Di certo c’è che è in prigione. Dopo trent’anni di latitanza. Per Matteo Messina Denaro, la primula rossa di Cosa Nostra, le porte del carcere si sono aperte una settimana fa, quando i Carabinieri del Ros (Reparto operativo speciale) e del Gis (Gruppo d’intervento speciale) gli si sono presentati davanti mentre aspettava il suo turno per una seduta di chemioterapia, in una nota clinica privata di Palermo. Resta ancora da scoprire tutto il resto. A partire dai misteri su quella rete di protezione che gli ha consentito di vivere libero per tre decenni, di dedicarsi al business, al lusso, ai viaggi e agli amori. L’attenzione degli investigatori è rivolta verso questo grande enigma (“borghesia mafiosa” “complicità istituzionali” “massoneria”), ma è come guardare dentro ad un abisso.
Nessun dubbio sul fatto che la data del 16 Gennaio 2023 finirà nei libri di storia. La notizia del suo arresto che, secondo alcuni ex magistrati e secondo una parte dell’opinione pubblica, potrebbe anche essere una sorta di resa volontaria, ha fatto il giro del mondo, ha aperto i Tg e le prime pagine dei giornali, è stata tradotta in tutte le lingue del globo. A Palermo, va da sé, sono arrivate flotte di giornalisti, molti stranieri. Tra questi, David Jones, un collega dell’inglese Daily Mail che ho affiancato per due giorni, sulle tracce del boss, tra Palermo e Campobello di Mazara (dove il boss viveva), in una sorta di full immersion nella cronaca mafiosa.
Insieme, tra le altre cose, abbiamo intervistato il Tenente Colonnello del Ros, Antonello Parasiliti Molica, che è anche Comandante del reparto anti crimine dei Carabinieri di Palermo e che quella storica giornata l’ha vissuta in prima persona. Con altri ufficiali, infatti, ha seguito, minuto per minuto, secondo per secondo, tutte le fasi dell’arresto dalla sede del Comando provinciale di Palermo, sia attraverso i monitor con le immagini trasmesse dai droni in volo sulla clinica ‘La Maddalena’, sia attraverso un costante contatto audio con i colleghi sul luogo. Ci ha svelato dettagli interessanti e, soprattutto, ci ha fatto respirare l’aria “carica di elettricità” che hanno respirato loro mentre si preparava lo scacco matto al super boss. Una parte di questa intervista è contenuta nel reportage pubblicato sabato scorso dal Daily Mail, firmato da David Jones con la mia collaborazione. Per i lettori de La Voce di New York, ecco una versione più estesa.

Cominciamo da un particolare poco noto e alquanto curioso, ovvero la richiesta avanzata da Messina Denaro poco prima di salire sull’elicottero che da Palermo lo ha portato al carcere di massima sicurezza de L’Aquila: un foglio di carta ed una penna. Richiesta che ha sorpreso non poco i presenti che, presumibilmente, avranno pensato ai suoi famigerati pizzini, i messaggi scritti sui foglietti con i quali impartiva ordini e comunicava con chi di dovere. Perché ha chiesto carta e penna?
“Ha scritto un biglietto di ringraziamento rivolto ai Carabinieri del Ros e del Gis per il trattamento umano ricevuto durante l’arresto”
Ma perché era sorpreso da questo trattamento che, comunque la si pensi, è professionalmente dovuto?
“Non saprei, io penso che, forse, ha temuto di essere ucciso durante l’arresto o forse, picchiato”.
Invece è stato portato al Comando Provinciale, vicino al Teatro Massimo, gli è stato offerto del cibo (che ha rifiutato) e poi, l’addio a Palermo. Cominciamo dai numeri. Quanti gli agenti coinvolti?
“Più di cento uomini armati di Beretta pronti per ogni evenienza schierati nell’area della clinica”.
Cento uomini per un uomo solo, ma se è del calibro di Messina Denaro, the most wanted men degli ultimi decenni, si può anche comprendere.
