Mosca non ha dubbi: dietro l’assassinio di Darija Dugina, figlia del politologo ultra-nazionalista russo Aleksandr Dugin, ci sarebbero i servizi segreti ucraini. Questa almeno è la tesi sostenuta dall’FSB, secondo cui l’esecutrice sarebbe Natalija Vovk, una donna di nazionalità ucraina che nella pianificazione dell’attentato sarebbe stata coadivuata direttamente dagli 007 di Kyiv.
In un comunicato rilasciato lunedì, l’intelligence interna russa sostiene che la giovane Vovk, entrata in Russia il 23 luglio assieme a una bambina, si sarebbe poi dileguata nel nulla dopo la detonazione dell’esplosivo, fuggendo in Estonia. L’agenzia ha inoltre rilasciato un video del suo ingresso via terra in Russia a bordo di una Mini Cooper. La donna è ora finita nella lista dei ricercati stilata dalle autorità russe, che ne vogliono chiedere l’estradizione a Tallinn.
The FSB publishes what it says is video of Vovk driving her Mini Cooper into Russia, entering Dugina's apartment building, and leaving the country through Estonia.
Notable by its absence: any footage connecting Vovk with the car bombing. pic.twitter.com/cJUKQVR5c7
— max seddon (@maxseddon) August 22, 2022
“Un crimine vile e crudele ha messo fine alla vita di Darija Dugina, una persona brillante e talentuosa con un vero cuore russo”, ha commentato in una lettera di cordoglio il presidente russo Vladimir Putin, senza fare alcun riferimento ai presunti autori ucraini. “Con le sue azioni ha dimostrato cosa significa essere un patriota russo”, ha aggiunto l’inquilino del Gran Palazzo del Cremlino.
Più duro invece Aleksandr Dugin, padre della vittima, che commentato: “I nemici della Russia l’hanno uccisa in modo meschino e surrettizio. Ma noi, il nostro popolo, non possiamo essere spezzati nemmeno da colpi così insopportabili. Volevano schiacciare la nostra volontà con il terrore sanguinario contro i migliori e i più vulnerabili di noi. Ma non raggiungeranno il loro obiettivo”, le sue parole.
Dopo aver effettuato i rilievi, la polizia russa ha comunicato che l’ordigno installato sull’auto della giornalista e politologa Darya Dugina è stato fatto esplodere a distanza. La bomba era composta da 400 grammi di tritolo e sarebbe stata posizionata sotto il sedile del guidatore in un parcheggio pubblico, le cui telecamere di sicurezza erano fuori uso da due settimane.
L’ipotesi sulla matrice ucraina sono state rispedite fermamente al mittente da parte di Mychajlo Podoljak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “Noi non c’entriamo niente”, la replica, sottintendendo che l’esecuzione di Dugin (figlia) possa essere opera di terroristi o del deep State moscovita, ossia di quelle porzioni di esercito e servizi segreti che dissentono sulle modalità di conduzione della guerra in Ucraina da parte del Cremlino. E naturalmente del suo uomo forte, Vladimir Putin.
Sì, perché colpire Dugin significa colpire indirettamente una componente rilevante del Putin-pensiero e i “falchi” à la Medvedev, che nella definizione della politica estera russa hanno preso il sopravvento su tutti gli altri, compresi i tecnici di FSB (intelligence interna) e SVR (servizi segreti esteri). Oppure potrebbe realmente trattarsi di un blitz dei servizi ucraini, che però non possono non aver messo in conto che la loro mossa avrebbe provocato un’escalation.
Altra ipotesi è quella del terrorismo interno, di un tipo che in Russia non si vedeva almeno dalla guerra cecena. Tra le sigle di antagonisti spicca quella dell’Esercito repubblicano nazionale, formazione di militanti anti-Putin. La pista terroristica implica però quantomeno un’accurata preparazione e l’intervento di esperti: Dugin è un obiettivo sensibile, e come tale è pressoché certo che i servizi di Mosca lo tengano d’occhio. Il che riporta alla prima ipotesi: quello di un regolamento di conti “interno” o di un blitz ucraino (ufficiale o ufficioso).
L’agguato si è consumato sabato sera, quando la 29enne Darija stava tornando a casa dopo aver partecipato a un festival culturale in cui era intervenuto il padre Aleksandr Dugin. Quest’ultimo è noto agli addetti ai lavori per le sue teorie “neoeuroasiatiste”, tra cui la necessità di ri-annettere i territori ex-sovietici sotto il tricolore russo e di formare un fronte anti-occidentale tra Mosca e Pechino – che secondo alcuni esperti avrebbero parzialmente ispirato il presidente russo nella sua politica estera espansionista, e anche nell’aggressione dell’Ucraina.
Su quella Toyota Land Cruiser Prado diretta verso casa, oltre alla giovane Darija Dugin, sarebbe in teoria dovuto salire anche il 60enne Aleksandr, che aveva appena concluso il suo intervento ultra-conservatore al festival culturale “Tradicija” (Tradizione), tenutosi per tutta la giornata di sabato nella cittadina di Bol’šie Vjazëmy, 50 km ad ovest della capitale. Appena un’ora di macchina, buona parte della quale da trascorrere sull’autostrada di Možajsk.
Dugin (padre) però decide all’ultimo – non è ancora chiaro perché – di non unirsi alla figlia e di usare un veicolo separato. Intorno alle 21:00 ora locale, dopo qualche decina di minuti in viaggio, un botto fragoroso: la Toyota si riduce a un ammasso di ferraglia informe, sangue dappertutto. Darija, giornalista e politologa come il padre, muore sul colpo. Aleksandr scende subito dalla sua macchina, si rende conto di quello che è successo e, attonito, si mette le mani nei capelli.
Qualcuno le aveva piazzato un esplosivo sotto il sedile, quasi certamente nel parcheggio del festival. Probabilmente non era nemmeno lei l’obiettivo, o quantomeno non era quello primario. A bordo della vettura qualcuno si augurava ci fosse il padre – famigerato tanto in Russia quanto (soprattutto) in Occidente.
Prima della tragica morte, la 29enne Darija Dugina si era distinta come giornalista e opinionista in pieno accordo con le tesi iper-nazionaliste del padre, ed era stata sanzionata da USA e Regno Unito per aver diffuso fake news sull’Ucraina. Il padre Aleksandr, da taluni definito come “ideologo di Putin” (nonostante non sembrerebbe esserci mai stato alcun incontro tra i due), sostiene da lungo tempo la teoria secondo cui una Russia neo-imperiale dovrebbe mettersi alla guida di una civiltà “eurasiatica” per contrastare l’influenza culturale e politica dell’Occidente. Nei mesi immediatamente successivi all’invasione russa della Crimea, è perciò finito sotto la scure di Washington per aver fornito la “base ideologica” dell’invasione militare.