L’assenza di qualsivoglia dato certo cui potersi aggrappare è forse il peso più difficile da sopportare per le famiglie dei 239 dispersi del volo della Malaysia Airlines MH370 diretto a Pechino, di cui si sono perse le tracce la mattina dell’8 marzo, a un’ora dal decollo da Kuala Lumpur. In momenti come questo si vorrebbe poter riporre fiducia in autorità che diano risposte, se non certe, almeno competenti e non contraddittorie.
Ma la situazione sembra sempre più confusa. Le speranze si reggono solo grazie a un fumoso reticolato d’ipotesi, che lascia spazio a frustrazioni e critiche per la gestione delle indagini e della comunicazione con i familiari delle vittime. Per i paesi coinvolti nelle ricerche, si tratta anche di dimostrare il loro ruolo in un’operazione di cooperazione multilaterale di fronte a una crisi e di confermare la fiducia di cui godono presso i loro cittadini.
Le indagini però procedono a tentoni, stentano. Quasi da subito si è esclusa l’ipotesi di un guasto tecnico. È avvenuta forse un’esplosione in volo o una caduta in mare? Eppure nessun resto del velivolo è stato trovato.
Si è vagliata la pista di un dirottamento terroristico, a causa della presenza a bordo di due viaggiatori con passaporti falsi, rubati, mesi prima, a un italiano e a un austriaco. Pare, tuttavia, che i due clandestini fossero cittadini iraniani senza nessun legame con gruppi terroristici, che stavano semplicemente tentando di raggiungere l’Europa via Pechino.
D’altra parte, nessun gruppo terroristico ha rivendicato l’azione, esclusa una sconosciutissima “Brigata Cinese dei Martiri”, presto liquidata come una bufala da autorità e media. Delle voci su internet hanno però continuato ad avanzare l’ipotesi del terrorismo uiguro, cui Pechino ha attribuito un attacco con dei machete a Kunming, nel sud-ovest della Cina, il primo marzo scorso.
Esasperato dalle continue accuse di terrorismo, il presidente dell’American Uyghur Association, Alim Seytoff, ha chiesto di smettere di utilizzare gli uiguri come capro espiatorio. Due terzi delle persone a bordo del volo erano cinesi, ma nessuno di loro pare fosse di etnia uigura. Martedi l’ambasciatore cinese in Malesia, sulla base delle informazioni raccolte sui cinesi dispersi, ha escluso la responsabilità di uno di loro nell’ipotetico dirottamento.
Resta la possibilità di un colpo di testa di qualcuno a bordo, oppure il suicidio del pilota o del co-pilota. Le abitazioni di questi ultimi a Kuala Lumpur sono state perlustrate dalla polizia, in cerca d’indizi, ma senza successo.
Secondo le ultime informazioni, l’ultimo messaggio dall’aereo sarebbe stato un semplice “All right, good night”. Poco prima sarebbe stato spento il sistema di localizzazione del velivolo, chiamato “ACARS”. Da chi? Non si sa, ma probabilmente qualcuno con una certa conoscenza tecnica.
A quel punto l’aereo avrebbe invertito la sua rotta dirigendosi verso nord-ovest e, stando ai segnali satellitari, avrebbe volato per altre sette ore. Al momento le indagini si concentrano su due rotte possibili: una a nord, tra il Kazakistan e la Thailandia, l’altra a sud, tra l’Indonesia e l’Oceano Indiano.
Una tale massa d’informazioni, conferme e smentite ha alimentato in molti la sfiducia nei confronti delle autorità. La Malaysia Airlines è stata fin da subito oggetto di critiche per il ritardo con il quale ha comunicato la scomparsa dell’aereo.
La Cina ha moltiplicato le pressioni sul governo malesiano chiedendo maggiori sforzi e informazioni più accurate. Dalle pagine del Quotidiano del Popolo, un articolo intitolato “La vita di 239 persone non tollera negligenze né egoismi”, critica il ritardo della Malesia nella comunicazione di informazioni vitali, ma anche degli Stati Uniti e delle ditte Boeing e Rolls-Royce, produttrici del velivolo e del motore.
