La presidente argentina, Cristina Fernández de Kirchner, è stata incriminata dal pm Gerardo Pollicita con il sospetto di aver garantito l'impunità degli iraniani coinvolti nel peggiore attacco terroristico anti-ebraico commesso, venti anni fa, a Buenos Aires. Il procuratore ha ripreso le accuse presentate dal suo collega Alberto Nisman, trovato morto un mese fa proprio alla vigilia della sua testimonianza in Parlamento per spiegare la sua denuncia contro la presidente Kirchner e il ministro degli Esteri Héctor Timerman, che era stata resa pubblica quattro giorni prima.
L'incriminazione odierna è il nuovo capitolo di una agghiacciante lotta di potere che ha insanguinato l'inizio dell'anno delle presidenziali aprendo un duro braccio di ferro tra il governo e l'opposizione.
Un attentato impunito, un pm morto, i 007 locali e internazionali, pesanti dubbi su un accordo tra il governo argentino e l’Iran, accuse incrociate tra la "Casa Rosada", sede della presidenza, e i mass media antigovernativi, in particolare il potente gruppo Clarín, e anche un fotomontaggio terrificante: non manca niente nella drammatica storia scoppiata un mese fa in un distinto quartiere de Buenos Aires.
Purtroppo non è una fiction di James Bond né un capitolo di “Relatos Salvajes”, il film ibero-argentino nominato agli Oscar. E’ invece una storia “molto sordida”, come ha detto la presidente, che riapre la ferita dell’attacco terroristico contro l’associazione ebraica Amia di Buenos Aires del 1994, ancora sotto inchiesta, che lasciò 85 morti e 200 feriti.
Da pochi giorni, i resti del pm Alberto Nisman, responsabile "speciale" dell’inchiesta, riposano nel “Panteon dei Martiri” del cimitero ebreo di Buenos Aires, dove aspettano giustizia le vittime dell’ attentato. Il corpo del procuratore fu trovato in una pozza di sangue nel suo appartamento -a Puerto Madero, un quartiere di élite non lontano dalla mitica Piazza di Maggio – alla vigilia della sua comparizione in Parlamento. La denuncia, che ha scosso il mondo politico e giudiziario durante le ferie estive, accusava Cristina Fernández di negoziare in segreto con Teheran l’impunità dei dirigenti iraniani coinvolti nella strage Amia.
Ma la scottante sequenza non finisce con la denuncia (14 gennaio) e la morte del procuratore (18 gennaio) 24 ore prima di comparire in Parlamento (19 gennaio). A dicembre, Cristina Fernández aveva licenziato Antonio Stiuso, per decenni l’uomo più potente dei servizi di intelligence (Side) e che nel 2004 il presidente Néstor Kirchner (il marito di Cristina, morto quattro anni fa) aveva incaricato di collaborare con Alberto Nisman, da lui designato “procuratore speciale” per la causa Amia.
Dopo la morte di Nisman, la vedova Kirchner puntò il dito contro Stiuso, accusando la Side di manovrare contro il suo governo da quando fu firmato l’accordo con Teheran (2013) sull’ attentato all'ente mutualistico. La presidente parlò di “un complotto destabilizzante” che avrebbe portato Nisman, con i dati fornirti da Stiuso, a denunciare lei e il ministro Timerman, di negoziare con la Repubblica Islamica per insabbiare la “pista iraniana” a cambio di importazioni di petrolio.
Stiuso-Nisman (che erano in stretto collegamento con Israele e Washington e in particolare con la Cia) accusavano Teheran di essere il mandante "spirituale" dell’attentato e gli Hezbollah libanesi quale braccio esecutore, e il procuratore aveva chiesto e ottenuto l’ordine di cattura internazionale nei confronti di cinque ex dirigenti iraniani. Il memorandum firmato tra il governo argentino e la Repubblica Islamica, secondo la denuncia di Nisman, garantiva l’impunità di tutti loro cancellando i mandati di cattura emessi dall’Interpol.
Il contrattacco presidenziale a questo punto risultò altrettanto duro. Il capo del gabinetto, Jorge Capitanich, parlò di “golpismo” e di accuse “ridicole,” e la presidente annunciò la sostituzione della Side con un altro organismo, riforma che ora viene discussa in Parlamento.
Nel frattempo, Israele reagiva con “dolore” e definiva Nisman come un giurista “coraggioso” che lavorava per “esporre l’identità di chi perpetrò l’attentato terroristico e dei suoi mandanti morali”.
Ed ecco in prima linea il super 007 (arrivato ai servizi di intelligence nel 1972 e in pensione dallo scorso gennaio); il pm che nel 2004 ebbe la fiducia di Néstor Kirchner; Israele e gli USA e il legame incrociato tra i servizi di intelligence.
