Tenere fuori l’Ucraina dalla NATO, consentire alla Russia di annetterne una parte, e lasciare che siano i Paesi europei a difendere Kyiv mentre Washington si dedica alla minaccia cinese.
Non poteva essere più chiaro – e più cinico – il segretario alla Difesa Pete Hegseth nel suo intervento al Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina, una coalizione di 54 Paesi istituita da Biden nell’aprile 2022 per coordinare l’invio di aiuti militari a Kyiv.
Secondo il capo del Pentagono la guerra “deve finire” al più presto perché “le attuali realtà strategiche impediscono agli Stati Uniti di continuare a fare della sicurezza europea una priorità“. Ragion per cui il compito di garantire la sicurezza di Kyiv nel dopo-guerra spetterà esclusivamente alle truppe dei Paesi del Vecchio Continente.
“Gli Stati Uniti non ritengono realistico un ingresso dell’Ucraina nella NATO nell’ambito di un accordo negoziato“, ha spiegato il ministro della Difesa da Bruxelles. “Vanno date robuste garanzie di sicurezza per far sì che non inizi ancora una guerra, ma devono essere assicurate da truppe europee e non europee e se ci sarà una missione di peacekeeping non deve essere una missione NATO e non ci deve essere la copertura dell’articolo 5“.
In pratica, nessun soldato americano dovrà mettere piede in Ucraina. Parole che stridono con il monito lanciato proprio qualche giorno fa dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo cui l’Europa da sola non avrebbe potuto garantire la sicurezza del suo Paese senza una forte leadership statunitense.
Non solo: Hegseth ha smorzato le speranze ucraine su una riconquista totale della Crimea (annessa da Mosca nel 2014) e del Donbass, definendo l’ipotesi “irrealistica”. “Inseguire questo obiettivo illusorio non farà altro che prolungare la guerra e causare ulteriori sofferenze”, ha affermato il capo del Pentagono.
Hegseth ha poi rilanciato la richiesta del presidente Trump agli alleati di aumentare la spesa per la difesa al 5% del PIL, ritenendo insufficiente l’attuale soglia del 2% (che peraltro diversi Stati, tra cui l’Italia, ancora non soddisfano). “Gli Stati Uniti restano impegnati nella NATO e nella partnership con l’Europa. Punto e basta. Ma non tollereremo più un rapporto squilibrato che incentiva la dipendenza”.
Parole dure che però non hanno colto di sorpresa gli alleati, che hanno avuto tempo di prepararsi alla svolta che Washington stava covando fin dalla rielezione di Trump lo scorso novembre. Proprio per questo l’Alleanza Atlantica ha già predisposto un meccanismo autonomo per il coordinamento dell’assistenza militare a Kyiv.
Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha sottolineato come “sia giusto riequilibrare il peso dell’assistenza militare” e che “per cambiare il corso del conflitto” tutti i Paesi “devono fare di più”.
A stretto giro è arrivata anche la replica di Zelensky: “Se l’Ucraina non farà parte nella NATO, abbiamo bisogno di un esercito grande quanto quello che hanno oggi i russi. E per tutto questo, abbiamo bisogno di armi e soldi. E chiederemo questo agli Stati Uniti”.

Nelle stesse ore in cui Hegseth educava gli alleati sulle nuove priorità di politica estera dell’esecutivo GOP, Trump e Putin concordavano di “iniziare i colloqui sull’Ucraina il prima possibile” nel loro primo colloquio telefonico ufficiale. L’ultimo contatto tra i presidenti di Stati Uniti e Russia delle due potenze risaliva alla burrascosa telefonata Biden-Putin del 12 febbraio 2022, meno di due settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina.
I due leader hanno discusso non solo di Ucraina, ma anche di “Medio Oriente, energia, intelligenza artificiale, del potere del dollaro e molti altri argomenti“, ha scritto Trump su Truth Social. “Abbiamo concordato di lavorare insieme molto da vicino, anche con visite nei rispettivi Paesi. Le nostre squadre inizieranno subito i negoziati e il primo passo sarà chiamare il presidente Zelensky per informarlo della conversazione, cosa che farò immediatamente“, ha concluso il presidente.
