“Tutti a parlare di immigrazione: giornalisti, politici, opinionisti. Si sono accorti solo ora che l’isola è una delle porte d’accesso dell’Europa. E’ sempre così. A ogni nuova ondata di flussi migratori ci ignorano all’inizio, poi creano il caso e alla fine è allarme. Poi ci abbandonano un’altra volta. Quello che bisognerebbe dire è che qui siamo abituati all’immigrazione. Più di vent’anni fa, siamo stati proprio noi, con i nostri pescherecci, a salvare i primi ragazzi che hanno tentato il viaggio e ciclicamente ritornavano i grandi numeri. Al di là della ruvidezza di una piccola comunità che vive lontano da tutto, siamo ospitali e soprattutto conosciamo le leggi del mare. Quando ero ancora pescatore, in tantissime occasioni, abbiamo aiutato maghrebini, somali, eritrei. Quando si sono inventati i respingimenti, abbiamo aiutato anche qualcuno in acque libiche. Ma questo non lo potevamo dire, altrimenti ci avrebbero tolto la licenza di pesca. Da queste parti invece lo sanno tutti degli accordi che abbiamo con i pescatori libici o tunisini. Sono accordi bilaterali anche questi, ma senza la benedizione delle istituzioni. Anche Guardia di Finanza e Capitaneria di Porto chiudono ogni tanto un occhio: in cambio sanno che da parte dei pescatori c’è sempre lealtà e soprattutto se qualcuno ha notizie importanti, le fa avere subito a loro. “Radio Porto” come viene chiamata dai forestieri, dice sempre la verità e racconta in anticipo quello che sta per succedere, c’è sempre da fidarsi”.
“Bambina mia, spero che tu sia al caldo lì dentro. Provo a farti un po’ di calore con le mie mani poggiate sul grembo, ma sono fredde e non so quanto conforto possano darti. Sei agitata anche tu stanotte, vero? Sento che scalci. Hai ragione, questo mare fa davvero paura. Non so nemmeno nuotare. Non ho mai imparato. Me lo diceva tuo nonno che avrei dovuto saper fare tante cose nella vita, ma a questo non avevo mai pensato. Quando ho iniziato questo viaggio insieme a te il mare era ciò che mi preoccupava meno. Tremo, ma non so se dipenda dal freddo o dalla paura. Potrei coprirmi indossando l’ennesimo strato di stoffa, ma continuerei a tremare perché contro la paura non ho niente da mettere addosso. Bambina mia, una volta salve ti racconterò della terra in cui sei stata concepita. Ti parlerò delle spiagge bianche, dell’acqua del mare così trasparente da riuscire a distinguere ogni granello di sabbia sul fondale. Ti racconterò della sua bellezza, del suo caldo afoso, delle sue abitazioni in stile coloniale italiano. Te ne parlerò come se tutto fosse ancora così, anche se in realtà, bambina mia, tutto è cambiato ormai. Dell’eredità italiana restano solo gli scheletri. Il mare trasparente e la sabbia bianca sono invece sporchi del sangue che da vent’anni scorre su quella terra. Su questa barca saremmo in 300 o forse anche più. Ho un dolore lancinante alle gambe e non posso nemmeno alzarmi per sgranchirmi un po’. Non c’è spazio per muoversi ed è anche pericoloso tirarsi su. A ogni piccolo movimento di ognuno si rischia il rovesciamento della barca. Ormai sarà anche la quarta volta che mi faccio la pipì addosso. C’è un odore terribile qui a bordo. Riesco a sentirlo nonostante l’aria aperta e il forte vento che tira. Bambina mia, ti racconto queste cose adesso perché probabilmente sorvolerò su alcuni dettagli quando raggiungerai l’età della consapevolezza. A volte mi chiedo: chi decide dove una persona deve nascere? Chi ha deciso che a me sarebbe toccata la guerra, la fuga e questo viaggio infame che mi ha illuso fino a prima d’intraprenderlo. Non posso pensare di aver schivato pallottole, torture e carcere per vedere la mia vita inghiottita dal mare. Non c’è nessuno qui a proteggermi e nemmeno a darmi l’illusione di protezione. Ma ho la responsabilità di offrirti la possibilità di metterti davanti a tutte le scelte che io non ho mai avuto e di cui non ho mai nemmeno sentito la mancanza per il semplice fatto che ne ignoravo l’esistenza. T’insegnerò che nella vita ci sono scelte da fare e non solo strade da seguire. Superato questo viaggio spero davvero di non morire prima che tu e io, piccola mia, possiamo essere adulte insieme”.
