“La morte è un problema dei vivi” è il titolo della dark comedy di Teemu Nikki, pluripremiato regista finlandese, in concorso alla Festa del Cinema di Roma. “Ed io li aiuto a risolvere questo problema”, pronuncia uno dei protagonisti del film, un improbabile becchino che, perso nel gioco d’azzardo, perde tutto ciò che ha di più caro. Il vero problema dei vivi, nella finzione come nella realtà, è tenere in piedi la propria vita e darle un senso.
Co-produzione finnica e italiana, “La morte è un problema dei vivi”, ha un fondo marcatamente dark, in un’atmosfera nordica di poche parole, con un sottofondo di costante inquietudine, sul quale il regista riesce con maestria ad alternare tonalità ilari e sarcastiche a momenti bui, drammatici e commoventi.
“Per la regia, mi sono ispirato ai fratelli Cohen e John Carpenter, registi che come pochi altri cercano di attingere da diverse fonti e sperimentare diversi generi”, ha commentato Nikki.
Si sorride amaramente davanti a vite che scivolano su un piano inclinato, alcune delle quali sfioriscono, mentre per altre, come per il protagonista, esiste una redenzione, e questa avviene soltanto grazie all’amicizia e all’amore. Già dalle prime immagini ci troviamo davanti a un anti-eroe, Risto, (Pekka Strang) becchino per caso. Lo si identifica subito come un poco di buono, visto che come prima cosa ruba un gioiello ad un cadavere. Un uomo con cui non si può empatizzare, un cinico, “un uomo con molto cervello, ma senza cuore” lo descrive il regista.
Divorato dai debiti, a causa della sua sfrenata passione per gioco, inganna tutti, a partire dalla estenuata moglie Armi (Hannamaija Nikander) che annaspa verso una seconda vita, inganna il figlio e la tenera suocera, alcolista, a cui spilla quattrini, ma non può ingannare se stesso. Vittima e carnefice di sé e della propria vita, Risto accumula debiti su debiti, guai su guai, fino a trovarsi obbligato a un lavoro sporco: rimuovere cadaveri di delitti, fino a far sparire disperati che partecipano a una roulette russa che va in onda sul canale Tor del Dark Web.
“Ho voluto indagare il tema delle dipendenze, che mi sta particolarmente a cuore perché tutti ne siamo vittime in un modo o nell’altro”, ha detto ancora il regista. “Io, ad esempio, lo sono dal lavoro che per me si è trasformato negli anni in una vera e propria compulsione. La storia del film è piuttosto dura ma lascia spazio anche alla speranza che dalle dipendenze esista sempre una via di uscita”.
Parallelamente impariamo a conoscere Arto (Jari Virman), educatore in una scuola d’infanzia, “uomo dal grande cuore, ma senza cervello”. Arto è realmente un uomo a cui viene scoperta l’assenza quasi totale del cervello, cosa che tuttavia non gli ha impedito di avere una vita assolutamente normale. La scoperta, avvenuta in seguito ad un malore, gli cambia radicalmente la vita e lui diventa all’improvviso quello che non è: un diverso, un malformato, un pericolo, una cavia, un estraneo anche per sua moglie. La personificazione dello stigma ingiustificato, ma la sua vita è perduta.
Risto e Arto sono dunque due opposti, ma si scoprono vicini di casa e si incontrano davvero in questa reciproca discesa agli inferi, e Arto viene coinvolto nei lavoretti di Risto che immancabilmente provocano soltanto nuove scommesse d’azzardo senza speranza.
Le scene, teatrali, nei sotterranei della roulette russa, e le successive di occultamento dei cadaveri, sono le più intense e tristi del film, in cui le scelte musicali di Marco Biscarini, che ha progettato il suono con Alessio Vanni, aggiungono chiavi di lettura che arrotondano i personaggi. Risto ama il jazz e suona la batteria, Arto ama il pop finlandese anni ’80, per la giovane madre che si avvia al patibolo c’è una canzone francese.
Le due vite disperate dei, a questo punto due, protagonisti iniziano, con la condivisione e l’amicizia, ad allacciarsi e, insieme alle tragedie che vivono (“la morte è un problema dei vivi”) a far virare Risto verso la redenzione, per cui sarà decisiva anche la scelta di totale dono che farà nei suoi confronti Arto.
Un film dunque sulla drammaticità della vita, più che della morte, sulla possibilità di perdono e di redenzione, attraverso l’amicizia e l’amore. Per Teemu Nikki, qui regista, sceneggiatore e montatore, un’altra riuscita prova, con un piccolo cast di interpreti molto capaci, dopo il suo ultimo lungometraggio, The Man Who Did Not Want to See Titanic, che ha vinto il premio del pubblico alla 78a Mostra del Cinema di Venezia.