Cosa hanno in comune Jiang Zemin, Presidente della Repubblica Popolare Cinese dal 1993 al 2003, e Kim Jong-un, attuale leader della Corea del Nord? Entrambi, il mese scorso, sono stati accusati di crimini contro l’umanità da organismi esterni al loro paese, per dei fatti che hanno avuto luogo sul loro territorio nazionale. Per entrambi inoltre, molto probabilmente, tali capi d’accusa non produrranno nessuna conseguenza.
Il 17 febbraio dei giudici incaricati dall’ONU hanno pubblicato un rapporto ufficiale che dettaglia le “indicibili atrocità” commesse dai leader al potere in Corea del Nord: dalle torture ai rapimenti, dai campi di prigionia alla riduzione in stato di fame e di schiavitù, dagli aborti forzati alle limitazioni estreme della libertà di espressione, di movimento e di religione.
Esattamente una settimana prima, la Corte Suprema spagnola aveva chiesto l’emissione di un mandato d’arresto internazionale contro Jiang Zemin e altri quattro dirigenti politici cinesi, accusandoli di genocidio in Tibet, una regione che fa parte del territorio della Repubblica Popolare dal 1950, quando secondo i tibetani fu “invasa” dalle truppe cinesi, secondo i cinesi fu “liberata”.
Ma che valore hanno queste accuse lanciate da un capo all’altro del globo? Davvero possono avere delle conseguenze giudiziarie e trasformarsi in arresti? “In teoria sì, ma in pratica, all’ora attuale, è altamente improbabile,” ci risponde Frédéric Mégret, professore e vice preside alla ricerca presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università McGill di Montréal, in Canada.
Nel loro rapporto sulla Corea del Nord, i giudici ONU raccomandano che la questione venga sottoposta alla Corte Penale Internazionale (CPI), ma, spiega Mégret, ”la CPI non ne ha la competenza perché né la Cina né la Corea del Nord hanno aderito allo Statuto di Roma,” ovvero il trattato internazionale con il quale la Corte è stata istituita nel 1998 ed è poi entrata in vigore nel 2002.
Un mandato d’arresto internazionale, cosiddetto ‘avviso rosso’ d’Interpol, potrebbe invece essere emesso. Tuttavia, precisa Mégret, “esso non si sostituisce al diritto d’estradizione di ogni Stato, ma è piuttosto un semplice meccanismo di notifica. Si pone inoltre la questione dell’immunità dei dirigenti cinesi e coreani […]. I capi di Stato e i ministri sono normalmente coperti dalle immunità statali e non possono essere arrestati durante l’esercizio delle loro funzioni, ad esempio durante un viaggio ufficiale all’estero.”
Nessuna conseguenza concreta sembra quindi profilarsi nell’orizzonte prossimo per gli accusati, che nel frattempo hanno risposto alle imputazioni.
Pyongyang “ha rifiutato in modo categorico e totale” il rapporto ONU, che sarebbe basato su “materiale falso” prodotto da delle “potenze ostili sostenute dagli Stati Uniti, l’Unione Europea e il Giappone”.
Dal canto suo, la Cina ha risposto alle accuse della corte spagnola definendole “un errore”, la cui riparazione più o meno appropriata avrà un impatto “sullo sviluppo di relazioni prospere” tra i due paesi, ovvero sui loro scambi economici e commerciali. Come dire: se non tenete a bada i vostri giudici, dite pure addio al mercato cinese.
La Spagna non se l’è fatto ripetere due volte e il 12 febbraio ha votato in parlamento una legge che limita l’applicazione della “competenza universale”, il principio in virtù del quale i giudizi spagnoli hanno potuto chiedere un avviso rosso per Jiang Zemin.
Secondo questo principio un tribunale di qualsiasi Stato ha il diritto/dovere di prendere dei provvedimenti contro chi si sia macchiato di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio, qualunque sia la sua nazionalità e il paese in cui gli atti siano stati commessi.
In realtà solo una ristretta minoranza di paesi applica la competenza universale, senz’altro a causa dei problemi diplomatici sollevati dall’ingerenza negli affari interni di altri Stati.
