Non ci si può stupire oltremisura delle indecisioni dei dirigenti politici di fronte a cambiamenti troppo bruschi. Tutti abbiamo studiato la sorpresa, i tentennamenti, le viltà e le disastrose decisioni di Luigi XVI, e come andò a finire.
Certo, oggi non siamo di fronte alla rivoluzione francese. Ma i tempi storici si sono drammaticamente accelerati rispetto all’epoca di Luigi XVI e di Robespierre. Allora ci volevano decenni, se non secoli, perché certi processi storici maturassero. Oggi ci vogliono pochi anni, a volte qualche mese appena. E siccome il cervello umano è altrettanto conservatore di quanto lo fosse nel XVIII secolo, la nostra incapacità a seguire i cambiamenti aumenta in proporzione – figurarsi capirli e adattarvicisi.
Di regola, i leader politici seguono i cambiamenti, li capiscono e vi si adattano meglio e prima della “società civile”. Dovrebbe essere normale, se ci si pensa: la società civile è composta di individui che hanno altre priorità: andare a lavorare, o a cercare un lavoro, pagare le bollette, ottenere un prestito, o anche solo guardare la tv o leggersi un bel libro. I leader politici ed economici, invece, fanno quello di mestiere. Per questo, di regola, dovrebbero essere più preparati, più pronti, più reattivi.
Questa regola sembra a prima vista contraddetta da Obama e Hollande. Vero è che i cambiamenti con cui hanno a che fare i due presidenti sono epocali. Hollande deve gestire la dissoluzione della France éternelle nel superiore processo europeo, e Obama deve gestire la transizione degli Stati Uniti da prima a seconda potenza economica mondiale. Per i due paesi, le conseguenze di questi due passaggi storici saranno traumatiche, e si può capire la confusione dei loro dirigenti. I loro predecessori reagivano prendendo decisioni frequenti e arrembanti, ma erano sovente decisioni sbagliate. Obama e Hollande controbilanciano solo a metà: non prendono decisioni, ma quando lo fanno sono sovente sbagliate.
Lasciamo per un momento Obama, e concentriamoci su Hollande, che i lettori americani e italiani conoscono meno. Il presidente francese non è soltanto uno che non sa prendere decisioni: è uno che non vuole prendere decisioni. È stato eletto proprio su questo non-programma: un “presidente normale” opposto al presidente decisionista, autoritario, arrogante, spesso intempestivo. Peccato che la Quinta Repubblica sia stata ritagliata su misura per un presidente decisionista, autoritario, arrogante. Questo fa di François Hollande un presidente doppiamente inadeguato: per la Francia, e per i tempi che corrono (e corrono per davvero).
Nel 2005, al momento del referendum sulla Costituzione europea, il Partito di cui Hollande avrebbe dovuto essere il capo, il Partito socialista, si spaccò in due. La frazione ostile alla Costituzione era guidata dall’attuale ministro degli Esteri Laurent Fabius, inventore del celebre slogan sul plombier polonais – l’idraulico polacco – nuova incarnazione dell’immigrato che, con le sue pretese salariali modeste, ruba il lavoro all’onesto idraulico autoctono. All’epoca, Hollande, deplorò, ammonì e giunse perfino ad escludere Fabius e i suoi dalla direzione del Partito; mai gli venne in mente che, ormai, i partiti erano due.
Ci sono due partiti socialisti che convivono sotto lo stesso tetto. Ma ci sono soprattutto due France che convivono sotto lo stesso tetto: una per l’Europa e una contro l’Europa. Come dappertutto nei paesi che stanno vivendo questa storica transizione.
Anche laddove la mentalità dominante continua ad esser quella di un’epoca politica che non esiste più (destra vs sinistra; conservatori vs progressisti; popolari vs socialisti), il panorama politico si va ricomponendo in modo quasi spontaneo. La maggioranza (nove su diciassette) dei paesi dell’eurogruppo sono governati dalle “larghe intese”, la cui ragione di intesa si riduce, essenzialmente, all’implementazione delle direttive europee. All’opposizione, le forze che credono di poter prescindere dalle direttive europee.
La Francia del 2005 aveva offerto il primo chiaro modello di questa ricomposizione: gli europeisti di destra e di sinistra si servirono più o meno degli stessi argomenti, e gli antieuropei di destra e di sinistra si servirono anch’essi più o meno degli stessi argomenti – financo sull’idraulico polacco (Jean-Luc Melenchon, attuale leader dell’estrema sinistra, rivendicava la giustezza della sua scelta con l’inoppugnabile dimostrazione che l’idraulico polacco aveva eletto, nel suo paese, una maggioranza «nazional-cattolica, anti-europea, legata all’estrema destra»).
Questo non impedì agli uni e agli altri di ricominciare, il giorno dopo, la stanca commedia autoreferenziale e un po’ autistica della destra contro la sinistra e viceversa. Oggi, quell’autismo si è aggravato, allontanandoli definitivamente dalla realtà. Hollande non sa più che pesci pigliare; e i suoi nemici della destra discutono animatamente… su chi sarà il candidato alle presidenziali del 2017: solo ed esclusivamente di quello.
Tra i due litiganti, il terzo, intanto, se la gode. Marine Le Pen prepara la sua campagna di primavera. L’elettorato autoctono nazional-cattolico anti-europeo, legato all’estrema destra, si sta mobilitando con accenti di prossimo trionfo. Cominciamo a prepararci.