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Esercito israeliano pronto ad invadere Gaza: cosa può succedere

Il ministro della Difesa Gallant spiega la strategia in tre fasi. L'incognita sul futuro palestinese

Eric SalernobyEric Salerno

Israeli soldiers stand in formation while being addressed by the defence minister near the Gaza border, 19 October 2023 ANSA/EPA/ABIR SULTAN

Time: 3 mins read

Oggi, o domani, o ancora dopo le forze armate di Israele cominceranno l’assalto di terra alla striscia di Gaza. Gli obbiettivi, per il ministro della difesa Gallant sembrano chiari. Come anche le motivazioni più impellenti per il governo che è stato colto di sorpresa dalla guerra scatenata da Hamas: l’opinione pubblica chiede vendetta e vendetta e uno degli obbiettivi maggiori della campagna militare. Una volta soddisfatti, il popolo israeliano giudicherà i dirigenti politici e militari di Gerusalemme e Tel Aviv.

“Ci saranno tre fasi” – ha spiegato il ministro della difesa Gallant.“Ora siamo nella prima fase – una campagna militare che attualmente include attacchi, e in seguito includerà manovre, con l’obiettivo di neutralizzare i terroristi e distruggere le infrastrutture di Hamas”. Vediamo le altre fasi di questo piano che sembra sfiorare l’impossible. “La seconda fase, intermedia, richiederà operazioni di minore intensità, con l’obiettivo di eliminare le “sacche di resistenza” (restanti punti caldi del terrorismo)”. E dopo: “Nella terza fase, dovrà finire per sempre ogni responsabilità di Israele nella gestione della Striscia di Gaza e la creazione di una nuova realtà di sicurezza per i cittadini di Israele”.

Come, non l’ha spiegato. I capi militari di Tel Aviv sono chiamati a seguire le direttive del governo israeliano che, però, non ha potuto spiegare come e in quanto tempo si dovranno realizzare – fase uno e due – tutti gli obiettivi della campagna militare che rischia di trasformarsi in un genocidio per palestinesi di Gaza o una guerra regionale di enormi proporzioni. O un conflitto mondiale in cui tutti i contrasti tra superpotenze e media potenze vengono al pettine.

US President Joe Biden pauses during a meeting with Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu in Tel Aviv, Israel, 18 October 2023 ANSA/EPA/MIRIAM ALSTER / POOL

Le tre fasi, comunque, appaiono sulla carta chiare. La quarta fase è un futuro incerto. Ammesso che la grande potenza militare israeliana con l’aiuto militare Usa, già promesso in modo incauto dal presidente americano Biden, riesca a distruggere le strutture militari e politiche di Hamas, come e da chi sarà realizzata la “terza fase” del piano di Gallant, presumibilmente sottoscritto dal governo più a destra della storia d’Israele?

Cominciamo con il ghetto di Gaza. Al momento, almeno, nessun Paese vicino si è offerto di accogliere i due milioni di palestinesi rinchiusi nella striscia. Ed è difficile pensare che Egitto o Giordania cambieranno idea e si accolleranno ciò che resta dei palestinesi di Gaza una volta che Israele annuncerà al mondo di aver raggiunto i primi due obbiettivi. E’ difficile immaginare che la striscia di Gaza possa diventare un territorio ancora più isolato di oggi: Egitto a sud, il mediterraneo pattugliato costantemente da Israele e Israele stessa con il suo territorio limitrofo. Difficilmente i già screditati e corrotti dirigenti dell’Anp, l’autorità nazionale palestinese, possono offrire una soluzione dai loro uffici di Ramallah nella Cisgiordania occupata da Israele. Sperare nell’Onu è illogico. Nella Lega araba, anche.

Non sappiamo che si sono detti Biden e Netanyahu a proposito del futuro ma l’unica soluzione vera appare la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele. L’idea piacerebbe, probabilmente, al presidente americano. Non certo a Netanyahu e ai suoi colleghi di partito che già in queste ore stanno rafforzando e allargando gli insediamenti in Cisgiordania con lo scopo quasi dichiarato, appunto, di rendere impossibile la creazione di uno stato palestinese accanto a Israele.

Gaza, dunque, e ciò che resta della sua decimata popolazione? Un muro o reticolato più alto, forse. Sistemi per impedire la costruzione di nuovi tunnel. Una costa mediterranea minata per bloccare ingressi e uscite. La collaborazione ancora più fattiva della dirigenza egiziana per la gestione di quella che è oggi e che diventerebbe ancora di più domani l’unico vero passaggio libero di uomini, donne, bambini. Il tutto accompagnato da una dirigenza palestinese, tutto da inventare e capace, al massimo, di gestire amministrativamente il ghetto su cui – unica vittoria, forse – i palestinesi sopravvissuti avranno il diritto di far sventolare la loro bandiera. E, come mi disse anni fa uno di loro: “Gli ebrei hanno atteso duemila anni per “tornare” a quello che consideravano la loro terra. Noi palestinesi abbiamo pazienza. Aspetteremo”.

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Eric Salerno

Eric Salerno

Giornalista ed esperto di questioni africane e mediorientali, è stato corrispondente de 'Il Messaggero' da Gerusalemme per quasi trent'anni.

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