Un chip nel cervello umano entro sei mesi. L’annuncio è di Elon Musk, considerato l’uomo più ricco del mondo. L’uomo che ci ha abituato a stravaganze geniali, a detta dei suoi estimatori. Comunque discusse e discutibili.
Musk durante il suo ‘Neuralink Show and Tell’ anticipa le ultime novità dell’azienda: impianti che collegano il cervello a un computer. La fa facile: “È come sostituire un pezzo del tuo cranio con uno smartwatch. Riteniamo che dovremmo essere pronti per avere un chip in un essere umano nel giro di 6 mesi. Stiamo lavorando sodo, prima di inserire un chip in un essere umano vogliamo essere sicuri che funzioni alla perfezione“. E forse facile sarà, ma certamente non semplice. Non si deve aver timore della scienza, delle sue evoluzioni. Proprio grazie alla scienza, alla sua evoluzione, alla libertà di ricerca l’uomo non vive più in una caverna; la sua vita si è allungata; molte sofferenze ci sono risparmiate; malattie e disastri ci colpiscono in modo più ridotto rispetto solo a tre o quattrocento anni fa. Come spiegano esperti e scienziati nuove tecnologie possono ripristinare condizioni di “normalità”, o che alla “normalità” si avvicinano, tante persone sfortunate. Quindi nessun preconcetto o pregiudizio. Però questa “comunicazione” diretta pensiero umano-computer…
Intanto: cosa si intende esattamente per “comunicazione”? Detto in termini grezzi: è una comunicazione di sola andata? L’uomo “interagisce” con il computer e fin qui può andar bene. Ma c’è un possibile “ritorno”? Si scivola nella fantascienza (ma quante cose “ieri” lo sembravano e “oggi” sono realtà); in parole povere il computer “interagisce” a sua volta con l’umano? E chi ha il controllo del o dei computer? Magari scienziati ed esperti sentenzieranno che sono pensieri e sospetti farlocchi, non hanno ragione d’essere. Però scendano dalla cattedra e con parole semplici e comprensibile linguaggio lo spieghino anche a noi profani che non si corre rischio alcuno; o se si corrono di quale natura.
Perché non mancheranno fantasiosi complottisti a raccontare ogni sorta di baggianata: l’hanno fatto col Covid, le scie chimiche, la terra piatta, lo sbarco sulla luna. Figuriamoci se non lo faranno con la ghiotta occasione offerta dal chip sotto pelle.
In attesa di chiarimenti e spiegazioni, il suggerimento è leggere o comunque rileggere “La scomparsa di Majorana”. Libro tra i più densi e attuali, tra quelli scritti da Leonardo Sciascia. Al di là della vicenda dello scienziato scomparso, si pone il problema cruciale delle scoperte della scienza, dell’uso che può essere fatto di quella scoperta dal potere politico, della responsabilità dello scienziato che non può pilatescamente lavarsene le mani. Nel caso di Majorana, l’atomica: da lui forse baluginata prima del gruppo di via Panisperna di cui era parte, il terrore che quell’ordigno potesse finire nelle mani di un Hitler o un Mussolini. Tremendo problema che forse è alla base della sua decisione di Majorana di scomparire.
C’è, tra gli scienziati di oggi chi ha il senso di responsabilità, lo scrupolo, e prova lo strazio di Majorana? Sommessamente, è la speranza che si vorrebbe avere.