Il giornale taiwanese China Times cita addirittura, sotto anonimato, un ufficiale malesiano, secondo cui la Malesia avrebbe rivelato con una settimana di ritardo il cambiamento di rotta dell’aereo, pur essendone stata al corrente fin dall’inizio. Il velivolo, continua l’ufficiale anonimo, potrebbe trovarsi ora in Somalia o in Mongolia.
Alcuni utenti di Twitter hanno commentato queste critiche incrociate. George Chen, giornalista del South China Morning Post, si lamenta in un tweet del fatto che “L’Asia è più divisa dopo l’#MH370. La Cina accusa la Malesia d’inefficienza e gli Stati Uniti di non condividere le informazioni.”
Secondo l’agenzia Reuters, anche alcuni ufficiali americani avrebbero criticato il governo malesiano per non aver ancora chiesto aiuto all’FBI, che ha già esperienza in questo tipo di ricerche.
In un articolo su Boxun, sito d’informazione in cinese basato negli Stati Uniti, si afferma che il volo scomparso avrebbe fornito agli USA un’occasione non comune per rafforzare i legami col Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e gli altri paesi, per gestire appropriatamente le relazioni con la Cina e per usare soft e hard power dimostrando alle nazioni della zona Asia Pacifico il ruolo insostituibile degli Stati Uniti.
“Gli USA non solo hanno dimostrato di essere i soli ad avere le tecnologie di ricerca e di salvataggio più avanzate, ma anche di essere ben più avanti degli altri nelle capacità d’intelligence: quante notizie sicure e confermate sono state fornite da media e ufficiali non americani?” si domanda retoricamente l’autore, Yang Hengjun.
“Quando succedono delle disgrazie,” continua Yang, “le forze degli Stati e il gioco delle parti tra di loro emergono più chiaramente. […] Una grande potenza con delle responsabilità deve essere coinvolta più intensamente degli altri negli affari locali e internazionali, per mostrare al mondo intero il senso e la necessità della sua esistenza.”
Davvero gli Stati Uniti – o forse la Cina, la Malesia o un altro dei ben 26 paesi che oramai partecipano alle indagini – stanno cogliendo questa opportunità?
Il proliferare di teorie del complotto intorno alla scomparsa dell’aereo, in parte inevitabile, può anche essere letto come il segno di una sfiducia nei confronti delle risposte date dalle autorità.
L’utente Twitter Song Ma scrive: “Non sono un amante delle teorie della cospirazione, ma la scomparsa dell’aereo della Malaysia Airlines è diventata così strana che non posso non pensare che qualcuno o alcuni non abbiano detto la verità.”
L’internauta Wen Yunchao avanza l’ipotesi di negoziazioni in corso tra i dirottatori e il governo malesiano, in cui i terroristi richiederebbero la rivelazione dei retroscena del caso Anwar Ibrahim, condannato qualche giorno prima a cinque anni di prigione per sodomia. Anwar è il leader dell’opposizione in Malesia e nelle ultime elezioni, a maggio scorso, ha dato del filo da torcere alla coalizione del primo ministro Najib Razak, al potere da 56 anni.
Un’altra teoria riguarda la presenza a bordo di venti impiegati del gruppo Freescale, che commercializza dei prodotti di alta tecnologia per la difesa: radar, missili e strumenti di comunicazione di guerra. L’aereo potrebbe essere stato dirottato verso un paese desideroso di appropriarsi di tali tecnologie, come la Corea del Nord.
Infine, come se non bastasse, pare che alcuni cellulari dei dispersi dell’MH370, se chiamati, squillino ancora, ma senza risposta, e alcuni di loro risultino connessi sul social network cinese QQ. Quanto basta per ravvivare le speranze dei familiari, che hanno chiesto alla polizia di rintracciare il segnale per localizzare l’aereo, ma invano. Una mancanza d’ascolto che non ha fatto che aumentare il senso di frustrazione.
“A questo punto,” chiosa con un tweet il giornalista Michael Anti, “neanche una teoria del complotto sarebbe sufficiente per spiegare il caso del volo Malaysia Airlines.”