Dapprima sono arrivate decine, poi centinaia, fino a cinquecento segnalazioni da parte di ragazze e di donne di comportamenti molesti sui social media. Le testimonianze raccolte da “Non Una di Meno, Rimini” e altre associazioni femministe raccontano di volgarità, apprezzamenti pesanti, palpeggiamenti e aggressioni.
Gli autori di queste molestie erano tutti alpini, giunti a Rimini per partecipare alla 93esima adunata nazionale che ha avuto luogo dal 5 all’8 maggio.
In tre giorni, sono state oltre quattrocentomila le persone arrivate a Rimini da tutta Italia e dall’estero. In tutto, c’erano ben 800 alberghi riminesi aperti, lunghe file davanti a bar e ristoranti, e secondo le stime pubblicate sui media, questa kermesse eccezionale ha potuto contare su un indotto complessivo stimato superiore ai 150 milioni di euro.
Ma ora, su quella che doveva essere anche un’importante opportunità di visibilità e promozione turistica per la Riviera, in vista delle prossime vacanze estive, pesa un’ombra oscura.
“Non Una di Meno” ha deciso di aprire uno spazio in Instagram insieme a “Pride Off” e al centro sociale “Casa Madiba” prima ancora dell’arrivo degli alpini “perché avevamo ricevuto già denunce simili in precedenti adunate degli alpini”, spiega l’attivista femminista Marta Lovato. “Siamo state inondate di messaggi. Ora vedremo come sostenere le persone per eventuali denunce alle forze dell’ordine”.
Sia chiaro, precisa l’attivista, “il problema non riguarda solo gli alpini e nessuno generalizza contro la loro categoria, è un problema di una cultura sessista e patriarcale diffusa e che persiste: questa situazione di adunata crea una dinamica di branco, la concentrazione di un fenomeno che accade nella vita normale delle donne”.
Le segnalazioni sono state fatte da donne ma anche ragazzine minorenni.
“[…] Oggi ero nel centro di Rimini era pieno zeppo di alpini ubriachi. Ero con una mia amica abbiamo entrambe quattordici anni… eravamo anche vestite normalmente e un alpino mi ha tirato uno schiaffo fortissimo sul sedere e si sono messi a ridere. Sono traumatizzata e mi sono messa a piangere” racconta una delle tante ragazze giovanissime che hanno riportato la loro testimonianza.
“Faccio la cameriera e tra ieri e oggi è stato surreale il livello di molestie che ho dovuto sopportare. Gente che allunga le mani, cerca di darti baci sulla guancia dopo averti tolto con la forza la mascherina, continui apprezzamenti che passano dal “sei bella” a chiederti che intimo indossi, se lo indossi”, racconta una cameriera di un bar in centro a Rimini.
Quel che è successo lo scorso weekend a Rimini dimostra che le donne italiane sono cambiate, che non accettano più di essere trattate come oggetti e di dover subire in silenzio ogni tipo di molestia. Ma si è anche avuta la conferma che molti uomini, in particolar modo quelli più anziani, ancora non hanno capito che sono passati i tempi in cui potevano – ancor più se si trovavano in un gruppo di maschi eccitati – molestare impunemente qualsiasi donna incrociata per strada.
Premesso che moltissimi alpini – la stragrande maggioranza – dei 400 mila presenti per l’adunata nazionale nella cittadina adriatica si sono comportati bene (e ci mancherebbe che non fosse stato così) e non si sognerebbero di infastidire una donna, occorre affermare con forza che ci sono stati moltissimi episodi di molestie ai danni di donne giovani e meno giovani.
Se aggiungiamo che in queste situazioni, e cioè stando in gruppi, o come si dice nel branco, molti maschi quasi si sfidano l’un l’altro ad essere più audaci o più molesti, e ancor più in molti si sentono autorizzati anche a toccare le donne, non è difficile capire che stiamo parlando di episodi molti pesanti, spiacevoli, ai limiti dello stupro.
E non dovrebbe sorprenderci che una donna che – ancor più di notte – si trovi sola e circondata da maschi ubriachi e eccitati può sentirsi giustamente impaurita. E questo NON deve succedere mai!

Quel che una volta comunemente veniva chiamato spirito goliardico, o addirittura una sana euforia maschile, oggi va definito come merita e cioè catcalling, un termine usato per molestie verbali, che includono commenti indesiderati, gesti, strombazzi, fischi e avance sessuali in aree pubbliche.
