Grecia, Atene, sede del Parlamento europeo, a tre passi da piazza Syntagma e dal Parlamento greco. I deputati europei Nikos Chrysogelos e Maria Eleni Koppa hanno organizzato un’audizione pubblica dal titolo “Political Asylum Ghetto, from Lampedusa to Lesvos” dove sono stato invitato, insieme a Laura Bastianetto, a presentare il nostro libro “Lampedusa – Cronache dall’isola che non c’è” e a portare la nostra esperienza sul molo dell’isola.
Parte il book-trailer, musica di sottofondo, arrivo dei barconi dei migranti, lo sbarco, il lavoro della macchina dell’accoglienza. Finisce il video e l’eurodeputato Chrysogelos, nel lanciare un reportage fatto da una tv tedesca, fa notare quanto sia organizzata bene la macchina italiana dell’accoglienza. “Vedete la Croce Rossa, la Guardia Costiera, avete visto come in Italia tutto funziona”. Nella traduzione simultanea tra il greco e l’inglese si perde l’ironia, penso. Parte il secondo video e viene raccontata una situazione drammatica: qui in Grecia i respingimenti sono all’ordine del giorno, i richiedenti asilo vengono trattati come immigrati irregolari, anche i siriani finiscono nei centri di detenzione per mesi, la percentuale di richieste d’asilo accolte è bassissima e il trattamento riservato ai migranti è a dir poco agghiacciante. Nelle immagini si sentono degli spari contro il barchino pieno di migranti e vengono raccontate storie di violenza e repressione. Quando arrivano le immagini in cui si vede uno dei cadaveri dell’ultima tragedia nel mar Egeo, capisco che il commento al “nostro” video non era ironico.
Dopo quasi cinque ore di audizione pubblica, l’idea è che in Grecia la questione immigrazione sia ancora ferma a qualche decade fa, sia dal punto di vista culturale che da quello politico. Ci sono coste di isole greche, come quella di Lesvos, che sono davanti alla Turchia. Qui il confine fisico tra Grecia e Turchia è in mare: il gioco perverso è quello di spingere o far tornare indietro le barche cariche di migranti. Se poi, tra un respingimento e l’altro, ci scappa la tragedia, tutti alzano le mani. “Un’operazione di soccorso andata male”, raccontano le istituzioni greche a proposito dell’ultima tragedia. “Ci hanno spinto verso le acque turche e la nostra imbarcazione si è ribaltata”, racconta uno dei superstiti. Quello che colpisce è quanto le associazioni che si occupano di migranti e i giornalisti presenti nella sala ateniese siano assolutamente colpiti, in positivo, dal sistema italiano. L’operazione Mare Nostrum, il lutto nazionale per la tragedia di ottobre al largo di Lampedusa, la differenza tra Centri di Accoglienza (CARA) e Centri di identificazione ed espulsione (CIE), il numero di richieste d’asilo accolte, la disponibilità ad andare a salvare in mare chi è in pericolo: quello che per noi sembra il minimo sindacale e comunque un sistema da ricostruire, in Grecia sembra un miraggio.
Nell’ascoltare le testimonianze degli operatori umanitari greci, degli avvocati, dei volontari la mente corre alla realtà durissima dei CIE, all’incredibile reato di immigrazione clandestina, a una legge contorta piena di lungaggini burocratiche, a un sistema che si fa trovare sempre impreparato. O ancora a una politica nazionale che fa a gara in uno strisciante razzismo, usando la paura del migrante per fare politica o peggio parlando di immigrazione irregolare come “problema da risolvere”, come se i tanti, tantissimi che scappano da guerre e carestie avessero un’altra possibilità se non quella di cercare rifugio da noi.
“Europa dovrebbe significare solidarietà”, dico nell’intervento. Poi penso alla disparità di trattamento dei migranti tra i vari paesi del sud del Mediterraneo. Penso all’egoismo dei paesi del centro-nord Europa che proprio non ne vogliono sapere. Alle frontiere francesi chiuse nel 2011. Alla mancanza di un piano di accoglienza europeo dopo trent’anni di immigrazione. Tutti parlano della mancanza di soldi per accogliere i migranti, ma forse bisognerebbe solo riorganizzare il sistema Frontex: se abbiamo milioni di euro da spendere per chiuderci come una fortezza, perché non li spendiamo per salvare vite e mettere a punto un vero sistema di accoglienza europeo? C’è ancora tanta strada da fare, senza ombra di dubbio. Come faremo a insegnare qualcosa ai nostri figli, se non siamo capaci di mettere in pratica i nostri valori con chi ha bisogno e ci guarda come un faro di civiltà?
Basterebbe volgere lo sguardo all’immensità del Partenone, alla grandezza del Pantheon romano, per capire che le risposte le abbiamo tutte nella nostra storia. E basterebbe entrare in una scuola per capire che l’integrazione è una cosa concreta e possibile. Sarebbe tutto molto semplice, ma bisognerebbe avere una classe politica intenzionata a fare anche cultura e non solo interessata al proprio orticello da curare a suon di demagogia.
Twitter: @TDellaLonga