
La copertina del libro di Laura Bastianetto e Tommaso Della Longa
Per chi suona la campan-ella? Alle 8 l’insegnante d’italiano non è ancora arrivata. “Prego, si accomodi in sala professori”, mi suggerisce la bidella all’entrata dell’Istituto Giovanni Paolo II di Roma.
Sono di nuovo alla scuola media, dopo 20 anni, ma con un pezzo di vita da adulta da raccontare. Nella sala, a cui da adolescente avevo guardato con rispetto e curiosità, trovo le insegnanti della prima ora che festeggiano il compleanno di una di loro. Hanno ancora qualche minuto prima che suoni la campanella: “Sei la supplente?”, mi chiedono quasi con aria distratta. In realtà sono lì per parlare ai ragazzi del libro, scritto con Tommaso Della Longa, su Lampedusa e su quello che successe sull’isola nel 2011 in concomitanza con la guerra in Libia e le cosiddette primavere arabe. L’insegnante d’inglese si mostra interessata, ma “non è in lingua, vero?”. In realtà avrebbe dovuto esserlo soprattutto dopo la nostra presentazione alle Nazioni Unite quando i corrispondenti dal palazzo di vetro per i giornali di tutto il mondo ci chiesero “what is Lampedusa?”
I ragazzi della III A invece lo sanno bene e perfino dov’è. Le 8.10 sono appena passate. In fondo alla classe c’è un planisfero. Dovrebbero alzarsi tutti dai banchi per riuscire a indicarla lì sopra. E’ così piccola “appena 22 km quadrati”.
La prof richiama all’attenzione un paio di volte in un’ora. “Dovete usare solo le orecchie”. E subito dopo “magari potreste prendere anche qualche appunto, no?”. “E come facciamo a scrivere con le orecchie” le risponde il ‘battutista’ della classe.
I ragazzi della III A ascoltano. Sono attenti. Un record per una che solo il giorno prima, parlando con gli amici dell’esperienza che sarebbe arrivata di lì a qualche ora, temeva di trovarsi di fronte a una baraonda.
Non ci fermiamo al libro, ma parliamo di migranti economici e di migranti in fuga, dei motivi che spingono a lasciare i propri paesi, dell’accoglienza che non c’è stata e continua a non esserci, di leggi miopi e securitarie, di un’Europa che non esiste e di “sogni o disperazione?” che portano alla fuga. E’ passato solo un mese dalla ribattezzata “tragedia del 3 ottobre”. I media nazionali si sono degnati di riparlarne ancora il giorno prima della mia visita a scuola per raccontare la commemorazione informale dei sopravvissuti che ancora oggi sono a Lampedusa dentro un centro di accoglienza stipato, su materassi di fortuna e, all’occorrenza, sotto la pioggia battente.
“E poi c’è la donna che ha partorito in acqua”, mi chiede una ragazza al secondo banco. Conoscono i fatti. La prof mi dice che ne hanno parlato a lungo dopo quella notte del 3 ottobre. Non so quanto siano adulti questi ragazzi. Non so nemmeno se abbiano bisogno di avere una visione edulcorata delle cose che accadono. “Ha partorito in acqua quando era già morta”, dico. “I sommozzatori hanno trovato mamma e figlio attaccati grazie al cordone ombelicale. Vita e morte insieme nella stessa tragica istantanea”. Mi guardano con gli occhi sbigottiti, ma non sembrano scioccati da quell’immagine. Tra tv e internet oggi abbiamo già visto tutto.
La campan-ella suona e mi trasferisco in II A. La classe è decisamente più reattiva. Altro che attenzione. Non faccio in tempo a finire una frase che c’è già una domanda pronta. Sara alza la mano continuamente. Ha tantissime domande da farmi, anche molto argute. Ecco perché mi spiazza quando, con totale ingenuità, mi chiede: “Ma gli scafisti come fanno a non sentirsi in colpa? Come fanno a stare a posto con la coscienza?”
Già, come fanno. Io non ho risposte e lei effettivamente è 'solo' una dodicenne. Alex invece sa tutto. Conosce ogni dettaglio di Lampedusa e delle sue vicende. Gli chiedo il motivo e lui con estrema furbizia e altrettanta onestà mi risponde: “Ero in III A”, l’aula che ho appena lasciato. Vero, lui era lì insieme con altri suoi due compagni di una classe spezzettata perché la prof era assente. E’ la scuola italiana, bellezza.
Alex ha imparato proprio le parole. Parla di Lampedusa come primo approdo sicuro e del terrore negli occhi degli uomini più neri che durante la guerra in Libia venivano fatti fuori perché considerati mercenari dai ‘ribelli’. Il ragazzo al primo banco si volta verso il fondo. Lì c’è un suo compagno con la pelle olivastra. Mi dirà poi che è di origine marocchina. “Non ci sono mai stata, ma si dice che il Marocco sia un paese bellissimo”, gli faccio. “Sì, lo è”, rispondono brillando i suoi occhi.
Si parla anche di tratta, della violenza spesso subìta dalle donne in fuga. “Ma chi sono i personaggi descritti? Ma come nasce questo libro? Perché avete scelto questo titolo?” Cerco di rispondere a ogni domanda. Sono sorpesa da tanta curiosità.
La ragazza bionda al secondo banco vicino alla finestra sembra invece un po’ distratta. Solo quando nomino la caretta caretta, le s’illuminano gli occhi. “La tartaruga marina”, urla sorridendo. Già, anche lei è nel libro con i suoi pensieri, le sue parole e le sue paure. Ma lei è libera di nuotare e arrivare dove vuole senza barriere e senza l’obbligo di un permesso di soggiorno.
“Ma perché vengono tutti qui? Cosa credono di trovare qui in Italia?” A volte semplicemente un rifugio, altre volte una nuova opportunità, ma sempre più spesso un ponte per raggiungere i propri cari in qualche altra parte dell’Europa. Saranno pronti per capire anche gli accordi di Dublino? Mi gioco tutte le carte senza confondere loro troppo le idee. “E’ un tema talmente vasto che deve essere affrontato lentamente e per punti solo con una vera volontà politica”. Questo i ragazzi l’hanno capito.
Suona la campan-ella. Terza ora, IIB. Stessa storia, stesso interesse, stesse curiosità. A fine lezione vengo circondata da tutti gli studenti con cui ho appena finito di parlare. “Mi fa un autografo sul libro?” Vorrei scrivere una dedica a ognuno, ma il tempo scorre e leva spazio alla loro ricreazione. Mi dicono grazie, ma non sanno quanto io sia grata loro per questo ritorno a scuola e per avermi permesso finalmente di portare in un’aula scolastica Lampedusa e il tema dell’accoglienza.
Per chi suona la campana? Ovvio, per tutti noi.
*Laura Bastianetto, scrittrice e giornalista romana, è coautrice con Tommaso Della Longa del romanzo-verista "Lampedusa. Cronache dall'isola che non c'è"
twitter @LBastianetto
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