Settimana intensa, quella che è appena trascorsa, per Xi Jinping, il presidente cinese, che conclude oggi il suo tour europeo. Xi ha partecipato al Summit sulla Sicurezza Nucleare a L’Aia, incontrando Obama a margine dell’evento, per poi fare tappa a Parigi, Berlino e alla sede dell’Unione Europea a Bruxelles.
Uno Xi Jinping che vuole farsi ambasciatore di una Cina “pacifica, simpatica e civilizzata”, come lui stesso l’ha descritta nel suo discorso di giovedì al Ministero degli Esteri francese, sul lungosenna parigino.
Accompagnato dall’elegante first lady ed ex-cantante, Peng Liyuan, Xi Jinping ha giocato la carta della simpatia nel suo colloquio con Obama il 24 marzo a L’Aia. Il presidente cinese ha commentato il suo incontro, prima di partire per l’Europa, con Michelle Obama, in visita in quegli stessi giorni in Cina. “Quando ci siamo salutati a Pechino,” ha detto a Obama, “Michelle mi ha chiesto di comunicarti ufficialmente i suoi cordiali saluti”. Nota di spirito che non ha mancato di provocare il sorriso.
La volontà di apertura, innanzitutto commerciale, del presidente cinese verso l’esterno sembra fare eco alla promozione che di se stesso Xi Jinping ha fatto all’interno della Cina, presentandosi come un politico riformatore e vicino al popolo. A dicembre scorso fece scalpore facendo la coda, come una persona qualunque, in un piccolo ristorante di Pechino e pagandosi il pranzo di tasca propria: 21 yuan (circa 2,50 euro) per dei ravioli ripieni, fegato alla griglia e verdure. Frugalità mediatica che fa da perfetto contrafforte alla campagna da lui lanciata contro la corruzione di politici e funzionari grandi e piccoli, “le mosche e le tigri”, per dirla con Xi. Una lotta che, collateralmente, lo aiuta anche a consolidare il suo potere personale.
A un anno di distanza dalla sua entrata in carica come presidente della Repubblica Popolare, nel suo tour europeo Xi Jinping non ha mancato di menzionare il concetto che incornicia mediaticamente la sua politica interna: il “sogno cinese”, ovvero la realizzazione, ha detto Xi, della “prosperità del paese, del risanamento della nazione e della felicità del popolo”. La prosperità del paese è legata al dinamismo dei suoi scambi commerciali con l’estero, che Xi vuole incrementare in direzione dell’Unione Europea tramite una “nuova via della seta”, evocata durante il suo soggiorno in Germania.
La Germania appunto, primo partner commerciale della Cina in Unione Europea, si presenta come un elemento chiave nella tessitura di questa rete commerciale. In Germania, infatti, Xi ha voluto visitare la città di Duisburg, punto di arrivo di treni merci in provenienza dalla megalopoli cinese di Chongqing.
L’evocazione di quegli 11 chilometri di ferrovia che legano Chongqing a Duisburg ha fatto da cornice ideale per la firma di vari contratti commerciali tra ditte cinesi e tedesche. Spicca in particolare quello per il rafforzamento della joint venture tra la produttrice tedesca di automobili Daimler e il gruppo Beijing Automotive.
Altrettanto fruttuosa è stata la visita di Xi in Francia, che ha visto la firma di contratti commerciali per un valore totale di 18 miliardi di euro. Degli apparecchi Airbus sono stati venduti alla Cina per 10 miliardi e un accordo è stato realizzato tra la casa automobilistica francese PSA Peugeot Citroën e quella cinese Dongfeng.
E perché non si parli solo del vile denaro, la visita di Xi Jinping in Francia è stato accuratamente pubblicizzata nell’ambito del 50esimo anniversario delle relazioni franco-cinesi. Il tappeto rosso steso da Hollande ai piedi del leader cinese, con tanto di cena all’Eliseo e concerto a Versailles, è stato criticato da alcuni come un omaggio a un potere che non rispetta i diritti umani, di cui da sempre la Francia si dichiara culla e paladina.
Varie manifestazioni di protesta contro il mancato rispetto delle libertà fondamentali in Cina, organizzate da gruppi come Amnesty International e Reporter Senza Frontiere durante la visita di Xi Jinping a Parigi e a Bruxelles, sono state ostacolate dai governi locali.
La questione dei diritti umani è stata menzionata solamente en passant da Obama, in modo un po' più convinto dalla Merkel.
Hollande, memore dei disastrosi effetti sulle relazioni franco-cinesi del sostegno di Sarkozy alla causa del Tibet nel 2008, ha preferito dare la precedenza agli accordi commerciali con il partner asiatico, che potrebbero aiutare una Francia il cui tasso di disoccupazione fa fatica a scendere. L’Eliseo assicura tuttavia che la questione dei diritti umani è stata trattata in privato ed è menzionata tra l’altro – come ultimo punto – nella dichiarazione congiunta di Hollande e Xi a seguito dell’incontro.
Altro argomento delicato sul quale non si è riusciti a far sbottonare Xi è quello della crisi in Ucraina. Si conferma la cauta neutralità della Cina, che evita così d’indisporre l’alleato russo. Si guarda, al contempo, dall’appoggiare il referendum in Crimea, che potrebbe creare uno scomodo precedente per Pechino, viste le velleità indipendentiste delle regioni cinesi del Tibet e dello Xinjiang.
Sembra quindi che a dettare le regole della danza per questo tour europeo sia stato l’ospite Xi e non i suoi ciceroni locali.

Michelle Obama pratica l’arte marziale del Taijiquan
Ma mentre Obama e gli altri scambiavano battute e promesse di cooperazione col leader cinese, Michelle Obama, in visita in Cina dal 21 al 26 marzo, aveva meno peli sulla lingua. Tra un colpo di ping pong e una mossa di taiji (perché un po' di teatro bisogna pur farlo), Michelle ha approfittato del quadro più informale della sua visita per toccare alcuni temi sensibili: l’importanza della libertà d’espressione, soprattutto online, il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti e l’educazione. Ha infine chiuso la sua visita con un pranzo, non senza valore simbolico, in un ristorante tibetano. Magia del soft power americano.
Nel frattempo, alla sede dell’UNESCO a Parigi, il presidente cinese ricordava che ogni civiltà è diversa, nessuna è inferiore o superiore alle altre e i loro scambi non si possono basare sull’innalzamento o l’abbassamento esclusivo di questa o quella civiltà. Forse un monito indiretto per quanti volessero erigersi a paladini della tradizione universalista dei diritti civili e politici, puntando il dito contro la Cina?