Marta Lovato ha spiegato bene perché gli episodi di catcalling “non possono essere archiviati come una goliardata. Quelle esternazioni fanno sentire una donna, ma anche un transessuale o una persona nera, non sicura”. Insiste ancora Lovato: “Sono percepite come battute, ma sono la base di una piramide che porta, in cima, a stupri e femminicidi. Siamo ancora in una società che accetta comportamenti sessisti e machisti, noi diciamo basta: giustificare il catcalling è quello che permette l’escalation della violenza di genere”.
A Rimini ci sono state anche vere e proprie aggressioni, strattonamenti, palpeggiamenti, donne bloccate o seguite per strada. Queste molestie, sia fisiche che verbali, vengono considerate atti gravi perché possono lasciare una ferita psicologica nella vittima. Infatti, una molestia ricevuta può lasciare una ferita nella psiche della vittima, inducendola quasi a sentirsi colpevole di un gesto oltraggioso ricevuto da altri.
Esperienze simili arrivano a condizionare il comportamento delle donne, spingendole a fare attenzione al tipo di abbigliamento indossato quando escono da sole ma anche a decidere di passare in una strada piuttosto che un’altra in base al fatto che ci siano altre persone e che sia ben illuminata o meno.
È fuori discussione che a Rimini, molti partecipanti all’adunata degli alpini si siano sentiti in diritto di molestare centinaia di ragazze e donne con apprezzamenti riguardo al fisico, inviti a fare sesso, battute tipo “cosa ti farei…”, ecc., e molto spesso se una donna non ha apprezzato “i complimenti”, è stata insultata o chiamata “lesbica”.
È evidente che l’Associazione Nazionale Alpini (ANA) non abbia compreso la gravità delle molestie compiute dai propri associati – e già denunciati dopo la precedente adunata nazionale, a Trento, nel 2018 – dato che dapprima ha negato che a Rimini fosse successo qualcosa, poi ha cercato di addebitare le molestie ad improbabili “infiltrati”, e infine ha ammesso che potessero esserci stati “episodi di maleducazione”.
Inizialmente, infatti, l’ANA ha tentato di ridimensionare gli episodi di violenza avvenuti durante l’adunata nazionale, facendo presente che le varie segnalazioni di molestie sono state fatte sui social e che non era stata presentata alcuna denuncia formale alle forze dell’ordine. Il presidente dell’ANA, Sebastiano Favero, ha poi dichiarato che gli alpini a ogni adunata portano «allegria e un po’ di goliardia», che loro sono «i primi a intervenire se qualcuno esagera» e che ci sono «purtroppo (…) anche gruppi di infiltrati. Persone, giovani soprattutto, che comprano un cappello finto e si mescolano tra noi per fare baldoria».

FACEBOOK COMUNE DI RIMINI
Evidentemente queste scuse non reggono. Anche se la stragrande maggioranza degli Alpini si è comportato bene – come dovrebbe essere – i casi di molestie riportate sui social media e documentati dai giornalisti presenti a Rimini sono stati tanti e troppi per essere liquidati come alcuni sporadici casi di maleducazione.
Il videogiornalista Saverio Tommasi, inviato a Rimini per conto della testata Fanpage.it ha raccontato di essere rimasto spiacevolmente sorpreso dalla situazione che ha trovato.
“Ero andato alla Festa degli Alpini di Rimini per raccontare – appunto – un clima di festa e ripercorrere la storia di questo corpo dello Stato. E invece mi sono trovato davanti a decine di donne e ragazze, anche minorenni, che mi hanno raccontato di violenze da parte degli alpini, palpeggiamenti continui, catcalling, versi del cane, inseguimenti, urla in faccia, volti girati con forza per strappare un bacio, polsi afferrati fino al dolore fisico, umiliazioni e insulti in giro per tutta la città”.
Nel video di Tommasi pubblicato sul sito di Fanpage, si vedono gli Alpini molestare diverse donne con apprezzamenti, toccatine, strattonamenti, inviti a fare sesso, e ci sono anche le testimonianze di donne e ragazzine minorenni che raccontano come sono state molestate.
