È uno dei conflitti dimenticati da una Comunità Internazionale troppo assorbita dai negoziati sul nucleare iraniano o dalla guerra civile siriana. Eppure la crisi che colpisce da diversi mesi la Repubblica centroafricana (RCA) è, per numeri, dimensioni, gravità e implicazioni il modello forse pìu drammatico di conflitto moderno. Paese situato nel cuore dell’Africa, ex colonia francese, con capitale Bangui, la RCA non solleva la curiosità di occhiate approssimative alla mappa politica del continente. Con oltre 4 milioni e mezzo di abitanti, il paese è diviso in un 50% di cristiani, 15% di musulmani; la grossa rimanente quota di popolazione è rimasta fedele alla religioni tradizionali.
La RCA, tra le nazioni più povere al mondo, ha una storia pluridecennale di cattiva governance e violenze. Dal 1960, anno dell’indipendenza, è stata travolto da colpi di stato, sedizioni, ammunitanamenti. Retto fino al 1979 da un leader brutale e sanguinario, Jean-Bedel Bokassa, passando attraverso varie crisi nonchè il dispiegamento di una missione di pace delle Nazioni Unite all’inizio dello scorso decennio, il Paese era riuscito, tra il 2008 e parte del 2012, a trovare una tregua parziale dal conflitto e dalle violenze. Il presidente Francois Bozize, giunto anch’egli al potere mediante un colpo di Stato, aveva cercato di domare le nuove rivolte e sedizioni scoppiate nelle regioni settentrionale attraverso una serie di accordi di pace con gruppi e milizie d’opposizione. Nonostante ciò, la frustrazione di molti ex-ribelli e gruppi armati per un processo di smobilitazione e reintegrazione sociale ed economico mai riuscito ha fomentato una nuova violenta insurrezione, cominciata appena un anno fa.
Con una marcia spedita verso la capitale, nel marzo 2013, l’allenza ribelle Seleka riusciva così a rimuovere, come un castello di carta, le istituzioni politiche e di sicurezza del regime di Bozize. Aggiungendo una crisi umanitaria a quella politica. Entrambi inascoltate. Le violenze di Seneka e gli scontri con le truppe lealiste hanno causato lo sfollamento di oltre 400mila persone e la dipendenza di oltre metà della popolazione del paese dagli aiuti umanitari. Nel pressochè totale disinteresse della grande stampa e in un attendismo colpevole da parte della comunità internazionale il caos scoppiato nella RCA ha denunciato, nonostante l’intervento di forze di pace africane, l’emergere di un nuovo failed State nel cuore del continente. E di un quadro tragico: milizie autogranizzate di autodifesa, intolleranza crescente verso mussulmani e scontri inter-religiosi, decine di migliaia di profughi in viaggio verso i Paese vicini, 70% di bambini senza accesso all educazione, altre migliaia di adoloscenti arruolati come child soldiers. Tante le ragioni per fuggire, incamminarsi altrove, migrare.
C’è poi un calcolo approssimativo che fino a qualche settimana fa parlava di un misero 40% di fondi versati al Paese rispetto a quelli promessi dalle grandi potenze. E resta poi il mistero di come e a chi assegnarle queste ricorse. Con quali forme di controllo in un Paese per il quale appare ormai impossibile applicare le regolamentazioni del Kimberly process, un meccanismo sostenuto dall’ONU e pensato per impedire che il commercio di diamanti – di cui la RCA dispone – venga usato illegalmente per finanziare gruppi armati come Seleka, colizzati attorno ad un’agenda che è al contempo politica e criminale.
Il rischio di un baratro criminale e umanitario è stato denunciato qualche giorno fa dalle Nazioni Unite. Il precipizio verso il compimento di atti di genocidio: la minoranza musulmana allineata a Seneka ha intensificato gli attacchi mirati contro la comunità cristiana, prendendo di mira soprattutto le zona d’origine del Presidente Bozize. La proliferazione incontrollata di milizie cristiane di autodifesa appare inarrestabile.
Nel frattempo, qualche segnale di risveglio dal mondo c’è stato: la Francia ha annunciato l’invio di un migliaio di militari in sostegno alle truppe africane. Il Consiglio di Sicurezza sembra ormai pronto ad adottare una risoluzione “con i denti” cha accresca il mandato delle forze africane, destinate a raggiungere i 4mila effettivi (ancora pochi), e autorizzi altresì il dispiegamento di truppe francesi. Ci sarebbe poi l’urgenza di fare indagini serie e credibili sulle massicce violazioni di diritti umani e i crimini contro l’umanità compiuti in questi mesi.
Ma una riflessione appare necessaria: la RCA era un paese reduce da una pluridecennale storia di conflitti. Diversi meccanismi erano stati creati, dal sistema ONU, per evitare un nuovo fenomeno di ricaduta nel caos e nelle violenze. La RCA è da diversi anni nell’agenda della Commissione per il consolidamento della pace (Peacebuilding Commission, di base a New York). Il Paese ancora ospita una missione politica delle Nazioni Unite, impegnata da tempo, sul field, in una funzione di sostegno alla ricostruzione del Paese. Questi meccanismi non hanno funzionato. E qualche analisi seria andrebbe fatta.
È tuttavia troppo facile sollevare interrogativi sulla underperformance del Palazzo di Vetro. Esercizio tipico della retorica neo-conservatrice stile Fox-news. L’ONU era ed è ancora nella Repubblica centroafricana. C’era e c’è, dunque, la Comunità Internazionale. Una presenza che rimane puro protocollo se a mancare è la volontà politica degli Stati che contano. Di quelli che hanno mezzi, risorse e influenza diplomatica per risolvere i conflitti. E, molto spesso, il cinismo e la freddezza necessaria per farceli dimenticare.