L’attentato contro l’Amia fu commesso due anni dopo l’attacco terroristico contro l’ambasciata israeliana in Argentina (29 morti e 242 feriti), l’uno e l’altro durante il governo di Carlos Menem, che si vantava di avere “rapporti carnali” con gli USA.
Nel 1989 e prima delle presidenziali che lo portarono alla “Casa Rosada”, Menem, siriano di origine, aveva avuto a Damasco un’incontro con il presidente Hafez al Assad per chiedere il suo appoggio finanziario. Ma il rapporto si guastò nel ’91, quando l’Argentina partecipò nell’operazione Tempesta del Deserto. Ecco dunque una presunta “pista siriana” non gradita né agli USA né a Israele, né a Menem, che puntarono subito contro Teheran nella strage dell’ Amia.
Troppe ombre e troppa dipendenza tra i servizi di intelligence locali e internazionali. Oggi il governo argentino ipotizza che Stiuso avrebbe fornito dati falsi a Nisman contro la presidente e suggerisce che la presentazione della denuncia del procuratore fu forzata e forse scritta da un’altra persona. E si aggiunge la possibilità di un “suicidio indotto”.
Questa settimana si è anche saputo che poche ore prima di morire, il pm fece tre telefonate a Stiuso, e la procuratrice che indaga sul decesso di Nisman, Viviana Fein, intende interrogare la super-spia.
I colleghi di Nisman hanno convocato una “marcia del silenzio” per mercoledì prossimo (18 Febbraio), chiedendo chiarezza sulla morte del pm. L’opposizione politica aderisce e trova un’altro palcoscenico per sfidare il governo. Nel frattempo sono i media il campo di battaglia. Accuse incrociate e nessuna certezza. Ma tante ombre e tanti interrogativi. Nisman eroe o vittima di un complotto? Suicida per propria volontà o suicidio indotto da una mano potente?
In un Paese dove l’impunità è un incubo mai cancellato che riporta ai 30 mila “desaparecidos” sotto l’ultima dittatura militare, lo scetticismo domina sul caso Nisman nonostante le ore e ore che la TV “nemica” della presidente e i media filo governativi dedicano a sventolare le proprie bandiere e a raccontare i più piccoli particolari delle indagini. “Mai si saprà” pensa la gente che patisce altri problemi, tra i quali la continua inflazione. Ma le vittime dell’attentato antiebraico e il cadavere del procuratore non si possono nascondere sotto il tappeto. Sono una presenza che chiede giustizia.
Il pm, ritornato in anticipo dalle vacanze in Europa per accusare Cristina Fernández, lavorava in solitudine la domenica del 18 gennaio. Mancavano 24 ore per la sua testimonianza in Parlamento. Le guardie del corpo erano al piano terra e lui viveva nel tredicesimo. Morto prima di mezzogiorno, il cadavere fu trovato dalla madre verso le 22, sdraiato sul pavimento del bagno. Una pozza di sangue, una pistola calibro 22 e un bossolo ben visibili. La pallottola, invece, era rimasta nel cervello di Nisman. Niente tracce di polvere da sparo nelle mani e un buco dietro l’orecchio destro. Suicidio? Omicidio? Non si sa. In questi giorni è apparso il DNA di “un’altra persona” in una tazzina di caffè sporca trovata nel lavandino della cucina: può appartenere a Diego Lagomarcino, un duro oppositore del governo e il collaboratore di Nisman che sabato pomeriggio portò al pm l’arma mortale.
E per finire il quadro, una pennellata di coloritura mafiosa. La ex moglie di Nisman, Sandra Arroyo Salgado, magistrato e madre delle due figlie del pm, dichiarò alla giustizia che poco prima della morte dell'ex marito aveva ricevuto nel suo telefonino la copertina della rivista Noticias con un macabro fotomontaggio che mostrava il procuratore con la fronte forata.
Le contraddizioni e gli errori del governo non mancano, ma lo squallore dell’opposizione torna patetica nel confronto politico. Un primo braccio di ferro si sta preparando per il 18 febbraio, a un mese della morte di Nisman, quando i pm scenderanno in piazza.
Giovedì, l'ex moglie di Nisman, ha detto che farà una presentazione formale presso la Commissione Interamericana dei Diritti Umani. E ha chiesto di "non politicizzare" la giustizia. Ma la lotta politica è spietata e nessuno rimane fuori. La presidente, tornando dalla Cina, ha detto in una frase poco felice: "L'amore e il canto sono nostri, il silenzio è tutto loro".
In tanto, ritornano le parole di Nisman: “Questo è il mio ruolo quale pm” ben sapendo che “ne posso uscire morto”.