Sulla sua pagina Facebook, Tommasi sottolinea che “non si trattava di una minoranza di imbecilli. I molestatori, erano invece la stragrande maggioranza dei presenti nella piazza e nelle vie. Quello ripreso era proprio il modus operandi della sera. Una roba vomitevole”. Secondo Tommasi, subito dopo tutte le ragazze e le donne molestate, dovrebbero essere soprattutto gli Alpini per bene ad arrabbiarsi nel veder infangato il proprio nome. “E allora perché non sono capaci di proferire mezza condanna di questi atteggiamenti? Dal generale Figliuolo all’ultimo alpino presente – nessuno ha preso una posizione pubblica. Ragazzi questo significa solo una cosa: abbiamo un big problema. Perché certi silenzi si chiamano con un nome: corresponsabilità sociale e politica”.
Tommasi ha aggiunto che “Fa male ascoltare ogni testimonianza e ogni molestia. Ma il dolore di sentire ragazzine minorenni palpeggiate da vecchi e da giovani al loro passaggio, è la cosa più devastante. Quanto bisogna essere stronzi per fare una cosa del genere? I volti girati con forza per strappare un bacio senza consenso a una minorenne. Schifosi senz’appello proprio”.
Infine, Tommasi ha scritto che dopo la pubblicazione del suo video e giorni di silenzio, l’ANA ha fatto finalmente uscire un comunicato stampa in cui condanna quelli che chiama “episodi di maleducazione”. “Ebbene” dice Tommasi, “scrivere in un comunicato ufficiale che infilare le mani sotto le gonne di una ragazzina minorenne (ma potrebbe avere pure ottant’anni), è semplice maleducazione, è da complici e corresponsabili, e fa schifo quasi come un palpeggiamento, perché lo derubrica e gli conferisce un’area di sostanziale impunità. Cara Associazione nazionale alpini, mettetevelo in testa: palpare il culo, strattonare, torcere il collo per baciare qualcuna o qualcuno contro la sua volontà, si chiama VIOLENZA SESSUALE”.
Giovedì 12 aprile, l’ANA ha finalmente preso atto della gravità di quanto successo a Rimini. In un’intervista al Corriere della Sera, il presidente, Sebastiano Favero, ha dichiarato: “Adesso ci sono fatti concreti. E mi consenta innanzitutto di chiedere scusa a chi ha subito le molestie. Faremo di tutto, insieme alle forze dell’ordine, per individuare i responsabili. E se sono appartenenti alla nostra associazione, prenderemo provvedimenti molto forti”.
Intervenendo sui fatti accaduti durante l’adunata degli Alpini a Rimini, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha dichiarato: “È sbagliato fare generalizzazioni, ma allo stesso tempo non ci deve essere nessuna tolleranza: le molestie e le violenze non devono mai e in nessun caso trovare giustificazione e vanno condannate senza esitazione”.
Tanto più che non si è trattato affatto di alcune “mele marce”, di pochi maschi che avevano forse bevuto troppo e che, venuti meno i freni inibitori, si sono lasciati andare a volgarità e gesti inopportuni. Se si fosse trattato davvero di alcuni casi isolati, all’adunata non ci sarebbero stati cartelli con sopra scritto: “Viva la gnocca”; oppure: “Arrivano gli Alpini, figa a nastro”. Né, tantomeno, qualcuno si sarebbe sentito autorizzato a scandire dal palco motti come: “Stiamo sempre sulle cime, ma quando scendiamo a valle attente ragazzine”.
Questi cartelli e questi motti, oltre alle centinaia di testimonianze raccolte dall’associazione “Non una di meno”, sottolineano che ci si deve confrontare con un comportamento e una mentalità molto più diffusa, uno dei peggiori retaggi del vecchio patriarcato.

Scrivendo su Left.it, Giulio Cavalli ha sottolineato che anche la stampa italiana dovrebbe riconoscere le proprie responsabilità per evitare il ripetersi di episodi come quelli successi a Rimini.
“Ogni anno si comincia con qualche donna che testimonia episodi avvenuti nei bar, per strada, e poi il fiume si ingrossa con altre voci che raccontano tutte la stessa storia: quando un branco di uomini con un tasso alcolico elevato che si sentono protetti dall’essere un gruppo (in questo caso perfino parte di un corpo in piena celebrazione) non si riesce a trattenere gli istinti primordiali che vengono riversati sulla malcapitata di turno.
Dalle palpate, alle leccate sul collo, all’offerta del proprio membro come opportunità, anche quest’anno l’Italia scopre che il branco fa danni. Non pe’ questione di Alpini, elettricisti o commercialisti: la fallocrazia come governo dei sogni appartiene a tutte le classi professionali e sociali. Semplicemente nel caso dell’annuale raduno degli Alpini questa dinamica finisce sotto gli occhi di tutti perché le città che ospitano l’evento sono inevitabilmente sotto gli occhi della stampa”.
