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February 16, 2015
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L’Europa è quel che è, cioè quello che gli USA e la Russia vogliono che sia

Manlio GrazianobyManlio Graziano
Time: 4 mins read

Non è una questione di gusti personali. L’Europa non è quello che i tifosi di questo o quel paese, di questo o quel partito vorrebbero che fosse. L’Europa è quel che è.

L’Europa politica (cioè l’Unione europea) è una creazione franco-tedesca e, finché esisterà, resterà franco-tedesca. I rapporti di forza tra la Francia e la Germania sono mutati, da quel 1957 in cui furono firmati i trattati di Roma: non è più la Francia che dirige le danze ma, dal 1991, la Germania. Me è sempre un pas de deux tra le due prime potenze economiche e politiche europee.

Già nel 1923, l’europeista Richard Coudenhove-Kalergi aveva scritto che, se non si fosse unificata, "l’Europa sarebbe stata divisa nella migliore delle ipotesi in due sfere di interesse, una angloamericana, l’altra russa, con la frontiera sul Reno". Coudenhove-Kalergi si era sbagliato solo su due punti: nel 1945, l’Europa sarebbe stata in effetti divisa in due sfere di interesse, ma la prima sarebbe stata solo americana, con gli inglesi alla finestra, e la frontiera sarebbe stata qualche centinaio di chilometri più ad est, sull’Elba invece che sul Reno.

L’Europa ha dovuto aspettare fino al secondo dopoguerra perché in Germania e in Francia ci si rendesse infine conto che il tentativo di unificare il continente a colpi di cannone non aveva altro risultato che sottometterla a un protettorato russo-americano. La nuova ipotesi di unificazione pacifica, maturata negli anni Cinquanta, avrebbe quindi dovuto trovare una sintesi degli interessi divergenti di Parigi e di Bonn; ma avrebbe dovuto anche prendere in considerazione i desiderata dei paesi più piccoli, che non potevano semplicemente essere annessi al progetto franco-tedesco, ma dovevano essere messi nelle condizioni di volervi partecipare. Non solo per belle ragioni di equanimità giuridica; ma anche e soprattutto perché la coppia franco-tedesca è pur sempre una coppia rissosa, una sorta di The War of the Roses costretta da un matrimonio di interessi ad una coabitazione forzata: ogni atto di prepotenza nei confronti di un paese più piccolo da parte di un partner della coppia sarebbe quasi certamente subito impugnato dall’altro partner per cercare di avvantaggiarsi in quella relazione tumultuosa.

L’altra ragione per cui l’Europa è quello che è, e null’altro, risiede nel fatto che i russi e gli americani sono un’altra coppia di Roses, assai più litigiosa della coppia franco-tedesca, ma anche assai più potente; e pronta a sfruttare ogni spiraglio di debolezza offerto dall’Europa, come Coudenhove-Kalergi aveva previsto nel 1923, e come poi è effettivamente successo nel 1945.

Henry Kissinger ha esplicitato una volta molto chiaramente quale sia la posizione degli Stati Uniti nella triangolazione con l’Europa e la Russia: Washington si sarebbe opposta ad ogni relazione tra Unione europea e Russia che fosse più stretta della relazione tra Stati Uniti e UE e della relazione tra Stati Uniti e Russia. Non è difficile immaginare che il punto di vista di Mosca sia esattamente lo stesso. E quindi opposto a quello di Washington.

La crisi in Ucraina, come pure la “battaglia di Atene”, rimangono immersi nella nebbia delle ideologie se non si tiene conto di questa triangolazione e delle sue insanabili contraddizioni. Ogni volta che la Russia e l’Europa si avvicineranno, inevitabilmente scatterà il veto di Washington.

Il progetto di Putin di dar vita ad una Unione eurasiatica era studiato in chiave di integrazione paneuropea: come «parte essenziale di una Grande Europa… un’armonica comunità di economie da Lisbona a Vladivostok», come lo stesso zar del Cremlino scriveva nell’ottobre 2011. A quel progetto, la Segretaria di Stato americana dell’epoca, Hillary Clinton, rispose nel dicembre del 2012 che gli Stati Uniti stavano "trying to figure out effective ways to slow down or prevent" il tentativo "to re-Sovietise the region… called Eurasian Union".

La discussione sulla possibile fornitura di armi all’Ucraina può essere considerata come una di quelle "effective ways". Esiste certamente un rapporto diretto tra l’iniziativa franco-tedesca e l’accelerazione del dibattito sull’implicazione americana nel conflitto in Ucraina. Merkel e Hollande hanno agito insieme senza aspettare che il resto dell’Europa si muovesse perché sanno benissimo che, in Europa, coesistono diverse e anche opposte “sensibilità” circa il rapporto con la Russia. Aspettare che, per esempio, Varsavia e Atene raggiungano un punto d’intesa sull’argomento significa rendere impossibile ogni iniziativa europea.

Atene, appunto. La trattativa sul debito greco si è invitata, volutamente o no, nel dibattito sulla crisi ucraina. Che Atene abbia sempre avuto delle “aperture” a Mosca è cosa risaputa. Oggi, con il nuovo governo, quel rapporto ha fatto un salto di qualità: Mosca può giocare la carta greca, e Atene può giocare la carta russa. Esplicitamente o, com’è più probabile, implicitamente. 

Forse è anche questa una delle ragioni che hanno messo le ali ai piedi di Merkel e Hollande.

 

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Manlio Graziano

Manlio Graziano

Insegno geopolitica e geopolitica delle religioni alla Sorbona e all’American Graduate School in Paris. Ho scritto In Rome we Trust. Cattolici e vita politica americana (Il Mulino, 2016), Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo (Il Mulino, 2015; ed. inglese Columbia University Press, 2016); The Failure of Italian Nationhood (Palgrave-MacMillan 2010, anche in francese e italiano); Identité catholique et identité italienne (L’Harmattan, Parigi, 2007); Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Laterza, Roma, 2010) e Essential Geopolitics: A Handbook (eBook Amazon, 2011). Collaboro con Limes, rivista italiana di geopolitica.

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