dovrebbe essere chiamato invece “cavallo di Grecia”. Assumendolo correttamente come segno e simbolo nella plurimillenaria e grandiosa vicenda politica e culturale ellenica, macchiata in troppe occasioni da furbizie e raggiri scambiati per intelligenza, è possibile guardare al referendum di oggi con un’utile chiave di interpretazione.
Nulla dell’attuale vicenda greca sarebbe accaduto se non lo avessero voluto i greci. I trattati lasciano liberi i paesi membri di assumere o non l’euro: in molti, infatti, hanno rifiutato. L’Europa contemporanea è costruzione democratica e volontaria: non nasce da violenza e imposizione del campo di battaglia come fu il caso degli USA. In quanto all’euro i tedeschi, che per farlo sacrificarono il fortissimo marco, avrebbero stravolentieri fatto a meno di paesi a moneta ridicola, come Italia e Grecia. L’Italia, che era dotata di governanti, almeno in quell’occasione, seri e con il senso del dovere verso la storia, s’impose sacrifici e in pochi mesi si mise al passo (a parte il debito con l’estero, i cui interessi abbiamo comunque regolarmente pagato). La Grecia falsificò i conti e le statistiche, rifiutò sacrifici, continuò a cementare il consenso per la diarchia conservatori (famiglia Karamanlis)-socialisti (famiglia Papandreou) con corruzione e sperpero di pubblico denaro (anche il nostro ahinoi!). Non contenta si regalò la dispendiosa festa delle Olimpiadi, e continuò a spendere e spandere in armamenti (lo fa anche in queste ore mentre il popolo soffre la fame).
Il debito nel frattempo andava a limiti non più camuffabili, e i creditori imponevano misure draconiane di contenimento e rientro. Quando cade il governo Samaras, viene eletta la coalizione di comunisti e apparentati guidata da Tsipras. Contrariamente alla narrazione del giovane leader, il governo fu accolto con rispetto se non con simpatia (scrissi su queste pagine parole di moderata fiducia), ma dopo mesi e mesi di trattative, avrebbe convinto gli interlocutori di avere di fronte degli incompetenti per nulla interessati al destino del loro paese e dell’Europa o, peggio, a tricky customer (v. la chiamata al referendum) dal quale stare alla larga perché punta al default così da evitarsi di pagare debiti sottoscritti, nel solco di comportamenti che la Grecia ha praticato più volte dall’indipendenza del 1832. A tal proposito, non si dimentichi che Atene, per le conseguenze finanziarie della guerra di Creta del 1897, concesse nel 1908 a Doe, Dtiethnìs Oikonomikòs élenchos, Commissione internazionale di sei creditori tra i quali Italia e Russia (lezione per Tsipras che flirta con Mosca su base di affinità bizantine e ortodosse … ) il diritto a sovrintendere i servizi di riscossione di molte entrate, con poteri operativi e organizzativi, e l’appropriazione di ricavi da monopoli statali come tabacco, sale, dazi vari. Quel regime cessò nel 1978, anno precedente l’entrata nella Comunità europea, coincidenza illuminante per i votanti di oggi.
Il greco è la lingua che ci ha dato la parola demo-crazia, ma anche le parole che ne hanno descritto la corruzione e la fine: dema-gogia, oli-garchia, tirannia. Anche se, come si ritiene, i greci voteranno Nai (pronuncia nè, che significa sì) per restare in euro, lo scenario permarrà pesante. E’ importante che il popolo amico rifiuti di essere il Cavallo che porta in pancia la distruzione del progetto che ha dato agli europei pace e benessere. Guardino cosa c’è alle frontiere dell’UE: nazionalismi, guerre, povertà, oppressione politica culturale religiosa. Nel vecchio continente, quella è la sola alternativa all’UE.