Secondo Cavalli, la stampa ha precise responsabilità perché ogni anno i fatti si ripetono e le notizie anche: “Le prime che raccontano di molestie e abusi vengono trattate con sufficienza e fastidio, quando le testimonianze si moltiplicano si interviene dicendo subito ‘non sono tutti così’ e infine quando la notizia non si può più ignorare i giornali si ritrovano loro malgrado costretti a dare la notizia”.
Cavalli evidenzia la malafede dei giornalisti. “Si sottolinea il fatto che non ci siano denunce (eppure basterebbe leggere le testimonianze per rendersi conto che i titolari invitano le “ragazze” a non mostrarsi ostili, ovvero fingere di essere “a disposizione”). Si immagina un complotto mondiale contro gli Alpini (come se le donne che devono difendersi dagli uomini non abbiano problemi ben più larghi di una singola categoria) e infine arriva il cretino che esprime solidarietà al contrario”.
Il “Forum Donne di Articolo Uno” ha espresso il proprio sconcerto per i tanti e gravi episodi di molestie che si sono verificati durante l’adunata dell’Associazione Nazionale degli Alpini a Rimini. “Anche se non tutte le centinaia di testimonianze di molestie ricevute diventassero denunce formali – conosciamo bene purtroppo la difficoltà delle donne di denunciare le violenze subite – questa vicenda è il segno di una violenta e squallida cultura maschilista, di chi considera il corpo delle donne come uno spazio dove potersi comportare a proprio piacimento. Le frasi volgari, gli ammiccamenti, le molestie fisiche e verbali sono inaccettabili espressioni di una logica di sottomissione che lede l’integrità e la dignità, che costringe la libertà delle donne, anche semplicemente di passeggiare per strada o di svolgere il proprio lavoro”.
Il vero problema – considerando che la maggior parte delle testimonianze delle donne e delle ragazze ha descritto i molestatori come uomini di 60-70 anni – è la vecchia e intollerabile cultura dello stupro che sopravvive in Italia. Quell’idea secondo cui, con una strizzatina d’occhio, tanti uomini sostengono che una donna, in fondo, ci starebbe sempre e quando dice “no” starebbe solo facendo la preziosa. Qui non si tratta di una cultura da cambiare ma soltanto di vecchi stereotipi da sradicare una volta per sempre.
Evidentemente, in Italia, c’è molta strada da fare per educare i giovani maschi – e meglio, i maschi, in generale – ad avere rispetto delle donne.
In primis, questo vuol dire che occorre capire che una donna ha gli stessi diritti di un uomo, non è inferiore né tanto meno un oggetto di sua proprietà, ed ha il diritto di vestirsi o svestirsi come le pare senza per questo essere fatto oggetto di molestie o avance anche pesanti. Gli uomini devono imparare che le donne che camminano per strada hanno il diritto di non essere importunate, che nessuna donna gradisce i fischi di chi la tratta come se fosse un animale, e che si debbono tenere per sé complimenti non richiesti. Infine, gli uomini devono capire che ogni donna ha il diritto di decidere con chi e quando avere un rapporto sessuale e, soprattutto, che le donne hanno il diritto di dire “no” che vuol dire “no”.
Ricordiamoci che nella maggioranza dei casi, quando avviene uno stupro, si trova quasi sempre il modo di ribaltare la situazione e far diventare colpevole la donna. Lo stesso vale nel caso dei femminicidi dove molto spesso s‘insinua che la donna abbia provocato il suo assassino, soprattutto se voleva lasciarlo e lui che “le voleva bene da morire” ha ben pensato “se non con me con nessun altro” e nella mente di tanta gente comune è stato “costretto” ad ucciderla.
E non c’è bisogno di aspettare che una donna venga stuprata per indignarsi, denunciare o pretendere che non accada più. La violenza era iniziata prima, quando qualcuno per strada l’ha chiamata “bella figa” e si è permesso di palpeggiarla sapendo di godere dell’impunità ma ancor più della accondiscendenza di tutti gli altri maschi.
Pertanto è ora di finirla per sempre con l’assurda fantasia maschile secondo cui, in fondo, ogni donna si sente lusingata da un apprezzamento (non richiesto) o anche da una mano che le palpa il seno o il sedere. Adesso, nessuno può più fingere che sia così e i ragazzi più giovani lo stanno già imparando.