“Considerate che non avevamo idea di cosa sarebbe potuto succedere e, inoltre la clinica è in una struttura molto grande con tanti piani, tante stanze, tante uscite e un’area altrettanto grande all’esterno. Sapevamo di essere vicini all’obiettivo e non volevamo lasciare nulla al caso”.
Precauzioni comprensibili se si ricorda che negli anni passati tante volte gli investigatori si sono sentiti ad un passo dalla cattura, salvo poi scoprire che il boss si era volatilizzato. Ma quando è arrivata la certezza che lui fosse lì, la mattina di lunedì 16 Gennaio, in quella clinica?
“La certezza l’abbiamo avuta quando si è presentato all’accettazione della clinica, verso le 8, per il Covid test, necessario per accedere alla struttura dove poi si sarebbe sottoposto a chemioterapia. A quel punto, il nome di Andrea Bonafede, il suo alias, era nel sistema informatico, lui era lì da qualche parte, in quella clinica. Penso sia stato uno dei momenti più stressanti della giornata, sapevamo che era lì, ma non avevamo ancora la sicurezza di riuscire ad arrestarlo”.
Adesso tutti sappiamo che Messina Denaro ha un cancro al colon. Che le sue condizioni di salute, a detta degli oncologi della clinica, “sono molto serie e che si sono aggravate negli ultimi mesi”. Ma come lo avete scoperto?
“Grazie, soprattutto, alle intercettazioni telefoniche, in particolare della sorella di Messina Denaro. Intercettazioni che vanno avanti da più di dieci anni, anche se non siamo mai riusciti a sentire la sua voce. Nonostante tutti i suoi familiari sapessero di essere intercettati, alla fine questo particolare è venuto fuori, lo abbiamo capito. A quel punto- continua il Colonnello del Ros – ci siamo concentrati sui dati sanitari e, nel corso di lunghissime e complicate indagini, siamo riusciti ad identificare il nome di Andrea Bonafede e a sospettare che dietro quel nome ci fosse il boss. Quindi abbiamo seguito la pista della sua malattia, il cancro, appunto, e scoperto che quel giorno, il giorno dell’arresto, si sarebbe recato in clinica per una seduta di chemioterapia”.

Parasiliti continua il racconto sempre in un inglese perfetto che in un’ora di chiacchierata non si è mai inceppato.
“Verso le 9.00 lo abbiamo visto dirigersi verso il bar, fuori dalla clinica, ed è scattata l’ora X. Temevamo- confida l’ufficiale del Ros- di perderlo di vista. E’ stato un momento di grande concitazione fino a quando, erano circa le 9.15, lo abbiamo fermato. Ha subito ammesso di essere Matteo Messina Denaro e non ha opposto alcuna resistenza, ma nessuno dei boss del suo calibro ha opposto resistenza, è una sorta di codice di comportamento”.
Ma è vero che un po’ prima dell’arresto ha tentato di scappare?
“No, non è vero. Noi abbiamo avuto la sensazione che stesse semplicemente andando al bar per un caffè, ma certo non abbiamo voluto rischiare e lo abbiamo fermato prima, lo abbiamo arrestato e fatto salire su un van diretti verso il Comando Provinciale”.
E quello è il momento che i Carabinieri del Ros ricorderanno per sempre:
“In ufficio abbiamo esultato, ci siamo abbracciati, c’è anche chi è scoppiato in lacrime. Pianti di sollievo, dopo tanto stress, dopo tanta fatica”.
Pianti anche di commozione, ricordando un collega che quel giorno non ha potuto gioire con loro, come ci racconta un collega di Parasiliti di cui non possiamo fare il nome per il ruolo che ricopre: “Questo arresto lo abbiamo dedicato al collega Filippo Salvi, morto in seguito alla caduta in un burrone, nel 2017, a 36 anni, mentre tentava di piazzare una telecamera nell’ambito delle indagini sul boss”.
Commozione ed entusiasmo per la cattura di un uomo che è sempre sembrato inafferrabile. Parasiliti continua il suo racconto.

“C’è stato tanto entusiasmo anche tra le gente. In clinica, quando si è sparsa la notizia, la gente ci ha applauditi e lo stesso è successo durante il tragitto dalla struttura alla caserma. Questo supporto ci ha riempiti di gioia”.
