“Di sicuro c’è solo che è vivo”. La notizia della cattura di Matteo Messina Denaro, capo mafia latitante da 30 anni, l’accogliamo così, parafrasando come il giornalista Tommaso Besozzi, il 5 luglio del 1950, comunicò da Castelvetrano al suo giornale “L’Europeo” la morte di Salvatore Giuliano, mettendo in dubbio la versione dei carabinieri che il bandito fosse deceduto dopo un conflitto a fuoco.
Invece il capo mafia “pupillo” di Totò Riina, viene catturato il 16 gennaio del 2023 malato ma vivo mentre visita una clinica di Palermo per cercare di fermare un tumore mortale. Sembra che ci andasse spesso facendosi chiamare Andrea Bonafede (nome che avrebbe preso da un parente di un mafioso di Campobello di Mazara, paese a dieci minuti da dove è nato). Già Matteo Messina Denaro, classe 1962, figlio di quel don Ciccio, capo mandamento di Castelvetrano , anche lui per decenni latitante e che fu finalmente “trovato”, ma da morto, nel 1998 stroncato da un infarto nel suo letto.
Riuscire a restare il ricercato “numero uno” per 30 anni, rimanendo in Sicilia e continuando a comandare dalla provincia di Trapani, può essere considerata fortuna o bravura? E per lo Stato? Solo sfortuna? All’inizio di quella lunghissima latitanza, in Italia c’erano state le stragi che uccisero i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con la loro scorta e non si può imputare al caso una simile latitanza. Nella storia d’Italia, dal 1860 in poi, il rapporto tra Stato e Mafia è stato di “guerra e pace”. Esistono sentenze definitive di processi che proverebbero, anche per quanto riguarda la Cosa Nostra trapanese guidata da Messina Denaro, certi rapporti di connivenze e scambio di “favori” con rappresentanti dello Stato per far prevalere “la pace”.

Eppure almeno la notizia va accolta applaudendo i magistrati e i carabinieri che hanno saputo scovare il super boss latitante e, a quanto pare, senza il bisogno di una “soffiata” ma grazie al preciso lavoro di indagine supportato dalle intercettazioni.
“E’ una giornata storica, un giorno di festa per le persone per bene, per le famiglie delle vittime della mafia, perché il sacrificio di tanti eroi non era vano”. Tocca alla premier Giorgia Meloni, davanti al Palazzo di giustizia di Palermo, dopo l’incontro col procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, annunciare trionfante ai cronisti la reazione del suo governo all’arresto di Messina Denaro.”Mi piace immaginare che questo possa essere il giorno nel quale viene celebrato il lavoro degli uomini e delle donne che hanno portato avanti la guerra contro la mafia. Ed è una proposta che farò” continua la premier, che invia anche un messaggio alla parte sana di Palermo e della Sicilia: “Il messaggio è di continuare a credere che lo Stato può dare risposte migliori, che lo Stato c’è, si occuperà di loro, faremo del nostro meglio perché non debbano mai trovarsi nella disperazione di dover fare una cosa che non vogliono mai fare. Ma devono avere anche l’alternativa e noi dobbiamo costruire l’alternativa, dobbiamo fare tutto quello che possiamo, perché quello è lo strumento più efficace nella lotta al cancro della mafia”.

Giorgia Meloni è stata fortunata? Chissà, magari c’entra anche, come lei stessa affermò pubblicamente durante una lite con Silvio Berlusconi, che “Io non sono ricattabile”. Vedremo. Anche perché, come abbiamo detto all’inizio, il fatto che Matteo è “vivo”, fa già sentire il “tic toc” di una “bomba” piena di segreti che se esplodesse potrebbe travolgere la storia d’Italia.
Matteo Messina Denaro è ritenuto responsabile di decine di omicidi, e oltre alle stragi di Falcone e Brosellino, è accusato di essere tra gli ideatori del sequestro del bambino Giuseppe Di Matteo, rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo due anni di torture.

Fedelissimo di Totò Riina, Matteo ‘U siccu” dopo l’arresto della “bestia” corleonese si era messo sotto gli ordini di Bernardo Provenzano. Poi dopo l’arresto di “Binnu ‘u tratturi”, ecco che Matteo “Diabolik” diventa capo di se stesso.
Ma ora che succederà? Al volo contattiamo il collega Giacomo di Girolamo, giornalista marsalese, direttore di TP24, e della la radio più ascoltata della provincia di Trapani eche conduce da anni una trasmissione che inizia dicendo “Matteo, dove sei, Matteo?”. Di Girolamo. che ha scritto libri importanti sulla figura del capo mafia di Castelvetrano, può essere considerato il maggiore esperto sul mafioso primula rossa.
Giacomo, bravi i carabinieri, bravi tutti: ma perché lo hanno preso ora e non prima? “Prima, evidentemente non ci sono riusciti. Questa volta hanno seguito la pista di un intervento per un tumore al colon di un tale chiamato Andrea Bonafede che però, il giorno dell’operazione, era altrove. Da lì i sospetti e l’operazione d’arresto. Poi, è chiaro che tutti abbiamo un po’ di retropensiero. Di fatto, Messina Denaro che ha un tumore con metastasi al fegato, è in fin di vita. Sembra quasi si sia consegnato. Ma oggi, per il momento, festeggiamo la cattura del latitante”.
Sui “segreti” della mafia: si crede che Messina Denaro ne fosse il custode, che se ne fosse impossessato dopo l’arresto di Riina… Secondo te cosa farà ora? “Lui è custode di segreti che farebbero tremare l’Italia. E’ il testimone di snodi cruciali del ’92 – ’93, potrebbe inguaiare politici ed imprenditori. Non credo parlerà mai….ma vedremo”.