Rischia di modificare sensibilmente gli equilibri dell’Asia-Oceania la proposta di accordo che la Cina ha presentato a 10 micro-nazioni del Pacifico. Il nome ufficiale della bozza è Common Development Vision (CDV), e il suo contenuto spazia dalla lotta al crimine transnazionale alla gestione della pesca, fino ad arrivare al dossier Taiwan. Ma il piano non ha incontrato esattamente il favore di tutti.
Nella bozza di accordo resa nota da Associated Press, Pechino si impegna a investire capitali pubblici e privati nella regione pacifica, in maniera non dissimile da quanto già fatto nell’ambito delle cosiddette “Vie della Seta”. Ma sul tavolo c’è anche la formazione delle forze di polizia locali e la collaborazione internazionale sulla “sicurezza tradizionale e non tradizionale“.
L’accordo comprende inoltre un piano per lo sfruttamento delle risorse ittiche, la lotta al cambiamento climatico (tema particolarmente sensibile alle micronazioni pacifiche), la cooperazione sull’infrastruttura Internet, nonché la creazione di istituti di cultura e lingua cinese “Confucio”. Si fa infine riferimento alla possibilità di creare una zona di libero scambio tra aderenti all’accordo.
Il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, ne discuterà personalmente con ciascuno dei suoi omologhi del Pacifico durante questa settimana. L’obiettivo è arrivare quantomeno a un memorandum d’intesa all’incontro finale di Yi con i ministri degli Esteri delle dieci nazioni, in programma il 30 maggio alle Figi.
I dieci Stati che potrebbero partecipare al progetto sono: le Isole Salomone, Kiribati, Samoa, Figi, Tonga, Vanuatu, Papua Nuova Guinea, Isole Cook, Niue e Stati Federati di Micronesia. Con uno di loro – le Isole Salomone – Pechino ha già stretto un patto di sicurezza che ha provocato la reazione irata di Stati Uniti e Occidente, timorosi che il piccolo Stato possa in futuro ospitare basi militari cinesi nel Pacifico meridionale (a poca distanza dall’Australia e da Guam).

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La mossa cinese arriva a pochissime ore dal ritorno di Joe Biden a Washington dopo un’intensa cinque-giorni in Estremo Oriente, durante la quale il presidente USA ha dichiarato la disponibilità a difendere militarmente Taiwan e rinsaldato l’asse anti-cinese con Corea del Sud, Giappone e India.
Le vicinanza temporale tra la visita di Biden e le negoziazioni di Yi non sembra una coincidenza: tanto la prima quanto le seconde fanno infatti parte del “grande gioco” che contrappone Washington e Pechino nella regione indo-pacifica. E in questa regione di mondo, dove secondo Biden “verrà scritta gran parte del futuro nei prossimi decenni“, entrambe le superpotenze stanno formando alleanze più o meno mobili per fronteggiare l’opposta sfera d’influenza.
L’attività di scouting politico sta provocando però non pochi dilemmi a quegli Stati che non vogliono/possono effettuare una netta scelta di campo. È questo il caso della Micronesia, il cui presidente David Panuelo ha già annunciato che non sottoscriverà il CDV, invitando i suoi colleghi a (non) fare altrettanto.
Secondo Panuelo, il vero obiettivo del patto cinese è trascinare quei Paesi “nell’orbita di Pechino, legandovi intrinsecamente le nostre intere economie e società”. L’accordo viene presentato come un tentativo di egemonizzare la regione, le sue infrastrutture e la sue risorse, intromettendosi inoltre nella vita privata dei cittadini. Firmarlo rischierebbe perciò di “condurre a una nuova era di guerra fredda nel migliore dei casi, e a una guerra mondiale nel peggiore dei casi“.
Piuttosto paradossalmente, però, nelle stesse righe Panuelo si è detto disponibile a proseguire “la grande amicizia” tra Micronesia e Cina.
Che il CDV non sia solo una questione di cooperazione internazionale lo dimostra anche la presenza di un paio di clausole controverse. Una impone ai partecipanti di “aderire fermamente” alla one-China policy, ossia di riconoscere la Repubblica Popolare Cinese (quella di Pechino) come l’unica Cina legittima. L’altra, di “non interferire” negli affari interni altrui, compresa la situazione dei diritti umani, su cui Pechino ha dimostrato in passato di non accettare critiche.