I lavori dei tribunali “universalisti” hanno già provocato delle frizioni internazionali alla Spagna, come quelle con gli Stati Uniti, nel 2009, innervositi dalle indagini dei magistrati spagnoli su dei presunti casi di tortura di detenuti a Guantanamo. Quell’anno, i giudici spagnoli videro la loro competenza restringersi ai soli casi riguardanti vittime di nazionalità spagnola o imputati presenti sul territorio spagnolo.
Con le nuove modifiche proposte a febbraio, la competenza universale si ridurebbe ulteriormente ai soli casi di imputati spagnoli o stranieri ma residenti in Spagna, e a condizione che a fare appello al tribunale siano dei pubblici ministeri o delle vittime e non gruppi o associazioni. Un tale cambiamento renderebbe impossibili casi come quello di Jiang Zemin, che è stato portato davanti ai giudici otto anni fa da dei gruppi tibetani in Spagna e da un monaco tibetano con nazionalità spagnola.
Secondo i sostenitori della riforma, la competenza universale non servirebbe ad altro che a creare false speranze per le vittime. Secondo altri invece essa avrebbe perlomeno un effetto deterrente, perché tutti coloro che si macchiano di crimini gravi nel mondo saprebbero che, anche se nel loro paese sono loro a dettare legge, rischiano comunque di essere condannati all’estero.
Tra i sostenitori della competenza universale c’è Baltasar Garzón, il giudice che sulla base di questo principio ottenne l’arresto del dittatore cileno Augusto Pinochet a Londra nel 1998 (salvo poi lasciarlo tornare in Cile per ragioni mediche).
Secondo Garzón, la riforma baratta il rispetto dei diritti umani con promesse di guadagno commerciale ed è parte di una più ampia fase di regressione dei diritti di base in Spagna. Altri tuttavia vedono nella competenza universale una violazione della sovranità degli Stati.
“Attualmente c’è un dibattito in corso nel diritto internazionale sulla legalità della competenza universale,” dice Mégret, “La maggioranza dei giuristi pensa che sia del tutto legale nella sua versione ridotta (ovvero se l’imputato ha un legame con lo Stato che esercita la competenza).Non è tuttavia chiaro se sia necessario attuare la competenza universale per tutti i crimini di diritto internazionale, eccezion fatta per la pirateria e, senza dubbio, per i crimini di guerra”.
In realtà, sarebbe dovere in primis degli Stati interessati applicare il diritto internazionale ai crimini commessi dai loro cittadini o sul loro territorio, ci spiega Mégret. Se lo Stato in questione non adempie a questo dovere, allora un altro Stato potrà farlo per lui grazie alla competenza universale.
Dando la precedenza nelle indagini allo Stato diretto interessato, la competenza universale non viola la sovranità statale, sottolinea in un comunicato l’associazione spagnola “Jueces para la democracia” (“Giudici per la democrazia”).
Infine, se né lo Stato in questione né un altro Stato si fanno carico delle indagini, resta sempre l’ONU.
Ma qual’è il potere reale dell’ONU? “L'ONU," spiega Mégret, "non ha alcun potere di repressione, al di fuori dei tribunali ad hoc creati dal Consiglio di Sicurezza" [tribunali speciali creati appositamente per giudicare crimini avvenuti in un paese preciso, come quello per la Yugoslavia nel ’93 o per il Ruanda nel ‘94].
Per scongiurare il pericolo di un tribunale ad hoc, la Corea del Nord può contare sulla protezione della Cina, che ha già espresso la sua posizione critica sul rapporto ONU su Pyongyang. I tribunali speciali infatti sono stati creati, fin qui, dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di cui la Cina è uno dei cinque membri permanenti con diritto di veto.
“Tuttavia,” aggiunge Mégret, “un rapporto dell’ONU […] può accreditare l’idea della responsabilità di uno Stato e dei suoi dirigenti. È un passo verso un’azione giudiziaria che potrebbe essere decisa da alcuni Stati”. Eh già, almeno un passo.