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Addio a Daniel Ellsberg, “talpa” dei Pentagon Papers e difensore di Assange

Le rivelazioni dell'ex analista accelerarono il ritiro Usa dal Vietnam e provocarono la sentenza della Corte Suprema sulla libertà di stampa

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Usa: la talpa dei Pentagon Papers è malata terminale di cancro

Pentagon Papers' whistleblower and peace activist Daniel Ellsberg from the US receives the the 7th International Peace Prize 'Dresden Prize' at the Semper Opera in Dresden, Germany, 21 February 2016. EPA/ARNO BURGI

Time: 4 mins read

È morto a 92 anni Daniel Ellsberg, la “talpa” dei Pentagon Papers, bestia nera di Nixon e Kissinger (quest’ultimo lo definì “l’uomo più pericoloso d’America”), che alla fine di febbraio aveva annunciato di avere i giorni contati a causa di un tumore al pancreas.

Ellsberg, nato a Chicago nel 1931, laureato ad Harvard e diventato analista della Rand Corporation e poi del Pentagono, rivelò nel 1971 dei documenti segreti che riguardavano uno studio sulle origini del conflitto in Vietnam. Commissionato dall’allora segretario alla difesa Robert McNamara, anche Ellsberg ci aveva lavorato. Lo studio sarebbe dovuto rimanere “top secret”, ma invece le sue “verità” finirono pubblicate a puntate sulle pagine del New York Times e – dopo che il Dipartimento alla Giustizia per volere di Nixon riuscì a farne sospendere le pubblicazioni – su quelle del Washington Post (anche Steven Spielberg qualche anno fa ci fece un film).

Queste rivelazioni, che dimostravano come ben quattro amministrazioni del governo degli Stati Uniti, da Eisenhower fino a Nixon, avessero mentito su ragioni e obiettivi di una guerra tanto inutile quanto invincibile, scossero enormemente l’opinione pubblica americana, che allora considerava la stampa mainstream ancora affidabile e si indignava dopo averne letti gli scoop. Non solo lo scandalo dei Pentagon Papers accelerò il ritiro degli americani dal Vietnam, ma dette una spinta ad un’altra inchiesta, quella del Watergate, che costrinse poi alle dimissioni Richard Nixon nonostante avesse iniziato il suo secondo mandato dopo una rielezione ottenuta con una valanga di voti.

La vicenda di Ellsberg si legò per sempre a quella del Watergate anche perché l’analista riuscì ad evitare il carcere grazie al fatto di essersi ritrovato tra gli obiettivi della stessa squadra speciale di “idraulici” (come veniva chiamato il gruppo di ex agenti dell’Fbi, della Cia e di cubani anticastristi che per conto di Nixon facevano i “lavori sporchi”). Infatti, a causa delle rivelazioni dei Pentagon Papers, Ellsberg – che appunto non era un giornalista, ma un analista di affari militari che aveva lavorato per il governo e quindi costretto al riserbo – venne incriminato per spionaggio e per aver complottato ai danni degli Stati Uniti.

Ma poco prima che la giuria pronunciasse il verdetto certo di condanna, il giudice proclamò il “mistrial”, rigettando il caso perché l’amministrazione Nixon aveva spiato illegalmente Ellsberg, entrando con i “plumbers” di Gordon Liddy e Howard Hunt nello studio del suo ex psichiatra per carpirne i segreti che potessero screditarlo. Gli uomini che compirono quell’azione contro Ellsberg, erano gli stessi che pochi mesi dopo piazzarono le microspie nel quartier generale del partito democratico al Watergate.

La vicenda di Ellsberg è così equivalente, a distanza di 50 anni, a quella di Edward Snowden, l’ex analista della NSA (National Security Agency) che rivelò informazioni segrete su come la NSA spiasse anche le comunicazioni dei cittadini americani e che alla fine è fuggito in Russia dato che negli USA sarebbe finito all’ergastolo. Ellsberg, che invece non fuggì ma dopo una breve latitanza si consegnò alle autorità, deve i suoi 50 anni di libertà solo a quei “crimini” a sua volta commessi da “Tricky Dicky” Nixon, che gli fecero scampare la galera.

Daniel Ellsberg. April 7, 1931 Chicago – June 16, 2023 Kensington, California (Wikipedia)

Il caso dei Pentagon Papers lasciò un’impronta indelebile sulla storia americana anche per la famosa sentenza della Corte Suprema, quando l’amministrazione Nixon cercò di bloccare ulteriori pubblicazioni dei documenti accusando i giornali di compromettere la sicurezza nazionale. La Corte Suprema degli Stati Uniti si pronunciò 6-3 a favore del NYT e del WP il 30 giugno 1971: avvalendosi nella sentenza dell’interpretazione del Primo Emendamento, la Corte respingeva la restrizione preventiva del governo. In quella storica sentenza, la maggioranza dei giudici decretò che nel caso un giornalista e il suo giornale fossero entrati in possesso di un documento segreto del governo, non sarebbe spettato a quest’ultimo la decisione se dare l’autorizzazione o meno a pubblicare, ma solo al “Publisher”. Questo perché, veniva spiegato dai giudici, in democrazia il diritto dei cittadini a sapere è reputato prioritario rispetto a quello del governo di mantenere dei segreti che lo imbarazzano.

Per questo non poteva sorprendere vedere Ellsberg, fin dal 2010, diventare uno dei più accesi sostenitori di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, il sito specializzato nel diffondere documenti segreti che imbarazzano il comportamento dei governi nel mondo. Per Ellsberg, infatti, Assange non potrebbe essere incriminato dal governo degli USA perché il Primo Emendamento gli farebbe da scudo grazie a quella storica sentenza della Corte Suprema sui Pentagon Papers che riconosce al “Publisher” la sola autorità di decidere se pubblicare un documento ricevuto da una “fonte” del governo.

Al governo degli Stati Uniti, per poter legalmente processare e condannare Assange, diventerà essenziale dimostrare che il fondatore di Wikileaks non abbia semplicemente diffuso dei documenti segreti americani ricevuti dall’analista militare Chelsea Manning (poi graziato da Barack Obama), ma che fu lo stesso capo di Wikileaks il “mandante” dell’operazione di consegna dei documenti. Altrimenti Assange non potrebbe essere processato.

Ellsberg, anche in queste ultime settimane della sua lunghissima vita, concedendo interviste e intervenendo in conferenze on line ha continuato a difendere Assange (così come anche Snowden), considerandoli degli eroi per aver svelato segreti sulla condotta “fuori legge” di quei governi USA che invece, nel nome della sicurezza nazionale, continuerebbero a cercare di nascondere la verità.

La morte di Ellsberg arriva proprio nei giorni in cui si attende da una corte britannica la decisione finale sull’ordine di estradare Julian Assange negli USA dal Regno Unito, dove il fondatore di Wikileaks si trova in un carcere londinese.

L’emozione per la scomparsa di Ellsberg, celebrato oggi dai media americani come un eroe nazionale per quel suo voler sacrificare la vita in nome della verità contro le menzogne diffuse dal governo sulla guerra – quando prese la decisione di rivelare i Pentagon Papers, sapeva che avrebbe rischiato di trascorrere il resto della sua vita in prigione –  potrebbe dare ulteriore forza a chi nell’Occidente democratico spinge da anni per la liberazione del fondatore di Wikileaks o, in alternativa, gli si faccia almeno scontare il resto della condanna in Australia, suo paese di nascita.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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