Una volta in caserma, espletate le formalità di rito, gli è stato offerto del cibo “che ha rifiutato”. E, poi, il viaggio in elicottero fino al cercere di massima sicurezza de L’Aquila, preceduto dall’episodio del biglietto di ringraziamento che via abbiamo raccontato sopra.
Parasiliti, per quanto gli sia consentito dal ruolo di Colonnello del Ros, non si è tirato indietro dinnanzi alle domande più spinose. La prima: come è possibile che abbia costruito un impero economico da latitante?
“E’ovvio che ha potuto contare su una rete di collaboratori molto efficiente. Non parliamo solo di affiliati a Cosa Nostra, ma, soprattutto, dei cosiddetti colletti bianchi (“borghesia mafiosa” l’ha chiamata il procuratore di Palermo, Di Lucia ndr) che facevano gli affari per suo conto. E che con lui hanno costruito un impero economico. Molti sono già stati arrestati negli anni passati, ma l’attenzione investigativa è puntata in questa direzione. Si indaga anche sulle presunte protezioni politiche, ovviamente non posso dire altro”.
E la massoneria? Ne ha parlato in questi giorni apertamente sui giornali l’ex pm di Palermo, Teresa Principato che ha dedicato tanti anni alla ricerca del super latitante. E, forse, non è una coincidenza che il medico curante di Messina Denaro, a Campobello di Mazara, paesino in provincia di Trapani dove viveva (praticamente attaccato a Castelvetrano, suo paese natale) sia risultato essere un massone.
“Certo, si guarda anche in quegli ambienti e non potrebbe essere diversamente dato che indagini del 2008 hanno già mostrato stretti ed allarmanti legami tra mafia e massoneria. La massoneria è da sempre considerata la camera di compensazione dove professionisti, politici e mafiosi incrociano i loro interessi. E Trapani è sempre stata casa di molte logge massoniche. Parliamo di massoneria segreta, principalmente”.
Cosa sappiamo, infine, del “personaggio” Messina Denaro?
“Un boss molto diverso da quelli che lo hanno preceduto, pur essendo erede dei corleonesi. Si potrebbe definire un boss moderno, dedito agli affari che vanno dall’eolico, al turismo, dalle costruzioni, ai supermercati e altro. L’unica usanza arcaica mantenuta è stata quella dei pizzini. Messina Denaro avevava un’ossessione per la sicurezza delle sue comunicazioni. Avvolgeva i foglietti con del nastro adesivo di modo che potesse essere subito visibile se erano stati aperti. E l’ordine era di bruciarli immediatamente dopo averli letti. A differenza dei suoi predecessori, – sottolinea ancora il Colonnello- che erano molto legati al territorio, si pensa che Messina Denaro abbia fatto affari anche all’estero e abbia viaggiato molto. Di certo è stato in Venezuela, ma sono state seguite anche altre piste, inclusa Londra se non sbaglio. Diverso anche per lo stile di vita. Messina Denaro non ha nulla a che fare con l’immagine di un boss ignorante e rustico, come poteva essere Totò Riina. Parliamo di un uomo ritenuto colto, probabilmente una persona che legge, ma, soprattutto, amante del lusso sfrenato. Non a caso, quando lo abbiamo arrestato, aveva al polso un orologio Muller da 35mila euro e abbigliamento di marca. Ma la più grande passione è stata quella per le donne, sicuramente è stato un tombeur de femmes, ci risulta abbia avuto molte amanti durante la sua latirtanza e non si è mai sposato. Se a questo quadro aggiungiamo che, in linea con i suoi predecessori, è stato un boss sanguinario, che ha sulle spalle tantissimi omicidi, commessi direttamente o indirettamente, oltre alle condanne per le stragi del ’93 a Roma e Firenze, ne risulta davvero un personaggio molto particolare”.
Il suo arresto è una tappa importante?
“Certo sarebbe da ingenui pensare che con la sua cattura si sia posta la parola fine alla mafia”.
Già, infatti c’è tutto (o quasi) il suo mondo intorno che continua a girare….