A Kyiv è sbarcato in mattinata il segretario al Tesoro di Trump, Scott Bessent. La sua visita nella capitale ucraina serve a porre le basi di un accordo strategico sulla fornitura di terre rare e altri minerali critici ucraini in cambio del sostegno di Washington. Anche qui il messaggio è tanto freddo quanto cristallino e distante dall’idealismo della precedente amministrazione: nessun aiuto senza un ritorno concreto.
Buona parte delle terre rare del Paese est-europeo è concentrato nell’oblast’ sud-orientale di Zaporizhzhia – una delle quattro regioni ucraine che Mosca da un paio d’anni considera territorio russo (assieme a Donetsk, Lugansk e Cherson) pur non controllandola interamente. Ma cospicue riserve si trovano anche a Kirovohrad, anch’essa situata nella parte meridionale del Paese assediato.
L’Ucraina è ricca di lantanio e cerio, utilizzati nei televisori e nell’illuminazione, di neodimio, utilizzato nelle turbine eoliche e nelle batterie per veicoli elettrici, ma anche di erbio e ittrio, le cui applicazioni spaziano dall’energia nucleare ai laser. Nel Paese si trovano anche grossi giacimenti di minerali come il bastnäsite e il monazite, fondamentali per l’estrazione delle terre rare e quindi per la produzione di dispositivi elettronici e batterie per veicoli elettrici.

Sul fronte diplomatico, la settimana in corso si annuncia cruciale per l’Ucraina. Dopo la prima riunione del gruppo di Contatto per la Difesa sotto la presidenza Trump, nei prossimi giorni Zelensky incontrerà il vicepresidente JD Vance alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza (14-16 febbraio), evento al quale è prevista la presenza anche di Keith Kellogg, inviato speciale di Trump per la guerra in Ucraina.
Come dimostra la telefonata Trump-Putin, la Casa Bianca rimane in stretto contatto anche con il Cremlino. A dimostrarlo martedì anche la missione a Mosca di Steve Witkoff, “zar” di Trump per il Medio Oriente e primo alto funzionario di Washington a recarsi in Russia dall’inizio della Guerra. A bordo del suo jet privato è ripartito poco dopo verso gli USA anche il prigioniero statunitense Marc Fogel, liberato qualche ora prima grazie a quello che il Consigliere per la Sicurezza Nazionale USA Michael Waltz ha definito un gesto di “buona volontà” del Cremlino.
A fare un po’ più di chiarezza ci ha pensato il New York Times, che ha identificato la contropartita dello scambio nel cittadino russo Aleksandr Vinnik, co-fondatore della piattaforma russa di scambio di criptovalute BTC-e. Lo scorso maggio il 45enne si era dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro per circa 4 miliardi di dollari davanti a un giudice federale della California, rischiando fino a 20 anni di carcere.
Secondo il New York Times, Trump avrebbe incaricato lo stesso Witkoff di sondare il terreno con l’entourage di Putin per esplorare soluzioni diplomatiche al conflitto. Fox News (che assieme al New York Post, altra creatura di Murdoch, è di fatto il megafono mediatico della Casa Bianca) ha inoltre riferito di un colloquio di tre ore tra Witkoff e Putin.
Il Cremlino ha intanto seccamente rifiutato l’ultima proposta di Zelensky, che al Guardian si è drtto pronto a restituire a Mosca la regione di Kursk, occupata dalle truppe ucraine, in cambio di alcuni territori ucraini sotto controllo russo.
Il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, ha ribadito che la guerra terminerà solo quando verranno soddisfatte le condizioni di Mosca, vale a dire la rinuncia di Kyiv alla NATO e il ritiro totale degli ucraini dalle regioni orientali di Donetsk, Lugansk (che compongono il Donbass) e da quelle meridionali di Zaporizhzhia e Cherson.
Diktat che tuttavia tanto Zelensky quanto il resto dell’Alleanza Atlantica continuano a ritenere una resa incondizionata. “Vogliamo la fine della guerra, ma non alle condizioni di una capitolazione”, ha dichiarato un alto funzionario NATO. “L’Ucraina deve restare un Paese indipendente“.