Ha inizio giovedì la visita di Papa Francesco in Corea del Sud, dove il pontefice sarà impegnato fino al 18 agosto in una fitta agenda di eventi: l’incontro con la presidente sud-coreana Park Geun-hye e quello con i vescovi asiatici, la celebrazione di due grandi messe pubbliche e il pranzo con i rappresentanti dei giovani cattolici di 30 paesi dell’Asia in occasione della Giornata della Gioventù Asiatica. Durante la sua visita a Seoul, Bergoglio procederà inoltre alla beatificazione di 124 martiri coreani uccisi nei secoli 18° e 19°, sotto la dinastia Chosun.
È il terzo viaggio internazionale per Bergoglio, che si è già recato in Brasile nel 2013 e in Giordania, Israele e Palestina nel maggio scorso. Si tratta anche della prima di tre tappe asiatiche: le altre due saranno lo Sri Lanka e le Filippine, a gennaio 2015.
I cattolici in Corea del Sud sono ad oggi più di 5 milioni, ovvero quasi l’11% della popolazione nazionale. Il loro numero sembra essere in crescita negli ultimi anni, ma l’azione evangelica del Vaticano deve fare i conti con la concorrenza dei protestanti, la cui fede è abbracciata dal 18% dei sud-coreani.
E non per tutti la visita del Papa è occasione festosa. Il Wall Street Journal ha riportato che uno dei vari gruppi protestanti presenti in Corea del Sud ha tenuto una manifestazione martedì scorso contro la venuta del Papa a Seoul. I nord-coreani, ugualmente, come era facile aspettarsi, non hanno accolto a braccia aperte la visita di Bergoglio. L’Associazione Cattolica Coreana, un organismo statale della Corea del Nord, ha infatti rifiutato d’inviare dei fedeli cattolici del Nord ad assistere alla grande messa che il Papa celebrerà a Seoul l’ultimo giorno della sua visita. Il rifiuto sarebbe stato motivato dal fatto che quello stesso giorno avranno luogo nella penisola le consuete esercitazioni militari congiunte degli Stati Uniti e della Corea del Sud, interpretate da Pyongyang come delle manovre di minaccia contro il Nord.
Benché la libertà di culto sia affermata nella costituzione nord-coreana ed esistano dei luoghi di culto ufficiali, i gruppi religiosi sono di fatto sotto lo stretto controllo statale. Non fa eccezione la comunità cattolica, che non intrattiene legame alcuno con il Vaticano.
Un turista americano, Jeffrey Edward Fowle, è attualmente detenuto in Corea del Nord e attende da tre mesi di essere processato per aver lasciato una Bibbia in un locale pubblico. Il missionario statunitense Kenneth Bae sta invece scontando una pena di quindici anni ai lavori forzati, sotto l’accusa d’aver tentato di sabotare il governo di Pyongyang. Infine il religioso sud-coreano Kim Jeong-wook dovrà passarci il resto della sua vita ai lavori forzati; la sua colpa: aver creato una chiesa clandestina.
L’altro paese che probabilmente sarà nei pensieri di Bergoglio durante il suo soggiorno sud-coreano è la Cina. Terreno d’evangelizzazione dal grande potenziale ma difficile da penetrare, la Cina resta un argomento delicato per le relazioni internazionali del Vaticano.
I cattolici cinesi sono circa 12 milioni, molti di più i protestanti, ma per questi ultimi soprattutto i numeri restano incerti. Lo Stato cinese obbliga le comunità cattoliche a registrarsi presso l’Associazione Patriottica Cattolica Cinese, un organismo statale creato nel 1958 dal Partito Comunista Cinese (PCC) e indipendente dal Vaticano. I membri delle comunità non registrate rischiano sanzioni e pressioni più severe da parte delle autorità.
Da anni inoltre riaffiorano puntualmente delle tensioni tra Roma e Pechino riguardo la nomina dei vescovi, un argomento sul quale entrambe le autorità vogliono avere voce in capitolo.
Dalle pagine del sito d’informazione sull’Asia The Diplomat, Zachary Keck mette l’accento sulle recenti dichiarazioni di un rappresentante statale delle questioni religiose in Cina, che ha affermato la volontà di Pechino di promuovere lo sviluppo della teologia cristiana nel paese.
“La costruzione della teologia cristiana cinese deve adattarsi alle condizioni della nazione e integrarsi nella cultura cinese” ha dichiarato il funzionario durante un forum sulla Sinizzazione della cristianità a Shanghai. Secondo Keck, questa volontà di sviluppo della fede cristiana nasconderebbe in realtà l’intento di controllarla ancor di più e soprattutto di ostacolarne ogni tipo d’influenza straniera, nazionalizzandola.
Secondo lo studioso Gianni Criveller, intervistato da La VOCE di New York nel giugno scorso, “il governo teme chiunque in Cina, anche se fosse per collezionare francobolli, è capace di organizzarsi, è capace di mettere insieme delle persone all’esterno del partito comunista”, rivaleggiando quindi con l’autorità del PCC.