“Distratti” come siamo da quello che accade in Siria e in Egitto, abbiamo perso di vista completamente quello che accade in quella parte di Africa che comprende il sud dell’Algeria, il Mali, il Niger. Ma se noi ci dimentichiamo o li ignoriamo (ed è la stessa cosa) i fatti, i fatti non si dimenticano certo di noi.
L’ondata di fanatismo jihadista, che ci sembra “normale” incontrare nei paesi africani di lingua araba e in quelli del Medio Oriente, compie un “salto di qualità”, e si spinge ormai nel cuore dell’Africa equatoriale. Qui si gioca – e ancor più si giocherà – una partita essenziale. Basta un’occhiata alla carta geografica per rendersene conto.
Nel settore orientale della Repubblica del Congo, per esempio, è stata segnalata la presenza di mercenari libici, maliani, sudanesi e ciadiani, a fianco dell’Adf, l’Allied Democratic Forces, una formazione armata ugandese, in passato finanziata dal governo islamico sudanese, che in Congo ha allestito le sue basi operative. Il sospetto, che è qualcosa di più di un sospetto, è che i dell’Adf, già impegnati in violenti combattimenti nel Nord Kiwu contro l’esercito regolare congolese, abbiano ricevuto il soccorso di cellule legate al salafismo di matrice saudita.
Le testimonianze di profughi congolesi che si sono rifugiati in Uganda riferiscono che a combattere a fianco delle Adf ci sono miliziani che parlano arabo e invocano la guerra santa. La regione è quella del Ruwenzori, le mitiche Montagne della Luna, al confine tra Congo e Uganda. Una situazione drammatica, se è vero che secondo stime della Croce Rossa dal 15 luglio scorso circa 65mila i profughi hanno trovato precario riparo nelle zone rurali di Bubandi, Karela, Isonga e Kisarum, nella subcontea di Bubandi. Si tratta per lo più di donne, vecchi e bambini, che vivono in condizioni grande precarietà, soprattutto per la mancanza di acqua potabile, cibo, medicine.
All’interno dell’Adf, già in passato, era dominante la matrice islamica: non per un caso il suo ispiratore storico è stato Jamil Mukulu, un fanatico legato alla setta musulmana dei Tabliq ugandesi. Ma, raccontano i profughi congolesi, dal Nord sarebbero giunti mercenari: «Non parlano in luganda, l’idioma tradizionale dei ribelli ugandesi e soprattutto non conoscono lo swahili che è la lingua franca dei militari. Si esprimono solo in arabo».
Miliziani, si ipotizza, provenienti dalla vicina Repubblica Centrafricana: ribelli di fede islamica che hanno combattuto nelle fila della coalizione Séléka, che ha rovesciato l’ex presidente centrafricano François Bozizé. Nella città congolese di Goma, capoluogo del Nord Kivu, la situazione è sempre più critica, e i ribelli filo-ruandesi del movimento M23 potrebbero riprendere, da un momento all’altro, le ostilità contro il governo di Kinshasa.
Nelle regioni settentrionali dell’Uganda poi, operano i guerriglieri del Lord’s Resistance Army (Lra); il loro è un continuo via-vai tra Congo, Repubblica Centrafricana e Sudan, e costituiscono un fattore di costante destabilizzazione. Una situazione di cui prima o poi potrebbero approfittare i vicini Ruanda e Uganda, alla ricerca di un pretesto per occupare il territorio congolese; quello che fa gola sono i preziosi giacimenti minerali e le ricche fonti energetiche.
In tutta la regione, inoltre, da tempo, operano e soffiano sul fuoco i cinesi, ormai presenti in forza dal Corno d’Africa fino ai paesi che si affacciano sull’Oceano Atlantico. Lo scopo è accaparrarsi le incalcolabili ricchezze e risorse del suolo africano, vero e proprio paradosso: paesi ricchissimi, con popolazioni che muoiono di fame. Una delicata partita che si gioca senza esclusioni di colpi e con estrema spregiudicatezza, l’obiettivo di Pechino, affamata di risorse energetiche, petrolio, gas, ecc., è quello di spodestare le compagnie occidentali.
Nel prossimo futuro, la partita è in questi paesi che si giocherà una partita decisiva.