“Quella notte siamo stati bravi. Quella notte abbiamo salvato 500 vite. Ma non è stato abbastanza. Il giorno dopo sugli scogli restavano i sacchetti di datteri che i migranti usano portarsi dietro per rifocillarsi durante la traversata in mare e sotto ciò che rimaneva dell’imbarcazione sono spuntati tre corpi esanimi. Li hanno trovati per caso i sommozzatori della guardia costiera quando hanno scandagliato il fondale dov’era adagiato il barcone ancorato con le cime agli scogli. Sotto a una zattera di salvataggio lanciata in mare la notte precedente per cercare di salvare più gente possibile hanno trovato un corpo incagliato. Sotto di esso un altro corpo e poi un altro ancora.Non posso pensare agli ultimi minuti vissuti da quei tre uomini. Alla loro paura, al loro cercare di dimenarsi per attirare la nostra attenzione, ai loro sogni infranti su uno scoglio.La cosa più triste di questa brutta vicenda è che nessuno sa chi siano. Nessuno, anche tra gli altri migranti, conosce i loro nomi. Sono fantasmi così come tutti quelli inghiottiti dal mare ormai da decenni nel Canale di Sicilia. Di questi anonimi resta solo una scritta, la data di morte, con lo spray rosso sul lato del barcone su cui hanno viaggiato fin qui”.
Voci e pensieri sparsi, prima ascoltati, e poi raccolti nel 2011 quando in Italia arrivarono migliaia di migranti in fuga dalla cosiddetta “Primavera araba”. Come si può notare dalle parole dell'ex pescatore lampedusano, di Amina, una donna somala incinta e del medico operativo a Lampedusa, sono passati due anni e la situazione non è cambiata affatto. Esiste ancora una legge che prevede il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina per chi, per pietà e per coscienza, salva l'uomo in acqua, rispondendo alla legge del mare piuttosto che a quella dello Stato. Esistono ancora i respingimenti e i rimpatri per cui l'Italia ha speso 26milioni di euro negli ultimi 5 anni. Esistono gli accordi italo-libici, aggiornati anche dopo la caduta di Gheddafi. Esiste la difesa delle frontiere per cui sono stati spesi quasi 170milioni di euro negli ultimi 5 anni. L'Europa qui c'è e ha destinato, ad esempio, più di 165 milioni di euro per la tutela delle frontiere negli ultimi 5 anni. C'è con l'agenzia Frontex,che dai 19 milioni del 2006 è passata ai 118 nel 2011 per finanziare “l'attività operativa”, ossia il controllo delle frontiere marittime. Non c'è però l'Europa quando bisogna creare dei corridoi umanitari. Non c'è quando bisogna pensare a una politica dell'accoglienza europea. Non c'è quando nasconde sotto il tappeto le implicazioni della globalizzazione. E' vero, ci sono le organizzazioni criminali che sfruttano la miseria per creare nuove schiavitù e guadagnare bottini da capogiro che ormai sono al terzo posto nei fatturati illegali mondiali, dopo armi e droga. Ma non è respingendo il problema che si risolve la tratta, lo sfruttamento e l'umanità in mano agli scafisti.
Il direttore di Repubblica.it Vittorio Zucconi ieri in un tweet scriveva che a leggere commenti qui e lì, sembra che una soluzione non esista. In effetti non c'è un'unica via, ma diverse e tante da perseguire tutte insieme.
*Laura Bastianetto, scrittrice e giornalista romana, è coautrice con Tommaso Della Longa del romanzo-verista "Lampedusa. Cronache dall'isola che non c'è"
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