Ci siamo di nuovo. Mercoledì la Corea del Sud e la Corea del Nord hanno deciso di comune accordo di organizzare a fine mese un incontro tra i membri di alcune famiglie che sono state separate durante la Guerra di Corea, negli anni 1950-’53, rimanendo chi da un lato chi dall’altro del trentottesimo parallelo che divide i due paesi.
Appena decisi, gli accordi sembrano tuttavia già a rischio. Ieri la Corea del Nord ha dichiarato di aver avvistato un bombardiere americano B-52 sulla costa ovest della Corea del Sud e ha accusato Seul di preparare un attacco nucleare.
Si tratta dell’inizio delle tensioni che si annunciano in ascesa da qui fino a fine febbraio, quando, come ogni anno, si svolgeranno nella penisola delle esercitazioni militari congiunte della Corea del Sud e degli Stati Uniti, considerate da Pyongyang come preparativi d’invasione. Il Nord potrebbe servirsi della minaccia d’annullamento dei ricongiungimenti familiari come pietra di scambio per ottenere la cancellazione delle manovre militari.
Altro elemento che Pyongyang potrebbe far giocare sul tavolo delle trattative è la riapertura del resort del monte Kumgang, nel sud-est della Corea del Nord, in cui i tour turistici sono stati interrotti nel 2008, a seguito dell’uccisione di una turista sudcoreana da una guardia nordcoreana. Le attività turistiche sul Kumgang sono infatti fonte di guadagno per le magre casse della Corea del Nord, ma Seul ha sottolineato la sua volontà di mantenere questo argomento al di fuori delle contrattazioni per le riunioni di famiglie separate.
I ricongiungimenti, previsti tra il 20 e il 25 febbraio prossimi, avrebbero dovuto aver luogo già a settembre scorso, ma quattro giorni prima Pyongyang ne ha deciso in modo unilaterale la cancellazione, abbattendo le speranze di quanti credevano di poter rivedere i loro cari per qualche ora dopo aver vissuto separati per sessant’anni.
Nel frattempo uno di loro è morto. Aveva più di 90 anni. Ogni giorno muoiono almeno dieci persone idonee al programma. L’età avanzata dei partecipanti richiederebbe che i ricongiungimenti familiari si facessero spesso e con urgenza, ma purtroppo essi devono sottostare alle regole dettate dagli incerti equilibri politici tra le due Coree.
Inoltre la lista d’attesa per partecipare al programma è lunga. Più di 70 000 sudcoreani hanno fatto domanda, ma solo alcuni riceveranno una risposta positiva. La selezione è computerizzata e casuale; l’unico criterio di priorità è l’età avanzata. Il numero dei selezionati per una riunione da ognuna delle due Croci Rosse, del nord e del sud, si aggira solamente sul centinaio.
Le prime riunioni familiari si sono tenute nel 1985. Poi lo stallo. Sono riprese nel 2000 e tra quell’anno e il 2010, 18 incontri sono stati organizzati sul monte Kumgang. Quasi 18 000 persone, per un totale di circa 4 000 famiglie, si sono potute rivedere, seppure per poco tempo.
Le due nazioni sono ancora ufficialmente in guerra (nel ’53 fu firmato solo un armistizio); di conseguenza tutte le comunicazioni private tra nord e sud e gli spostamenti al di là del confine sono vietati. La Croce Rossa della Corea del Sud sta realizzando dei video-messaggi di sudcoreani, nella speranza di poterli mostrare un giorno ai loro parenti del nord. E non basta: stanno anche creando un database genetico per permettere alle famiglie d’identificare i loro membri anche quando questi saranno oramai morti. Una lotta contro il tempo, contro l’oblio. E contro l’assurdità, oggi, della situazione politica nella penisola coreana.
Nel suo discorso alla stampa per il nuovo anno, la Presidente sudcoreana Park ha espresso la speranza che i ricongiungimenti familiari possano essere una prima tappa verso delle migliori relazioni nord-sud e si è detta pronta a mettercela tutta per aprire la strada a una futura riunificazione della penisola, che sarebbe, ha detto, una “manna dal cielo” per l’economia.
Un’osservazione, questa, rilanciata con ottimismo da un manifesto anonimo che ha fatto la sua apparizione a Times Square, a New York, negli ultimi giorni. Accanto alla foto di Barack Obama con la Park, si legge, in coreano e in altre sette lingue, che la riunificazione sarebbe “un’incommensurabile manna dal cielo per tutte le nazioni con degli interessi nella penisola coreana”. Secondo l’agenzia coreana Yonhap, l’autore del manifesto sarebbe un cittadino coreano-statunitense.
Anche il leader nordcoreano, Kim Jong-un, nel suo discorso di capodanno, ha espresso l’augurio di migliori relazioni nord-sud, ma non ha mancato di condirlo con minacce di attacchi nucleari contro la Corea del Sud e gli Stati Uniti.
Secondo un sondaggio citato dal giornale sudcoreano ChosunIbo e realizzato presso dei rifugiati nordcoreani, il 76,5% di loro credono che gli abitanti della Corea del Nord desiderino fortemente la riunificazione. Tuttavia, a fronte di questo dato, solo il 45% dei sudcoreani sentirebbe il bisogno di una riunificazione, stando ad un’altra ricerca menzionata dal giornale.
D’altra parte, le speranze in questo senso sembrano alquanto premature. Parole a parte, Kim Jong-un non sembra aver dato segnali concreti di voler seguire una linea più morbida di Kim Jong-il, suo padre e predecessore. Per quanto Antonio Razzi, senatore italiano e segretario della commissione esteri del Senato, dopo un viaggio a Pyongyang, lo abbia descritto come “una persona squisita, gentilissimo”, non un dittatore, ma un “moderato”.
A febbraio dello scorso anno, Kim Jong-un ha realizzato il suo terzo test nucleare; ad agosto avrebbe fatto fucilare alcuni membri di orchestre e gruppi musicali – tra cui la sua ex-ragazza – accusati di aver girato e venduto un video pornografico; infine a dicembre Kim ha decretato la morte di suo zio Jang Song Thaek, numero due del regime, definito dal nipote un “lerciume fazioso”.