È un 24 agosto kafkiano quello che si respira quest’anno nelle principali città ucraine. In circostanze normali, Kyiv sarebbe brulicante di folle, accorse da ogni angolo del Paese per la parata del Giorno dell’indipendenza – che commemora la fine del dominio russo-sovietico sul Paese, decisa in questo stesso giorno del 1991 e formalizzata con un referendum nel dicembre di quell’anno.
31 anni di sovranità nazionale che hanno visto l’URSS implodere su se stessa (complici gli accordi di Belaveža), l’economia ucraina affrontare uno shock di assestamento al libero mercato, scandali politici emergere periodicamente, e rivoluzioni colorate fiorire e appassire. Tutto ciò fino al 2014 e alla rivoluzione di Euromaidan, marcata dal regime change che spodestò il filo-russo Viktor Janukovyč in favore di un establishment decisamente più europeista e atlantista. La storia successiva è ormai cronaca: dall’annessione russa della Crimea fino alla guerra civile nel Donbass russofono, passando per l’elezione dell’ex attore Zelensky. Fino all’acme rappresentata dall’invasione militare dello scorso febbraio.
A onor del vero, oggi in Ucraina si “celebra” anche un altro traguardo: sei mesi tondi di guerra (od “operazione speciale, come la chiamano a Mosca). 182 giorni durante i quali le truppe di Kyiv hanno tenuto testa agli avversari russi, costringendoli a ridimensionare la portata della loro occupazione bellica per concentrarsi sugli obiettivi più immediati – ossia il Donbass e la porzione meridionale di Ucraina che costeggia la Crimea.
Che le truppe russe stiano concentrando il grosso degli attacchi a est e a sud non significa però che Kyiv sia al sicuro. La capitale è periodicamente bersagliata dall’aviazione russa per tenere costantemente all’erta la popolazione, sfiancare psicologicamente il nemico, come “impone” il manuale della guerra totale.
Ed è proprio per questo motivo che il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha vietato manifestazioni di massa nella capitale in occasione del Giorno dell’indipendenza. Troppo alto il rischio che la folla diventasse bersaglio di bombardamenti nemici. Un timore di ritorsioni moltiplicato dalle gravi accuse russe secondo cui ci sarebbe la longa manus degli 007 di Kyiv dietro l’agguato alla politologa Darija Dugina, figlia del filosofo ultranazionalista Aleksandr Dugin.
Nonostante il risuonare delle sirene anti-aereo alle prime luci dell’alba, non sono stati però riportati bombardamenti nella capitale. Capitale dove in mattinata è arrivato invece il primo ministro (uscente) britannico Boris Johnson, per la terza volta a Kyiv dall’inizio del conflitto. “L’Ucraina può vincere e vincerà questa guerra”, ha dichiarato il premier conservatore sui propri canali social, ritratto accanto a Zelensky. Ma messaggi di solidarietà in occasione del 31° anniversario d’indipendenza sono arrivati anche da altri leaders europei: dal cancelliere tedesco Olaf Scholz al presidente francese Emmanuel Macron. Oltre, ovviamente, al presidente statunitense Joe Biden.
In un comunicato, l’inquilino della Casa Bianca Gli Stati Uniti ha lodato il popolo ucraino per “aver ispirato il mondo con il loro straordinario coraggio e la loro dedizione alla libertà”, ribadendo il convinto sostegno statunitense a fianco del “popolo ucraino che continua a lottare per difendere la propria sovranità”.
E passando dalle parole ai fatti, nello stesso documento Biden ha comunicato l’invio di un’altra maxi-tranche di aiuti militari a Kyiv, del valore di circa 2,98 miliardi di dollari. Si tratta del singolo contributo più alto dall’inizio della guerra. “Ciò consentirà all’Ucraina di acquisire sistemi di difesa aerea, sistemi di artiglieria e munizioni, sistemi aerei senza pilota e radar per garantire che possa continuare a difendersi a lungo termine”.
Il pacchetto sembrerebbe includere i modelli di droni statunitensi “Puma” (compatti) e “Scan Eagle” (più resistenti), nonché il britannico “Vampire” (che può essere lanciato dalle navi). A differenza dell’equipaggiamento precedentemente inviato da Washington, il nuovo pacchetto sembra finalizzato ad aiutare le truppe ucraine a difendersi nel medio e lungo periodo, laddove fino ad ora le forniture si erano concentrate sul rifornimento di armi e munizioni di più stretta necessità.
Dall’inizio della guerra, l’amministrazione Biden ha già fornito all’Ucraina assistenza militare per un valore di circa 10,6 miliardi di dollari.
Del 6° mese di guerra si è parlato anche all’ONU, dove in mattinata si è svolta una riunione del Consiglio di Sicurezza e dove più di 50 Stati (Italia compresa) hanno firmato un comunicato congiunto in cui chiedono “l’immediata cessazione delle ostilità” e “il ritiro incondizionato delle truppe russe dal territorio ucraino”.
Da Mosca, intanto, il ministro della Difesa Sergej Šojgu ha criticato Washington di “continuare a far affluire armi in Ucraina”, ritardando a suo dire la fine delle ostilità e prolungando le sofferenze belliche. Šojgu ha inoltre giustificato la lentezza dell’operazione militare russa in Ucraina, sostenendo che Mosca sta agendo in modo da “ridurre al minimo le vittime civili”.
Le autorità russe hanno inoltre arrestato l’ex sindaco di Ekaterinburg, Evgenij Roizman, amico personale dell’oppositore Aleksej Naval’nyj e più volte espressosi in maniera critica contro la “operazione speciale” in Ucraina. Ora è accusato di “atti pubblici volti a screditare le Forze armate” e rischia 5 anni di carcere.